«La situazione verificatasi in Sardegna dal 1944 (istituzione della consulta regionale) al 1949 (elezione del primo consiglio regionale) costituisce un esempio storico del modo in cui le élites politiche si comportano nella gestione del potere e del distacco tra la classe politica che detiene il potere e la restante parte della collettività che pone in essere puri comportamenti politici di accettazione, di delega e di legittimazione rispetto alla élite del potere. […] Le classi dirigenti di allora e in particolare la classe politica, presente nella consulta regionale, si trovarono nelle migliori condizioni per poter realizzare con riferimento all’idea storica di autonomia quel ruolo pedagogico e trainante che avrebbe consentito al popolo sardo, condizionato negativamente da secoli di asservimento, di acquisire una reale coscienza autonomistica, cioè di porre il principio autonomistico, nella sua dimensione storica, quale principio base di tutta l’azione politica in Sardegna. Due furono i fattori che impedirono alla classe politica di realizzare questa funzione trainante: da un lato l’ideologia e dall’altro lato la dipendenza.»
«Il rapporto stato-regione era visto in termini asimmetrici, di pura e semplice dipendenza; era un rapporto che prefigurava da un lato l’accettazione di uno stato coinvolgente e totalizzante e dall’altro lato la concessione di uno spazio di gestione amministrativa e politica del tutto ininfluente per lo stato e nei confronti dello stato. Uno scambio ineguale, che poneva la regione in una situazione di marcata inferiorità. Tale situazione, dati i presupposti istituzionali che la caratterizzavano, era vincolata a una dialettica che si è realizzata solo attraverso forme più o meno spinte di rivendicazionismo finanziario.»
(Un’autonomia in regime di dipendenza, pp. 20, 29)
- La negazione dell’idea storica di autonomia dopo il fascismo.
- Le grandi ideologie nazionali in Sardegna dopo il fascismo.
- I limiti culturali e politici del sardismo.
- Dipendenza e cooptazione nel ruolo del Psd’Az.
- Dipendenza politica e autonomia in regime di dipendenza
- Rivendicazione e potere deviante nella gestione politica in Sardegna.
- La cultura sarda.
- La classe dominante sarda.
- L’arretratezza sociale sarda.
- L’inesistenza di una classe borghese in Sardegna e il distacco tra élite rivoluzionaria e società sarda.
- Il «moto de su connottu» e l’incapacità dei sardi a porsi come classe sociale.
- Dalla dipendenza feudale alla dipendenza di mercato.
- L’impresa pastorale nell’equilibrio di povertà.
- Cultura pastorale, élite feudale ed élite rivoluzionaria.
- La fine dell’autonomia senza dipendenza.
Estratti brevi
1/17«Tutte le ideologie, insomma, essendo di natura esogena rispetto alla cultura sarda e rispetto a qualsiasi cultura locale o regionale dell’intera nazione, presentavano una caratterizzazione in termini di universalità che si storicizzava all’interno di tutto il territorio nazionale e che pertanto doveva necessariamente presupporre quella impostazione unitaria dello Stato che era sostanzialmente l’unico elemento della tradizione risorgimentale.
Da questo punto di vista, una nazione come l’Italia, che nel corso della sua storia non aveva saputo o potuto maturare altra cultura che non fosse quella risorgimentale dell’unificazione, non poteva lasciar spazio a culture autoctone di altro tipo e tanto meno a quelle culture autoctone che sostanzialmente si contrapponevano in modo esplicito o latente, negandola, alla cultura unitaria risorgimentale.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, p. 21)
2/17«Il sardismo nasce non come ideologia fondata su una ipotesi di negazione del dominio di uno stato esterno, non come portatore di valori di “sardità” diversi e contrapposti ai valori dell’unità, in quanto questi valori se vi fossero stati sarebbero certamente emersi ben prima della fine della guerra mondiale del 1915-1918; esso nasce come movimento dei combattenti sostanzialmente fondato, anche nelle sue formulazioni più mature, su una richiesta di risarcimento alla nazione per i sacrifici dei sardi durante la grande guerra; nasce quindi su una ipotesi rivendicazionistica che come tale non negava, ma presupponeva, lo stato nazionale.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, pp. 21-22)
3/17«Questi limiti culturali e politici del sardismo pesarono sempre negativamente su questo movimento anche quando esso assunse al suo interno istanze di partecipazione e istanze riformistiche, sia sul piano economico che su quello statuale. In realtà, tanto il riformismo quanto la partecipazione non potevano essere considerati come istanze tipiche del sardismo perché erano accettati da quasi tutti i movimenti politici che operavano nel territorio dell’intero stato. Restava l’idea autonomistica: troppo poco perché essa potesse costituire un’alternativa alle ideologie sociali e politiche di grande respiro portate avanti dai partiti nazionali; troppo poco perché concepita in termini di risarcimento, riscatto o rivendicazionismo che sostanzialmente presupponevano la struttura unitaria dello stato.
Il sardismo non seppe o non poté darsi in tal modo una ideologia; non seppe o non poté porsi al centro di aggregazioni stabili di interessi che poggiassero su elementi culturali e sociali alternativi rispetto alle grandi ideologie europee e nazionali.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, p. 22)
4/17«Il problema della dipendenza si presenta quindi anzitutto come problema della dipendenza politica. Questa dipendenza configura un fenomeno complesso in quanto mostra aspetti ideologici e culturali e aspetti più direttamente operativi legati alla specifica funzionalità del sistema. Ma esiste anche un altro tipo di dipendenza, ovviamente interconnesso con la dipendenza politica, e che presenta aspetti e problematiche suscettibili di approfondimenti specifici: si tratta della dipendenza economica. La dipendenza politica e la dipendenza economica sono le due forme di subordinazione sociale più rilevanti e più generalizzate; esse sono collegate da una relazione di strumentalità che pone normalmente la dipendenza politica come strumento della dipendenza economica.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, p. 23)
5/17«La dipendenza politica presenta un aspetto ideologico-culturale e un aspetto operativo. L’aspetto ideologico-culturale viene usato in funzione dell’acquisizione del consenso; esso risulta quindi strumentale rispetto al momento operativo della dipendenza politica che concerne l’espressione specifica della volontà politica, ovvero i limiti e le compatibilità delle scelte politiche. Nella realizzazione di queste scelte operative, i grandi partiti nazionali si sono sempre fondati su modelli di comportamento politico nei quali gli interessi regionali, e in particolare l’interesse della Sardegna, avevano un peso commisurato alla limitata forza politica e alla limitata forza partitica del contesto sociale sardo.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, pp. 24-25)
6/17«La politica in Sardegna, quindi, non si realizzava come momento dialettico di partecipazione e di confronto con le grandi scelte nazionali, che avrebbero sempre dovuto interessare positivamente la regione, ma si realizzava come momento di emarginazione e di convergenza su problematiche locali prive di dimensioni nazionali, cioè totalmente ancorate ai confini geografici e culturali dell’isola.
In questo modo, anziché attuare una propria integrazione nella dimensione nazionale, la Sardegna si è sempre più isolata; ma questo isolamento non ha avuto le caratteristiche della riconquista di un’autonomia culturale, economica e politica sempre negata, ma ha avuto le caratteristiche di una situazione di strumentalità e subordinazione rispetto alle grandi scelte nazionali che hanno considerato la Sardegna come elemento di contorno del tutto ininfluente rispetto alla politica nazionale. È questa appunto la situazione di dipendenza, che individua non già un isolamento autopropulsivo e innovatore, ma un isolamento sterile e subordinato rispetto alla comunità nazionale supinamente e acriticamente accettata sul piano culturale e politico.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, pp. 26-27)
7/17«Sulla base di queste premesse non ci si deve stupire se la politica della regione sarda si è sempre sviluppata attraverso fasi successive e ripetitive di sterile rivendicazionismo e di accattonaggio politico nei confronti dello stato e ha determinato in sede locale una esasperata frantumazione dell’azione politica resa evidente dalle giunte regionali che si sono avvicendate sino ad oggi; è stato in tal modo rinforzato l’esclusivo concentrarsi della lotta politica nell’isola sulla dinamica del potere deviante, accompagnata dalla distribuzione clientelare, a tutti i livelli, delle scarse risorse disponibili. Di qui la politica dell’assistenzialismo generalizzato, nell’agricoltura e nell’industria, dell’appoggio alla classe agro-pastorale senza alcun tentativo di modificare la combinazione produttiva delle attività di allevamento; di qui il sorgere, come momento sintetico dell’intervento dell’ente pubblico nel campo della politica economica, dell’incentivo monetario quale strumento fondamentale di dipendenza economica.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, p. 27)
8/17«Le difficoltà incontrate dall’attività di programmazione in Sardegna debbono essere ricondotte alla presenza di questi fattori disfunzionali; una volontà politica frantumata e concentrata esclusivamente sull’uso del potere deviante non poteva non accentuare il momento del consumo come momento base di utilizzazione dei trasferimenti monetari che la regione era riuscita ad ottenere dallo stato. Questo fatto favorì, dal punto di vista istituzionale, la suddivisione territoriale della Sardegna in aree troppo numerose e ristrette e impedì di cogliere la dimensione globale dei più importanti problemi dell’isola.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, p. 27)
9/17«Il destino tragico e certamente anomalo della Sardegna fu quello di aver maturato nei secoli una cultura e una società che sostanzialmente si autogovernavano in quanto prive di autocoscienza nazionale. Una miriade di culture locali tra loro perfettamente bilanciate, perché tutte troppo anguste in quanto stereotipate e ripetitive, escludevano ovviamente il formarsi dell’idea di nazione, che avrebbe implicato la leadership di una cultura con conseguente processo di assorbimento e riconversione di tutte le altre da parte della cultura locale egemone.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, p. 31)
10/17«Inesistente in Sardegna la classe borghese, intesa come gruppo sociale caratterizzato da un interesse allo sviluppo e quindi dalla attitudine all’imprenditorialità e all’innovazione. Il mercante-imprenditore non avrebbe potuto trovare spazio in un’economia di sussistenza non ancora orientata al mercato, nella quale la combinazione dei fattori produttivi non emergeva come interesse legato alla divisione del lavoro sociale, ma era realizzata nell’ambito delle singole unità familiari in funzione dell’autoconsumo.
Soprattutto l’inesistenza di una classe borghese, cioè di un gruppo sociale caratterizzato da un interesse primario alla combinazione dei fattori produttivi in funzione del mercato, ha inciso pesantemente e negativamente sulla evoluzione sociale e politica dell’isola. Tutto questo mentre la borghesia innovatrice nell’acquisire coscienza della propria forza sociale si trasformava in Francia, con la rivoluzione del ’89, da terzo stato in stato, determinando un radicale cambiamento delle strutture sociali.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, pp. 35-36)
11/17«Se si ripercorre la storia della Sardegna dalla fine del 1700 all’abolizione del feudalesimo, appare evidente come le rare occasioni di ribellione non abbiano mai coinvolto una classe sociale borghese; dai moti angioiani del 1796, all'eroico sacrificio del notaio Francesco Cilocco e del teologo Francesco Sanna Corda che nel 1802 sbarcarono sulla costa di Aggius per liberare la Sardegna dal dominio feudale, fino alla congiura del 1812 capeggiata dalla famiglia dell'avvocato Salvatore Cadeddu, ci si trova di fronte a tentativi dai quali emerge la totale assenza di una base di accettazione delle istanze rivoluzionarie che coinvolgesse, se non tutta, almeno una parte della popolazione.
Questi tentativi mostrano, infatti, da un lato una minoranza di uomini coraggiosi che non hanno esitato a sacrificare la propria vita o a sopportare atroci torture per portare avanti un ideale rivoluzionario di stampo illuministico del quale Angioi, forse l’unico sardo ad avere capito il senso della rivoluzione del ’89, era certamente il più maturo rappresentante; dall’altro lato, un clero e una nobiltà totalmente chiusi ad ogni istanza culturale moderna, incapaci di comprendere il senso della storia, e una massa popolare completamente priva di conoscenza, di consapevolezza, di coraggio, di intelligenza.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, p. 36)
12/17«Quantunque fosse emersa dal contesto sociale, la leadership di rivoluzionari coraggiosi operò senza classe; la storia della Sardegna in fondo si può sintetizzare in queste caratterizzazioni di base: una leadership culturale senza classe che tenta disperatamente e ripetutamente di operare come se una classe esistesse; una miriade di gruppi sociali totalmente privi di coscienza di classe, legati solo dalla esigenza di realizzare le condizioni più favorevoli alla gestione del proprio status-ruolo, privi quindi di obiettivi politici generali, privi della consapevolezza che le strutture sociali potessero essere mutate attraverso un’azione collettiva, convinti che il governo regio fosse un dato non eliminabile, quasi un elemento non modificabile dell’ambiente naturale.
Da questa incapacità a concepire un’azione di classe, da questa attitudine a considerare la società e le istituzioni come effetti di una logica del consenso che affonda le proprie radici culturali in un esasperato particolarismo al quale è estraneo il concetto di interesse collettivo, sorge la propensione rivendicazionistica come unica manifestazione dell’azione di gruppo.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, pp. 39-40)
13/17«Se si dovesse dare una definizione della cultura sarda in termini antropologici, presumibilmente si dovrebbe dire che questa cultura presenta come costante storica una totale acquiescenza del sardo nei confronti dell'ambiente, ovvero un suo persistente comportamento passivo nei confronti dell'ambiente. [...]
La considerazione dell’ambiente come dato e non come variabile ha portato a concepire la combinazione dei fattori produttivi in termini di equilibrio di povertà. Sotto questo profilo la azienda pastorale, così come storicamente si è venuta configurando, costituisce la combinazione più razionale possibile con riferimento all’ambiente dato. Questo tipo di azienda prescinde ovviamente dall’assetto proprietario e si realizza dal punto di vista istituzionale mediante una utilizzazione comune del fattore pascolo.
La società sarda caratterizzata dalla forma economica pastorale, la quale non incorpora in sé il rapporto proprietario, è una società sostanzialmente atomistica, priva di organizzazione sociale che superi i confini della famiglia estesa, del clan, e, come ultimo limite, del villaggio. In una società in cui l’uomo non risponde all’ambiente in modo innovativo risulta difficilmente concepibile una organizzazione statuale, che costituisca una risposta attiva alla situazione ambientale.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, p. 43)
14/17«L’idea storica di una autonomia senza dipendenza è stata affermata in Sardegna da una ristretta élite rivoluzionaria che non ha mai avuto una base di legittimazione popolare. Le cause di questa mancanza di legittimazione, di tipo socio-culturale, consistono nel fatto che la cultura pastorale non esprime alcun tipo di organizzazione sociale; essa è fondata unicamente sullo scambio tra singoli soggetti o famiglie entro il clan e tra singoli clan entro il villaggio.
Il venir meno della legge sociale dello scambio implica la vendetta. La cosiddetta “balentia” è una manifestazione della possibilità o capacità di vendetta che serve a rendere socialmente stabile in termini punitivi il rapporto di scambio sociale.
Sul piano economico, questa società dello scambio esprime 1'impresa pastorale che realizza una combinazione produttiva statica nella quale l'ambiente naturale è assunto come dato non modificabile e la dinamica tecnologica è in linea di principio respinta. Ciò significa che la società pastorale sarda è completamente chiusa a qualsiasi forma di dinamica culturale e non può esprimere per definizione alcun interesse comune istituzionalizzato. Non esistono interessi comuni sui quali si fondi una convergenza di atteggiamenti e di comportamenti tra i soggetti; cioè non esiste l'interrelazione congiunta che è la categoria sociale che sta alla base della organizzazione dei comportamenti di gruppo.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, p. 46)
15/17«L’autonomia senza dipendenza non ha mai varcato i confini dell’utopia in quanto non era sorretta da una classe sociale che la ponesse a fondamento della propria interrelazione congiunta. Una società fondata sullo scambio che non esprimeva alcun interesse comune istituzionalizzato non poteva infatti generare alcuna classe sociale, intendendo per classe un gruppo più o meno vasto di soggetti che interiorizzino un interesse comune e realizzino strutture sociali di tipo organizzativo strumentali rispetto al soddisfacimento di questo interesse. L'élite rivoluzionaria che in Sardegna portò avanti l'idea di autonomia senza dipendenza fu una élite senza classe.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, pp. 46-47)
16/17«Una élite senza classe fu anche quella che gestì il potere in modo subalterno rispetto alle varie potenze egemoni che nel corso della storia si impadronirono della Sardegna. Questa élite locale subalterna non poteva avere alcuna base di accettazione popolare per lo stesso motivo per cui non l’aveva l’élite rivoluzionaria; la cultura sarda era contraria o indifferente rispetto a qualsiasi tipo di cultura socialmente organizzata. Questo fatto spiega la relativa facilità con cui le potenze egemoni riuscirono di volta in volta ad affermare la propria supremazia sulla Sardegna senza mai realizzare alcuna possibilità di incontro o di dialogo tra la loro cultura e la cultura sarda. L’élite subalterna si reggeva su questo spazio sociale di indifferenza e di incomunicabilità tra cultura esogena e cultura endogena e quindi sulla incapacità della società sarda a esprimere un modello organizzativo statuale da contrapporre ai modelli organizzativi che venivano imposti dall’esterno.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, p. 47)
17/17«Nella autonomia in regime di dipendenza, l’insularità diventa l’unico elemento culturale capace di rendere specifico un modello autonomistico che è completamente integrato nelle strutture sociali ed economiche dello stato nazionale. Come si vede è un’autonomia culturalmente molto povera e molto diversa rispetto all’idea storica maturata nel XVIII secolo; un’autonomia così concepita non può non riconoscere lo stato nazionale e non può non realizzare situazioni economiche di dipendenza ampiamente sottolineate dalle anomalie che hanno caratterizzato lo sviluppo industriale sardo negli ultimi trent’anni e che hanno impedito la accumulazione endogena e la crescita dell’economia regionale e delle strutture sociali.»
(G. Bolacchi, Un’autonomia in regime di dipendenza, p. 48)