I problemi dei rapporti tra piani di sviluppo regionali e piano nazionale hanno, in Italia, una preminente importanza, giustificata dal dualismo economico esistente nel nostro paese e dai problemi dello sviluppo nel Meridione.
Il 5 ottobre 1961, quando la legge sul Piano di Rinascita per la Sardegna si trovava ancora alla Camera, emerse un problema centrale: quello relativo alla esigenza di operare una scelta tra una programmazione per settore economico o una programmazione complessiva ed intersettoriale. In quella sede si optò a favore di una programmazione secondo le suscettività e potenzialità di sviluppo delle zone economico-sociali omogenee esistenti nell’ambito regionale.
Questa impostazione (che in questi scritti viene analizzata nelle sue caratterizzazioni metodologiche) non può però trascurare il fatto che le regioni sono inserite in un’area economica più vasta, che abbraccia tutto il paese, e che l’arretratezza di una regione incide, a lungo andare, sul tasso di sviluppo nazionale. I piani regionali di sviluppo dovrebbero, quindi, essere elaborati e attuati non già come piani autonomi (anche se non avulsi dal conteso economico-sociale nel quale le economie regionali sono inseriti), bensì come parte di un più vasto piano nazionale in funzione di una interdipendenza tra i vari piani regionali. Questa problematica è sviluppata in termini di politiche economiche con riferimento dottrine dello sviluppo equilibrato e squilibrato, con alcune considerazioni concernenti anche la prospettiva politica.
- I Relazione: Metodologia zonale e metodologia settoriale in un piano regionale di sviluppo. Caratterizzazione economica del concetto di «zona omogenea» e Piano di Rinascita
- II Relazione: Piano regionale e piano nazionale in una politica di sviluppo. I problemi dello sviluppo equilibrato e squilibrato e il Piano di Rinascita
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