«Ogni cultura ha i suoi tabù; anche il sequestro è un tabù per la cultura sarda. La tradizionale rappresentazione del sequestro come reato viene in questo libro messa in discussione. Se il sequestro in Sardegna, e forse in qualche altra area del meridione d’Italia, è un fatto sociale, allora l’approccio tradizionale al sequestro deve essere riconsiderato. Ne consegue una nuova immagine dei sequestratori e dei sequestrati, succubi e fautori a un tempo di una cultura che può essere rimossa ma non può essere negata.
Modificare la percezione sociale del sequestro significa modificare la percezione sociale del deviamento. Quando si tenta di operare in tal senso si levano immediatamente le consuete accuse di sociologismo e di psicologismo. Il libro contraddice queste accuse e fornisce, a coloro che desiderano superare le barriere conoscitive del senso comune, una sintesi dei principali concetti metodologici delle scienze sociali.»
(Il sequestro come fatto sociale)
Il sequestro come fatto sociale
Premessa online
1. Le reazioni al sequestro e la percezione sociale del comportamento deviante
2. Il sequestro con riferimento al paradigma prescrittivo e al paradigma esplicativo
3. Il sequestro come sanzione sociale (contrappasso) contro la violazione dell’equilibrio egualitario
4. Forme di deviamento e modalità di prevenzione del deviamento sociale
5. La legge 15 marzo 1991 n. 82 sul blocco dei beni del sequestrato
6. Il sequestro e il problema del cambiamento delle culture
Conclusioni online
Note al testo
Nota sul coinvolgimento positivo e negativo degli interessi online
Nota sulla punizione online
Nota metodologica online
Beccaria C., Dei delitti e delle pene, 1764
Blackman, Condizionamento operante, Zanichelli, Bologna, 1977
Bolacchi G., Metodologia delle scienze sociali, Edizioni Ricerche, Roma, 1963
Bolacchi G., Teoria delle classi sociali, Edizioni Ricerche, Roma, 1963
Bolacchi G., La struttura del potere, Edizioni Ricerche, Roma, 1964
Bolacchi G., Il problema del metodo nella sociologia, in: Studi di economia, vol. V, 1972
Bolacchi G., Concorrenza, collettivismo e pianificazione, in: Studi di Economia, vol. V, 1973, n.3
Bolacchi G., Prefazione a B.F. Skinner, La scienza del comportamento ovvero il Behaviorismo, Sugar, Milano, 1974
Bolacchi G., Processo di apprendimento e strutture ideologiche, in: Studi di Economia, vol. V, 1974, n.1
Bolacchi G., Un’autonomia in regime di dipendenza, in P. Savona (a cura di), Per un’altra Sardegna, F. Angeli, Milano, 1984
Bolacchi G., Le scatole vuote della sociologia, in J. Jacobelli (a cura di), Dove va la sociologia italiana?, Laterza, Bari, 1988
Bolacchi G., Sabattini G., Zona di produzione franca: una proposta per la Sardegna, F. Angeli, Milano, 1984
Bolacchi G., Sabattini G., Usai T., Oligopolio e crescita economica, F. Angeli, Milano, 1985
Buchanan J.M., What should economists do, in: The Southern Economic Journal, vol. XXX, 3, 1964
Casula F.C., La terza via della storia. Il caso Italia, Edizioni ETS, Pisa, 1997
Ferrajoli L., Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, bari, 1989
Kelsen H., Società e natura, Einaudi, Torino, 1953
Monod J., Il caso e la necessità, Mondadori, Milano, 1970
Morris C., Segni, linguaggio e comportamento, Longanesi, Milano, 1977
Neisser U., Conoscenza e realtà, Il Mulino, Bologna, 1981
Pareto V., Compendio di sociologia generale (a cura di G. Farina), Barbera, Firenze, 1920
Parsons T., La struttura dell’azione sociale, Il Mulino, Bologna, 1962
Pessotti I., Introduzione allo studio del comportamento operante, Il Mulino, Bologna, 1970
Rachlin H., Behavior and Mind. The roots of modern psychology, Oxford University Press, New York, 1994
Skinner B.F., Il comportamento verbale, Armando, Roma, 1976
Skinner B.F., Scienza e comportamento, F. Angeli, Milano, 1978
Staddon J.E.R., Behaviorism. Mind, Mechanism and Society, Duckworth, London, 1993
Tagliagambe S., Il sequestro dell’identità, CUEC, Cagliari, 1997

Una prima sintetica trattazione del sequestro come fatto sociale è stata pubblicata nei Quaderni bolotanesi (anno XXII, n. 22, pp. 75-101, 1996):
Estratti brevi
1/52«L’etica sociale quando è controllata da un sistema sanzionatorio interpersonale, condiviso in modo primario o derivato (mediato), diventa norma giuridica; quest’ultima acquisisce un carattere impositivo generalizzato solo quando viene assunta come propria dallo stato, cioè da un ordinamento giuridico che in linea di principio non può essere contrastato o negato da un altro ordinamento giuridico che non sia esso stesso stato; in tal modo la norma viene istituzionalizzata.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 9)
2/52«La caratteristica basilare della norma giuridica non è la sua istituzionalizzazione, ma la sua legittimazione da parte di una struttura organizzata alla quale la totalità dei soggetti appartenenti a un gruppo sociale culturalmente definito delega, con maggiori o minori garanzie (o addirittura senza garanzie), specifiche attribuzioni concernenti rapporti interpersonali nei quali tutti i soggetti in linea di principio sono coinvolti (detti altrimenti interessi collettivi).»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 9)
3/52«La presenza di norme giuridiche non istituzionalizzate, ma legittimate entro un dato gruppo sociale, configura un ordinamento giuridico non statuale, il quale può manifestare minori o maggiori istanze autonomistiche (fino a porsi addirittura come stato) a seconda della minore o maggiore importanza che tutti i soggetti attribuiscono agli interessi positivamente coinvolti (collettivi) che legittimano il sistema normativo, cioè a seconda della minore o maggiore importanza che tutti i soggetti attribuiscono alla propria cultura.
Posso darsi quindi norme giuridiche non istituzionalizzate di diverso tipo e con diverse caratteristiche, compatibili o contrastanti con quelle dello stato; questo significa che la legittimazione sociale di una norma può coincidere o non coincidere con la sua legittimazione statuale, cioè con la sua istituzionalizzazione.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 10)
4/52«Nei sistemi pluralistici le norme potenzialmente incompatibili con quelle istituzionalizzate possono esprimersi sul piano politico, in quanto la dinamica sociale è essa stessa istituzionalizzata e opera nello spazio sociale pre-istituzionale.
Quando una cultura sub-statuale potenzialmente deviante varca i confini dello spazio sociale pre-istituzionale per realizzare un deviamento attuale, essa ha un livello di accettazione sociale molto elevato; in tal caso il gruppo sociale da cui è espressa non è disposto a sacrificare gli interessi positivamente coinvolti che lo caratterizzano (e che fondano il proprio sistema normativo) a favore della cultura statuale e delle corrispondenti norme istituzionalizzate.
Di solito i fatti sociali di questo tipo vengono sottovalutati dalla cultura statuale egemone, la quale tende a minimizzare il deviamento considerandolo sempre alla stregua di un deviamento singolo, mediante una interpretazione restrittiva conforme al paradigma normativo-punitivo. Questo è un grave errore, originato dalla spiegazione dei fatti sociali in termini di senso comune.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 11)
5/52«Se la considerazione dei fatti sociali fosse fondata su una esplicazione scientifica degli stessi, l’intervento statuale dovrebbe essere orientato in termini radicalmente diversi: verso un’eliminazione o modificazione delle cause del deviamento (con opportune politiche di intervento congiunte di tipo socio-culturale ed economico), anziché verso una punizione degli effetti del deviamento.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 11-12)
6/52«A parte le situazioni emotive, gli atteggiamenti di insicurezza o di sfiducia, i comportamenti di fuga o di difesa che il deviamento determina, quest’ultimo può generare o esprimere coinvolgimenti positivi di interessi riferiti a gruppi sociali più o meno vasti. In questi caso il deviamento diventa un fatto sociale.
Ogni comportamento deviante compiuto da individui o da gruppi più o meno circoscritti diventa fatto sociale quando genera o esprime interessi collettivi che sostengono il deviamento, oppure che, in presenza di tale sostegno, si pongono in conflitto col deviamento. Il deviamento compiuto da un gruppo più o meno vasto di soggetti non è, per ciò solo, un fatto sociale; diventa un fatto sociale quando un gruppo sociale, diverso dal gruppo deviante, sostiene il deviamento; in questo caso può aversi anche un altro gruppo contrapposto che contrasta il gruppo sociale che sostiene il deviamento.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 21-22)
7/52«Esistono almeno tre prospettive di riferimento, che possono essere utilizzate per spiegare il sequestro:
-
una prospettiva prescrittiva (fondata sul paradigma valutativo-normativo) di tipo penalistico, la quale considera e analizza il sequestro, dal punto di vista dell’ordinamento giuridico, come elemento di una relazione istituzionalizzata del tipo: se deviamento, allora punizione;
-
una prospettiva esplicativa (fondata sul paradigma scientifico), che considera e analizza il sequestro come elemento di una relazione funzionale del tipo: il deviamento è funzione di fatti sociali che lo determinano (condizionano);
-
una prospettiva del senso comune (fondata sull’omonimo paradigma conoscitivo), la quale opera una commistione tra la prospettiva prescrittiva e una generica prospettiva che tenta di spiegare il sequestro su basi pseudo-sociologiche e pseudo-psicologiche meramente esperienziali.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 26)
-
8/52«I fatti sociali devono essere definiti con riferimento alle relazioni tra ordinamento giuridico istituzionale e ordinamento sociale; ciò posto occorre tener presente che i due ordinamenti possono essere tra loro compatibili o non esserlo.
In entrambi i casi può darsi che si abbiano gradi differenti di compatibilità (o incompatibilità), i quali determinano la misura della cooperazione (coinvolgimento positivo) o del conflitto (coinvolgimento negativo) esistente tra i due ordinamenti; la compatibilità e l’incompatibilità devono essere ovviamente definiti utilizzando concetti (termini) appartenenti al linguaggio della sociologia scientifica e non concetti del senso comune.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 30)
9/52«Il deviamento (sia esso un fatto sociale o non lo sia) implica sempre il riferimento a un gruppo più vasto, normalmente istituzionalizzato. Tuttavia la caratterizzazione del deviamento come fatto sociale (deviamento sociale) non si riferisce alla implicita presenza dell’organizzazione istituzionalizzata (che sanziona appunto il deviamento), ma si riferisce all’esistenza nel contesto sociale istituzionalizzato di sub-gruppi più o meno ampi di soggetti (sub-culture) che operano in modo potenziale a favore del deviamento e conseguentemente contro gli interessi istituzionalizzati.
Questo significa che il deviamento è un fatto sociale non per via del numero dei devianti o della tipologia che lo caratterizza, ma perché sorgono (o esistono) nel contesto sociale gruppi di soggetti diversi dai devianti che esprimono sub-culture di sostegno nei confronti dei devianti; cioè gruppi i quali pur non realizzando deviamenti attuali (come quelli dei devianti) pongono in essere forme di potere deviante (usando i ruoli pubblici, di cui sono titolari, a favore dei devianti) o realizzando, più in generale, forme di deviamento potenziale rispetto al contesto istituzionalizzato di cui fanno parte (fondate su un coinvolgimento positivo primario).»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 31-32)
10/52«Le forme di deviamento che si manifestano come fatti sociali (deviamenti sociali) presuppongono quindi sempre un rapporto di conflitto tra una cultura (normalmente istituzionalizzata) e una o più sub-culture che operano al suo interno.
In questi casi, il deviamento può suscitare forti reazioni collettive (sotto forme di manifestazioni e proteste, come avviene per il sequestro in Sardegna o, estendendo in discorso, per la mafia, per l’usura, per le tangenti), cioè può generare anche sub-culture di contrapposizione al deviamento; può determinare un coinvolgimento positivo di interessi espresso da un sub-gruppo sociale i cui interessi comuni sono negativamente coinvolti con gli interessi del gruppo o dell’individuo deviante, e quindi positivamente coinvolti con gli interessi della cultura istituzionalizzata.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 32-33)
11/52«Nel caso del conflitto tra una cultura istituzionalizzata e una sub-cultura di sostegno al deviamento si ha un coinvolgimento negativo di interessi tra le due culture, che ha ad oggetto azioni di accettazione nei confronti di comportamenti devianti compiuti da individui o da gruppi più o meno numerosi, per cui gli interessi di questi ultimi sono in conflitto con quelli istituzionalizzati, ma non sono in conflitto con gli interessi del sub-gruppo sociale che appoggia il deviamento. Si ha quindi un coinvolgimento negativo tra interessi della sub-cultura di sostegno e interessi istituzionalizzati e un coinvolgimento positivo tra interessi della sub-cultura di sostegno e interessi devianti, che esprimono comportamenti vietati e puniti dalla cultura istituzionalizzata.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 34)
12/52«Nel caso della cooperazione tra una cultura istituzionalizzata e una sub-cultura di contrapposizione al deviamento si ha un coinvolgimento positivo di interessi tra le due culture, che ha ad oggetto azioni di prevenzione o di repressione nei confronti di comportamenti devianti compiuti da individui o da gruppi più o meno numerosi; per cui gli interessi di questi ultimi non solo sono in conflitto con gli interessi istituzionalizzati, ma anche con gli interessi del sub-gruppo sociale che si sente più direttamente danneggiato dal deviamento e/o non sufficientemente protetto dalla cultura istituzionalizzata. Si ha quindi un coinvolgimento positivo tra interessi della sub-cultura di contrapposizione e interessi istituzionalizzati e un coinvolgimento negativo tra questi interessi positivamente coinvolti e gli interessi devianti.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 34-35)
13/52«Se esiste una sub-cultura di sostegno (che trova nell’omertà diffusa un indicatore sociale importante) è difficile che una azione normativa istituzionalizzata orientata alla prevenzione possa realizzare effetti dissuasivi generalizzati; ed è altrettanto difficile che possano aversi effetti dissuasivi derivanti dalla pena annunciata.
Uno schema di riferimento sociale è quindi essenziale per l'esplicazione del sequestro, perché consente di definire le varie tipologie (tra loro molto diverse) di questa forma di deviamento.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 36-37)
14/52«In una prospettiva scientifica non ha alcun senso postulare un unico schema di riferimento, quello normativo, da applicare in modo generalizzato a tutti i comportamenti devianti, dalla droga alle tangenti, dalla mafia alla devianza minorile, dal sequestro ad altre forme di deviamento socialmente rilevanti.
Lo schema normativo (per definizione statico) unifica e uniforma tutte le tipologie di deviamento, differenziandole solo con riferimento alle quantità di pena da erogare. In realtà i deviamenti sono tutti fra loro profondamente diversi (anche quelli che appartengono alla stessa tipologia, come nel caso del sequestro) in quanto causati da contesti sociali e psicologici non comparabili.
Capire le variabili sociali di ogni deviamento è quindi indispensabile per poter controllare il deviamento anche con mezzi che non sono esclusivamente penali e punitivi; per poterlo eliminare nelle sue cause reali e non per illudersi di eliminarlo sul piano delle semplici omologazioni formalistiche di tipo punitivo.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 38)
15/52«I fatti sociali coinvolgono tutti, perché ciascun soggetto è un loro prodotto; coinvolgono perché nella personalità di ciascuno possono permanere atteggiamenti e propensioni difficilmente percepibili, che costituiscono aspetti residuali di una cultura endogena marginalizzata dalle stratificazioni di successive culture, ma pur sempre presente in qualche misura nell’ambiente sociale.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 39-40)
16/52«Gruppi sociali allargati tendono a non vedere e a non sentire perché hanno interiorizzato la legge dell'omertà; volta appunto a salvaguardare, nei confronti dei modelli di comportamento imposti dall'esterno (cioè dallo stato), la identità culturale endogena e i principi della sua etica. Una omertà percepita non come fatto dannoso per la collettività, ma come comportamento dovuto alla collettività per preservarne i valori e l'immagine, contro le culture esogene che li mettono in discussione.
Non si può capire il senso di questo tipo di omertà se non si tiene conto del fatto che tutti i modelli di organizzazione sociale, dalla società tribale alla società industriale avanzata, costituiscono altrettante risposte al basilare problema della distribuzione delle risorse scarse tra i membri di un gruppo e al conseguente problema della posizione che compete a ciascun individuo nel gruppo.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 41)
17/52«Anche i gruppi sociali della nostra regione, che esprimono un contesto culturale endogeno molto diverso da quello di tipo statuale, tentano di rispondere al problema della distribuzione. Ma la risposta non è ottenuta mediante il ricorso al mercato, e neppure mediante il ricorso a politiche statuali ridistributive; bensì è ottenuta realizzando un tipo di sistema sociale fondato su un paradigma di riferimento (coinvolgimento positivo primario di interessi tra tutti i soggetti) nel quale l’unico valore socialmente condiviso è quello dell’egualitarismo distributivo delle risorse e l’unica attività sanzionatoria socialmente ammessa (legittimata) è quella realizzata da individui o gruppi non titolari di ruoli sanzionatori esplicitamente definiti, che presupporrebbero un’organizzazione formale (anche di tipo statuale), ma di ruoli sanzionatori non definiti in modo esplicito, appartenenti a ciascuno soggetto in grado di esercitarli nell’interesse collettivo.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 42)
18/52«Il conflitto potenziale, derivante dalla scarsità delle risorse, è orientato primariamente al mantenimento dell’equilibrio statico che garantisce l’egualitarismo, tratto tipico di questa cultura. Tutti confliggono per acquisire o mantenere le risorse scarse, ma nessuno può impunemente accumulare più risorse di ciascun altro. Una forma di individualismo egualitario radicalmente diversa dall’individualismo di mercato, anch’esso conflittuale sul piano economico, ma non egualitario, in quanto riconosce l’accumulazione (tramite l’innovazione, la produzione e lo scambio) come sbocco naturale del conflitto; una accumulazione in teoria senza limiti, perché fondata sull’inserimento della dinamica tecnologica e organizzativa nel processo produttivo.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 43)
19/52«Su quali basi culturali (antropologiche) si regge dunque questa società, così anomala e così diversa?
Si regge su un principio minimo di organizzazione che regola e delimita il conflitto sociale con riferimento alla tutela di una specifica forma di equilibrio statico tra i ruoli proprietari ammessi nel sistema.
Qualsiasi acquisizione di risorse da parte di individui o gruppi è legittima, sempre che non alteri il principio del tendenziale egualitarismo tra la quantità di risorse riconosciute a ciascuno. L’organizzazione, infatti, non regola le modalità di acquisizione delle risorse, ma valuta solo, secondo parametri tendenzialmente egualitaristici, il quantum di risorse acquisite o acquisibili.
Ogni violazione dell’equilibrio statico è collegata a una norma sanzionatoria socialmente condivisa, il principio del contrappasso, che consente a ciascun individuo o gruppo di entrare in conflitto aperto con altri (trasformando il conflitto sociale da potenziale in attuale).»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 44)
20/52«La società fondata sul principio del contrappasso, nella sua forma più astratta, regola quindi tutti i tipi di rapporti tra i soggetti in termini di conformità o difformità (violazione) rispetto all’equilibrio statico, che si identifica nella tendenziale conservazione di un contesto sociale tradizionalmente definito. Qualsiasi alterazione di questo contesto, sia sul piano degli equilibri patrimoniali tra i soggetti, sia sul piano degli equilibri personali, deve essere ricomposta somministrando al soggetto che ha violato la norma una sanzione eguale e contraria alla violazione.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 45)
21/52«Un simile modello di società non ammette che possa esistere una tutela di diritto privato dell’interesse leso, in quanto l’equilibrio statico nei rapporti tra i soggetti può essere reintegrato solo somministrando al deviante endogeno lo stesso danno che egli ha arrecato alla vittima, e quindi alla società.
Pertanto all’interno di una cultura endogena di questo tipo ogni deviamento lede per definizione un interesse collettivo e nessun soggetto può permettersi di non applicare il principio del contrappasso, attribuendo al deviamento endogeno un carattere di diritto privato che la società non gli riconosce.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 46)
22/52«Nel contesto sociale si possono individuare due insiemi di relazioni che si presentano tanto nei gruppi statuali, espressamente presi in considerazione con riferimento al deviamento al loro interno, quanto nei gruppi non statuali, rispetto ai quali il deviamento interno non è specificamente considerato:
1. un insieme che esprime comportamenti (interessi) che si sono stabilizzati nella personalità durante il processo di socializzazione, cioè modelli (tipologie) di scelta che l’individuo ha interiorizzato e che è disposto a realizzare spontaneamente (senza costrizioni di tipo punitivo); in questo caso i suoi interessi non solo in conflitto, ma sono coinvolti positivamente in modo primario con gli interessi istituzionalizzati (nell’ipotesi di gruppo statuale);
2. un insieme che esprime comportamenti (interessi) che l’individuo realizza, non perché li ha interiorizzati (avendo al contrario interiorizzato modelli di scelta con essi incompatibili), ma perché si conformano a una costrizione di tipo punitivo; in questo caso l’individuo, pur avendo interiorizzato interessi coinvolti negativamente con gli interessi istituzionalizzati, per evitare la punizione è costretto (dalla logica dell’azione punitiva) a non soddisfare i suoi interessi interiorizzati (che potrebbero essere soddisfatti solo in presenza di una modificazione più o meno radicale della normativa statuale). Gli interessi istituzionalizzati che non possono essere soddisfatti configurano altrettanti deviamenti potenziali, che l’individuo non trasforma in deviamenti attuali in quanto sceglie di conformarsi alla norma istituzionalizzata, realizzano in tal modo un coinvolgimento positivo derivato (mediato) con gli interessi istituzionalizzati.
Nell’ambito di questo secondo insieme, a volte confuso e contraddittorio, a volte chiaro ed esplicito, di relazioni interpersonali (che rappresenta lo spazio sociale pre-istituzionale) si sviluppa la dinamica sociale, che nei sistemi democratici e pluralistici è essa stessa istituzionalizzata.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 54-55)
23/52«Tanto la dinamica sociale evolutiva (cioè la dinamica storica) quanto la dinamica sociale strutturale si sviluppano, nello spazio sociale pre-istituzionale, mediante continui ampliamenti o riduzioni dei gruppi di soggetti che riconoscono i propri interessi nell’uno o nell’altro dei due insiemi di interessi positivamente coinvolti: gli interessi istituzionalizzati e gli interessi contrapposti, potenzialmente devianti.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 56)
24/52«Se il coinvolgimento positivo si realizza con riferimento a interessi devianti che hanno alto livello di intensità (come, ad esempio, nel caso in cui un gruppo sociale sia particolarmente sensibile a criteri di equità o giustizia distributiva definiti ovviamente secondo i paradigmi culturali tipici del gruppo), se gli interessi istituzionalizzati definiti dall’élite del potere non si modificano conformemente alle istanze sociali che emergono nel pre-istituzionale e se gli interessi devianti hanno una base di accettazione tendenzialmente ampia o molto ampia, allora può darsi che il deviamento potenziale superi i confini del pre-isituzionale e si trasformi in deviamento attuale, dando luogo a comportamenti in aperto conflitto con gli interessi istituzionalizzati. In tal caso il potere sanzionatorio istituzionalizzato non è più efficace nei confronti degli interessi devianti».
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 56-57)
25/52«Da notare, a proposito dei comportamenti inadeguati dello stato, che l’interesse pubblico alla prevenzione del deviamento può essere soddisfatto dallo stato in quattro modi, due diretti e due indiretti, mediante:
-
sequenze operative orientate alla modificazione del contesto sociale entro cui il comportamento deviante è appreso;
-
sequenze operative orientate a proteggere i soggetti contro i quali può essere indirizzato un comportamento deviante;
-
sequenze operative di tipo meramente punitivo;
-
sequenze operative che realizzano una forza dissuasiva generalizzata non collegata alla punizione intesa come somministrazione di una pena, ma intesa come sottrazione (o impedimento nell’acquisizione) di un vantaggio (di una risorsa).»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 60)
-
26/52«L’eliminazione del conflitto mediante il potere e la conseguente norma penale, non è una eliminazione reale, assimilabile a un cambiamento della cultura, quanto piuttosto una parvenza di cambiamento, una illusione derivante dal senso comune che considera la punizione come l’unico strumento per modificare i comportamenti. La logica punitiva non modifica la personalità dei singoli individui; ancora meno modifica le culture, i comportamenti sociali.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 63)
27/52«I conflitti fra diverse culture non si risolvono e non si possono risolvere usando solo gli strumenti del potere (in particolare del potere penale). Al massimo col potere penale si può risolvere (male) un conflitto tra stato e deviamento singolo; ma quando il deviamento è radicato profondamente in un contesto sociale, sarebbe opportuno chiedersi perché mai il deviamento sia tale solo per lo stato e non anche per la cultura endogena.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 63-64)
28/52«L’effetto dissuasivo della punizione trova un limite grave nelle disfunzionalità dell’organizzazione statuale: se la pena non viene somministrata immediatamente dopo la realizzazione del deviamento essa perde, in tutto o in parte, la sua forza dissuasiva generalizzata (essendo quest’ultima tanto maggiore quanto minore è l’intervallo temporale tra deviamento e punizione); se poi la stessa legge prevede modalità di attenuazione della pena successive alla sua attribuzione, la forza dissuasiva generalizzata della punizione si abbassa ancora di più.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 66-67)
29/52«La forza dissuasiva generalizzata della punizione può tendere a zero se il comportamento che lo stato considera deviante è profondamente radicato in una cultura che esprime un insieme di interessi negativamente coinvolti con gli interessi istituzionalizzati. In questo caso il comportamento che per la cultura istituzionalizzata è deviante viene considerato addirittura legittimo dalla cultura non istituzionalizzata (endogena) e l’interesse che lo stato protegge viene considerato antigiuridico dalla cultura endogena;»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 67)
30/52«In realtà il sequestro a scopo di estorsione è un reato che mette a dura prova la coerenza dei principi su cui si fonda l’ordinamento penale. Posto che ogni norma penale deve essere fondata su un interesse pubblico, cioè su un interesse riconosciuto e accettato come proprio da ciascun soggetto appartenente a una data collettività statuale, quale interesse pubblico viene sacrificato nel caso del sequestro?
Se quest’ultimo non implicasse la negoziazione “sequestro contro riscatto” nulla questio, nessun problema: il sequestro sarebbe a pieno titolo un reato contro la persona. Ma siccome il sequestro (quello a scopo di estorsione) implica che la liberazione del sequestrato sia subordinata al versamento del riscatto, si realizza uno spostamento dell’oggetto del reato dalla persona al patrimonio; infatti la privazione della libertà personale ai danni del sequestrato è solo uno strumento per l’acquisizione di un vantaggio patrimoniale da parte dei sequestratori.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 75-76)
31/52«Entro qualsiasi gruppo sociale (legittimato in forma statuale o no) l’interesse collettivo (pubblico nel caso di gruppo statuale) che si esprime come coinvolgimento positivo primario deve essere visto in una prospettiva che superi in linea di principio i singoli individui, i quali devono essere disposti a sacrificare qualsiasi loro interesse, se questo è strumentale per la tutela dell’interesse collettivo.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 84)
32/52«La norma penale serve limitatamente (data la incerta rilevanza della punizione in presenza di interessi devianti aventi alti livelli di intensità) entro una cultura in cui non esiste deviamento sociale, ma solo deviamento singolo; non serve se si tenta di imporla a una cultura ad essa eterogenea, in cui la norma venga usata contro il deviamento sociale.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 89)
33/52«Determinare cambiamenti nelle culture intervenendo sulle stesse mediante variabili esogene che non siano di tipo normativo-punitivo non è facile, soprattutto quando l’ordinamento politico è pluralistico e democratico; la classe politica tende infatti ad adeguarsi agli interessi della base del consenso, escludendo dal repertorio degli interessi pubblici qualsiasi atto che possa modificare le situazioni sociali esistenti.
Anche in questo caso il problema si pone in termini di coinvolgimento positivo di interessi. Se l’interesse collettivo al cambiamento della cultura endogena fosse stato prevalente, o se la classe politica l’avesse avvertito come prevalente, una operazione graduale e programmata di trasformazione si sarebbe potuta attuare, primariamente sul piano delle politiche sociali, attivando qualche forma di pianificazione sociale, non impositiva ma interattiva, orientata al depotenziamento del conflitto tra cultura endogena e cultura statuale.
Ma nulla è stato fatto in questo senso negli ultimi cinquant’anni. Evidentemente l’interesse al cambiamento non era prevalente, o se lo era nessuno si rendeva conto del fatto che il cambiamento per definizione investe globalmente il contesto sociale, tutta la cultura di un gruppo (così come investe globalmente la personalità); per cui non si può attivare alcun processo di sviluppo economico se non si realizzano le pre-condizioni sociali dello sviluppo, consistenti nello stretto adeguamento dei modelli tradizionali di organizzazione sociale ai nuovi modelli di organizzazione (industriale).
Il fatto che la classe politica non abbia avvertito alcuna esigenza di cambiamento che non fosse compatibile con interventi di tipo strettamente economico, dimostra che essa aveva (e ha) forti limiti nella percezione dei fatti sociali; limiti i quali hanno dato agli interventi pubblici un carattere di intrinseca contraddittorietà che ha aggravato il conflitto tra cultura endogena e cultura statuale, anziché attenuarlo o quanto meno tenerlo sotto controllo.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 100-101)
34/52«Come hanno operato le contraddittorie politiche economiche della Regione sarda? Da un lato con l’industrializzazione forzata delle cosiddette “zone interne” (così come di diverse altre aree), che si è risolta in un tentativo di imporre la cultura industriale; dall’altro lato sostenendo al di fuori del mercato, e quindi in modo assistenzialistico, l’economia tradizionale di tipo agro-pastorale.
In sintesi sono mancate tanto le pre-condizioni sociali, quanto le pre-condizioni economiche dello sviluppo; più correttamente, c’è stata una scelta distorta esprimente una caratteristica forma di potere deviante della classe politica; quest’ultima, anziché porsi come obiettivo lo sviluppo economico (e sociale), si è posta come obiettivo la massimizzazione della propria base del consenso, subordinando l’efficacia degli interventi pubblici alla persistenza nella gestione del potere.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 102)
35/52«La crisi che ha colpito negli ultimi decenni le localizzazioni industriali ha reso ancora più grave la già precaria situazione, determinando un forte depotenziamento della cultura industriale di mercato, viziata fin dall’origine dalle gravi disfunzioni dell’organizzazione politica in termini di potere deviante e dal fatto che non si poteva pretendere di sovrapporre sic et simpliciter il nuovo industrialismo alla cultura endogena, senza tentare contestualmente di modificare quest’ultima.
Il risultato di tutte queste operazioni è stato che, in presenza della crisi dell’industria da un lato e dell’endemica crisi del settore agro-pastorale dall’altro lato, la cultura endogena non si è modificata, con gravi conseguenze sul contesto sociale, che trovano nello stato di malessere di vaste aree, cioè nel deviamento potenziale o attuale generalizzato che in esse si riscontra, una delle espressioni più significative.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 103)
36/52«La storia studia i fatti passati nella loro irreversibilità individualizzata. La scienza sociale assume i fatti sociali come parametri o come variabili dipendenti o indipendenti e li inserisce nel proprio modello esplicativo (caratterizzato da una logica strutturale riferita a relazioni funzionali tra comportamenti), supponendo che le variabili (e a maggior ragione i parametri) si configurino nel contesto sociale considerato in modo statico (cioè non esprimano ambiti di variazione possibili: è questo il caso del cosiddetto equilibrio statico). Oppure assume il fatto sociale nella sua dinamica strutturale o evolutiva.
La dinamica strutturale esprime processi che prevedono una variazione nei valori della funzione alla quale consegue necessariamente un ristabilimento dei valori iniziali (è questo il caso del cosiddetto equilibrio stabile); oppure una variazione nei valori della funzione ai quali conseguono necessariamente valori diversi da quelli iniziali (è questo il caso del cosiddetto equilibrio instabile). La dinamica evolutiva non riguarda il fatto (inteso come insieme di relazioni tra comportamenti) nella sua individualizzazione, ma si riferisce al cambiamento della funzione nella quale il fatto compare come variabile indipendente, variabile dipendente o parametro, cioè alla modificazione della relazione che collega il fatto ad altri fatti.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 105-106)
37/52«Si è visto che lo studio di una cultura secondo un paradigma dinamico presuppone un modello esplicativo di tipo strutturale. Con riferimento a tale modello, l’analisi dinamica individua le sequenze operative specifiche di una cultura, in una logica di modificazione intertemporale; in modo tale da poter evidenziare, ove esistano, con riferimento alle variabili e ai parametri del modello, anche le corrispondenti modificazioni significative e inoltre le eventuali modificazioni delle funzioni che le collegano, entro intervalli temporali definiti. La modificazione delle funzioni esprime infatti la dinamica evolutiva, così come la modificazione delle variabili indipendenti e dipendenti (e dei parametri), data la funzione che le collega, esprime la dinamica strutturale.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 113)
38/52«Tutti i problemi sociali del deviamento, nella prospettiva ingenua ma purtroppo generalizzata del senso comune, diventano esclusivamente problemi penali. Di qui il ruolo della magistratura, necessariamente ampio. Molti si stupiscono oggi di questo ruolo tendenzialmente senza confini; ma esso è solo la conseguenza di una premessa quasi da tutti accettata: quella secondo cui i comportamenti possono essere soltanto buoni o cattivi, leciti o illeciti.
L’esperienza più immediata dell’uomo tende infatti a costruire punti di riferimento di facile comprensione. Separare il bene da male è la cosa più essenziale e gratificante, perché consente di mettere ordine in un mondo che appare molto disordinato: e il deviamento è sempre percepito come disordine.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 120-121)
39/52«Purtroppo non si riesce ancora a capire che ogni fenomeno sociale non nasce dal nulla, quasi fosse una manifestazione estemporanea di personalità isolate, ma è l’effetto di cause che bisogna ricercare nei processi interattivi; in breve, ogni comportamento umano è l’effetto diretto o indiretto di variabili sociali che lo determinano, cioè di altri comportamenti coi quali coesiste e interagisce.
L’idea che l’uomo sia una specie di monade, libera nelle sue scelte e nelle sue valutazioni, capace di rispondere solo a sé stessa, alla propria coscienza, o a una qualche realtà trascendente che ne costituisca il punto di riferimento e il traguardo, è un’idea metafisica molto rassicurante e coinvolgente, ma troppo semplicistica e del tutto priva di capacità esplicativa. Non spiega niente, ma tranquillizza tutti, perché sposta il problema della ricerca delle cause alla presunta eliminazione degli effetti.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 122)
40/52«Il processo di unificazione nazionale che ha sovrapposto con la forza una cultura regionale egemone a una molteplicità di altre culture, anch’esse regionali ma meno innovative, è sempre stato impostato in termini repressivi e punitivi e ha sempre preteso di imporre una unificazione tra contesti sociali radicalmente diversi, servendosi proprio, come strumento primario, di quel formalismo giuridico che può essere visto come punto di arrivo di un processo di unificazione, ma mai, come punto di partenza o come strumento per ottenere una qualche unificazione.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 125)
41/52«Il relativismo culturale costituisce uno degli aspetti più rappresentativi della società attuale. Di fronte alla pluralità degli atteggiamenti e dei valori, che rendono diversi i gruppi sociali e ne specificano i modelli di comportamento e di organizzazione generalizzati, bisognerebbe porsi il problema della integrazione dei molteplici sistemi di interazione sociale in una prospettiva di reciproco rispetto; che è poi la prospettiva su cui si fonda il concetto stesso di autonomia.
Il rispetto delle diverse culture trova appunto nella esigenza di integrazione un limite non superabile. Se si integra l’ordinamento sociale endogeno sardo con la cultura statuale, bisogna necessariamente modificarlo. Se viene modificato, in qualche modo viene distrutto. È legittimo distruggerlo senza la consapevolezza generalizzata dei gruppi sociali che lo interiorizzano e lo rappresentano? E come fare per ottenere questa consapevolezza?»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 126-127)
42/52«Il dogma inespresso che sta a fondamento del paradigma prescrittivo e del concetto stesso di norma giuridica, nella sua accezione punitiva, consiste nel considerare il conflitto, tanto sul piano conoscitivo, quanto sul piano sociale, come una caratteristica ineliminabile dell’interazione umana.
Al dogma della conflittualità consegue il dogma della punizione, che trova nel diritto (naturale e positivo) un quadro di riferimento nobilitante, al quale normalmente ci si riferisce quando si parla del problema dell’ordine, che Hobbes ha risolto nel modo più radicale, postulando il Leviatano, e che Parsons ha tentato di risolvere in termini funzionalistici.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 141)
43/52«Il potere istituzionalizzato si trasforma in potere deviante quando viene usato in funzione della persistenza di una data classe politica, cioè viene usato da quest’ultima per rendere statica (sul piano strutturale) e stazionaria (sul piano evolutivo) la propria base del consenso.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 144)
44/52«La storia passata, che qui viene presa in considerazione con riferimento alla dinamica strutturale (rispetto alla quale è considerata come parametro) e non alla dinamica evolutiva, è stata caratterizzata non solo dal persistente coinvolgimento negativo tra gli interessi della cultura endogena e quelli delle culture statuali esogene (di potere), ma anche dal contestuale atteggiamento di totale acquiescenza al dominio esterno da parte delle élites locali; e, inoltre, dal fatto che la stessa cultura endogena non è mai riuscita a esprimere in modo innovativo alcun ordinamento normativo di tipo statuale che manifestasse un’autonoma capacità organizzativa del contesto sociale, ma ha espresso solo forme primitive di organizzazione che non sono mai riuscite a superare i ristretti confini della famiglia estesa e del clan.
In questa situazione, caratterizzata tra l’altro da una tendenziale stazionarietà sociale ed economica, la società endogena non poteva che riproporre e tentare di realizzare i propri valori egualitaristici in forme del tutto anomale e nascoste.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 146)
45/52«In breve, la storia (sociologica e antropologica) della cultura endogena (che non è storia di res gestae, di fatti direttamente o indirettamente istituzionalizzati, che hanno nella forma organizzativa statuale il proprio punto di riferimento, non è storia concernente l’evoluzione di modelli di interazione sociale) mostra che questa cultura, non solo non è mai riuscita ad esprimersi autonomamente, ma si è sempre trovata in situazioni di conflitto con culture di tipo statuale che mutuavano dall’esterno il proprio principio di autorità. Anche nel periodo giudicale, che è considerato il momento in cui la cultura endogena si sarebbe espressa in forma statuale, il ruolo del giudice non è mai stato espressione diretta di autorità legittimata da questa cultura, ma un’espressione di autorità fondata su un potere originario esterno. Non è mai esistita una legittimazione endogena dell’élite politica, ma sempre quest’ultima è stata costretta a fondarsi su una legittimazione esogena.
La statualità di una cultura infatti non è espressa solo dalla forma organizzativa, ma dal fatto che il principio di legittimazione che fonda la forma organizzativa sia realmente endogeno, cioè dal fatto che l’élite politica abbia una base del consenso che si identifichi nella cultura endogena che l’élite esprime. Se ciò non accade si può avere forma o parvenza di stato, ma non in senso proprio stato, in quanto i punti di riferimento di una tale organizzazione sono diversi da quelli compatibili con la cultura endogena, tanto nei contenuti, quanto nel modello normativo proposto.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 146-147)
46/52«Se l’ordinamento istituzionalizza l’etica socializzante deve per coerenza dare realmente a ciascun soggetto un ruolo sociale ed economico. Di solito ciò non avviene, in quanto le modalità di acquisizione dei ruoli, legittimate (o istituzionalizzate) nel contesto sociale, non garantiscono situazioni paritetiche tra tutti i soggetti, data la diseguaglianza nella distribuzione delle risorse determinata dal sistema proprietario e dalla dinamica dell’accumulazione nel mercato.
Per esigenze di controllo non strettamente punitivo del deviamento, i gruppi che fondano la propria etica socializzante istituzionalizzata sui ruoli sociali ed economici (particolarmente riferiti alla proprietà privata e al mercato) di solito istituzionalizzano anche principi di etica individualizzante volti ad attribuire a ciascun soggetto un valore intrinseco; tale attribuzione, come si è detto, determina incoerenze e contraddizioni, che sono particolarmente rilevanti nel caso del sequestro.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 157-158)
47/52«Il tentativo di riscrivere la storia (sarda e italiana) fondandola su un concetto formalistico-giuridico di stato realizza un’arbitraria separazione tra forma-stato e cultura-stato. In Sardegna la forma-stato non è mai stata collegata a una cultura-stato endogena, ma sempre a culture-stato esogene. Per questo motivo il Regno di Sardegna del 1324 e, più recentemente, il Regno d’Italia non esprimono fasi evolutive del medesimo stato, ma connotano culture statuali radicalmente differenti, e quindi stati diversi.
Le fasi evolutive di una forma-stato non sempre si accompagnano a corrispondenti fasi evolutive della cultura-stato iniziale; anzi può accadere che la forma-stato iniziale si colleghi a una diversa e nuova cultura-stato. In questo caso cambia lo stato, come espressione contestuale di una forma-stato e di una cultura-stato.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 161-162)
48/52«La modificazione degli interessi (e delle relazioni tra gli stessi) esprime i cambiamenti legittimati nel contesto sociale, che configurano un equilibrio dinamico; quando questi cambiamenti non sono ammessi si ha un equilibrio statico (il quale può essere alterato dal deviamento e ricomposto dalla punizione). La norma giuridica e il principio del contrappasso presuppongono per definizione un equilibrio statico (che l’interpretazione della norma tenta di adeguare alla dinamica sociale).»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, p. 164)
49/52«La punizione, nell’ambito del senso comune, di solito è presa in considerazione (e somministrata) prescindendo da una individuazione esplicita degli obiettivi ai quali è resa strumentale. Questo errore è, a volte, compiuto dagli stessi studiosi del comportamento. A seconda del quadro di riferimento in cui opera, la punizione assume, infatti, connotazioni e produce effetti diversi. Essa può essere resa strumentale, in linea di principio, a obiettivi di contrappasso, a obiettivi di controllo sociale e a obiettivi educativi.
Il fatto che la punizione venga presa in considerazione (e somministrata) senza un quadro di riferimento esplicitamente determinato non significa, comunque, che questo riferimento non sia logicamente presupposto, sia pure in modo latente, non potendosi altrimenti parlare di punizione; significa piuttosto che gli obiettivi del contrappasso, del controllo sociale e dell’educazione non vengono differenziati, in quanto normalmente si assume che l’unico quadro di riferimento della punizione (e l’unico obiettivo al quale la punizione possa essere resa strumentale) sia il principio del contrappasso (così come è recepito nella norma giuridica e, in particolare, nella norma penale).»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 193-194)
50/52«La riabilitazione ha costi sociali molto elevati rispetto ai benefici che determina; per questo motivo la privazione della libertà personale può essere ammessa, anche prescindendo dalla riabilitazione, non come pena ma come pura e semplice misura di prevenzione e tutela sociale, collegata a una patologia del comportamento derivante da un processo di socializzazione anomalo; ma per far questo bisogna rinunciare a interpretare la pena mediante il principio del contrappasso.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 196-197)
51/52«Se al deviamento viene associata la riabilitazione, la punizione deve essere necessariamente interpretata e usata entro una logica di controllo sociale e non di contrappasso. In questo senso l’antinomia della pena risente della confusione tra contrappasso e controllo sociale.
È difficile modificare una situazione consolidata, anche se i dibattiti sulla pena e sulla rieducazione associata alla pena, pur nell’equivoco concettuale che manifestano, mostrano un progressivo depotenziamento, sul piano culturale (storico), dell’ideologia del contrappasso (depotenziamento che non può essere espresso compiutamente nella prospettiva formalistica di Kelsen). Pena e riabilitazione sono, comunque, concetti mutuamente esclusivi, in quanto postulano quadri di riferimento non compatibili.»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 197-198)
52/52«Il mancato effetto dissuasivo indica che la punizione non ha funzionato come variabile indipendente rispetto all’interruzione dei comportamenti strumentali devianti e che, con probabilità molto alta, in situazioni equivalenti, non funzionerà per il futuro.
In questa prospettiva, poiché il significato comportamentistico della pena non è l’espiazione, ma l’interruzione degli operanti strumentali che realizzano il deviamento, la operatività della pena rispetto al deviamento è nulla. Tuttavia la sua somministrazione, ancorché inutile per il deviante, è utile per conferire significato reale alla pena annunciata, cioè per impedire futuri deviamenti in soggetti che abbiano atteggiamenti devianti potenziali rispetto a quelli del deviante attuale.
È questo il significato sociale della pena e in questo significato si manifesta la sua antinomia: la pena non serve per (contro) il deviante attuale, ma serve per (contro) il deviante potenziale, per contrastare il deviamento (futuro) bisogna applicarla anche quando essa non è riuscita a impedire il deviamento (passato).»
(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 199-200)