Analisi sperimentale del comportamento

Il metodo scientifico galileiano e lo studio del comportamento individuale e sociale

Giulio Bolacchi e i fondamenti metodologici del linguaggio della scienza

«Se è vero che la conoscenza galileiana del comportamento ha cominciato a realizzarsi circa tre secoli dopo l’inizio della rivoluzione conoscitiva nella fisica, si può capire anche perché la psicologia e la sociologia si siano trovate in questo periodo in un persistente stato di arretratezza, che ancora in buona parte permane. Pur essendo evidenti i vantaggi del metodo galileiano, nessuno studioso è riuscito, prima di Pavlov e di Skinner, a mettere in discussione il postulato della stocasticità del comportamento, al quale il pensiero filosofico ha sempre associato i concetti di “libertà” e “volontà”, che tuttora costituiscono un presupposto, tanto acritico quanto irrinunciabile, di tutte le filosofie, di tutte le ideologie e di tutte le psicologie e le sociologie pre-scientifiche.»

(Le scatole vuote della sociologia, p. 56)

Ostacoli alla diffusione della scienza del comportamento

«La diffusione delle scienze dell’uomo è ostacolata […] da errate impostazioni teoriche che hanno la loro origine, sia nella metafisica tradizionale, sia nella metodologia filosofica delle scienze sociali di Weber e in genere nel pensiero dei filosofi appartenenti alla cosiddetta scuola dello storicismo tedesco contemporaneo; pensiero che da molti, per via della sua contrapposizione con la metafisica tradizionale e delle sue aperture in termini di relativismo culturale, è tuttora considerato come un punto di arrivo insuperato della riflessione metodologica sul comportamento umano.

Questo tipo di problematica, in modo implicito o esplicito, fonda in ultima analisi la distinzione tra scienze storico-socialiscienze naturali su una diversità di oggetto tra i due tipi di scienze implicante una diversità di metodi conoscitivi.»

(Il problema del metodo nella sociologia, p. 4)

Il dualismo uomo-natura

«Dopo più di un secolo di sviluppo, le scienze sociali, in particolare l’economia, la psicologia e la sociologia, si trovano di fronte a basilari problemi interni connessi al fatto che i loro metodi di ricerca non si conformano a quelli della scienza naturale.

Questi problemi derivano dai persistenti pregiudizi sul dualismo uomo-natura [è stato] reso esplicito da W. Dilthey, il quale fonda la distinzione fra scienze umane (scienze della mente) e scienze naturali non sulla dottrina metafisica ontologica della “opposizione fra sostanze materiali e mentali”, ma, in una prospettiva gnoseologica, sulla “consapevolezza che l’esperienza vissuta dall’io […] è la base per il concetto stesso di sostanza”. In questo modo, la vecchia opposizione è sostituita da “quella fra i mondi esterno e interno: il mondo esterno espresso in percezioni esterne (sensazioni) attraverso i sensi, e il mondo interno presentato all’origine attraverso la comprensione interna di eventi e attività psichiche (riflessioni).” […]

In questo modo le “essenze” (con le loro molte e varie configurazioni), escluse dal mondo della natura, persistono nel mondo degli stati interni dell’uomo, inseriti in uno schema che li considera (in termini di volontà e intenzionalità) come anticipazioni mentalistiche e causazioni dell’azione (che per Dilthey è la “attività intenzionale dell’uomo”).» EN

(On “social sciences” and science, pp. 465-466)

Mentalismo e metodo introspettivo

«La realtà spirituale implicherebbe una particolare relazione tra soggetto e oggetto della ricerca, nel senso che mentre la natura si suppone come esterna al soggetto, lo spirito sarebbe qualcosa che il soggetto vive e sperimenta dall’interno. Questa distinzione implica una considerazione di tipo mentalistico dell’uomo e un metodo di ricerca fondato sull’introspezione; intendendo per mentalismo una prospettiva non sperimentale che considera il comportamento come una variabile dipendente funzione di variabili (indipendenti) non sperimentali che definiscono gli stati mentali o stati di coscienza del soggetto, e per introspezione il modo in cui il soggetto conoscerebbe questi suoi stati di coscienza.»

(Il problema del metodo nella sociologia, pp. 4-5)

Il dogma delle due conoscenze

«Il dogma delle due realtà, cioè della separazione dello spirito dalla natura, viene assunto come vincolo rispetto alla conoscenza e si traduce nel dogma delle due metodologie, che può essere anche interpretato come il dogma delle due conoscenze, una riferita allo spirito, l’altra alla natura.

Dilthey non tiene conto del fatto che con Galileo la conoscenza scientifica elimina il ricorso al concetto aristotelico di essenza (privo di capacità esplicativa) e sostituisce a esso la funzione matematica, cioè la relazione tra variabile indipendentevariabile dipendente, realizzando una rivoluzione metodologica che mostra un mondo di eventi naturali in coppie ordinate (non più singolarmente presi). Ma le essenze (nelle loro varie e molteplici configurazioni), escluse dal mondo della natura, persistono nel mondo degli stati interni dell’uomo, inquadrate entro uno schema che le considera (in termini di volontà e di intenzionalità) come anticipazioni mentalistiche dell’azione e le utilizza ancora oggi acriticamente per proporre la logica dell’uomo come agente iniziatore di una serie causalmente ordinata di eventi.»

(Il concetto di organizzazione secondo il paradigma scientifico, p. 274)

Il relativismo metodologico

«La considerazione dei processi interni, data la loro intrinseca soggettività, implica un modello di riferimento di tipo valutativo, quale il relativismo culturale. Purtroppo, quando i processi interni (e gli stati di coscienza che li esprimono) vengono considerati come l’unica ed esclusiva caratteristica dell’uomo, il relativismo culturale tende a trasferirsi dal piano valutativo a quello delle modalità conoscitive. Negli sviluppi più recenti, infatti, il dogma delle due metodologie si trasforma nel dogma delle molteplici metodologie: da un lato postulando una pluralità di metodi (fondati sull’intuizione e sul senso comune) corrispondenti alla molteplicità dei possibili oggetti della conoscenza e, dall’altro lato, negando o non riconoscendo la radicale diversità e incompatibilità del metodo scientifico rispetto a tutti gli altri metodi ipotizzabili. In questo modo la conoscenza sperimentale, per definizione operativizzabile in quanto intersoggettivacumulativa, viene posta sullo stesso piano della conoscenza esperienziale, segmentata in una molteplicità di prospettive senza paradigmi di riferimento intersoggettivi. Ne consegue una semplicistica equipollenza dei metodi conoscitivi, ai quali viene attribuita la stessa valenza euristica, che favorisce un uso molto tollerante dell’attributo “scientifico”, applicato e applicabile a tutti i possibili ambiti di ricerca.

Il relativismo metodologico trova nella coerenza, nell’intersoggettività e nella operativizzazione della scienza galileiana gli ostacoli più difficili da contrastare e superare. Non esistono infatti argomenti plausibili contro l’uso dell’esperimento controllato nello studio del comportamento umanosociale, a partire dai segmenti più basilari tipici degli organismo viventi non umani, ma solo pregiudizi antiscientifici

(Il concetto di organizzazione secondo il paradigma scientifico, pp. 275-276)

Le scienze storico-sociali

Nella prospettiva tradizionale in cui si realizzano le discipline sociali «la realtà spirituale [intesa come unità minima di analisi] viene considerata come realtà dinamica assoggettata a un continuo processo evolutivo; è appunto in questo senso che si parla di scienze storico-sociali

«Tutto il pensiero di Weber è viziato dalla confusione che egli opera sul piano metodologico tra momento storico considerato come orientamento verso l’individualità e momento scientifico o strutturale mirante alla determinazione di un sistema di “leggi”. È evidente come dal punto di vista del senso comune i fenomeni sociali ci si presentino nel loro continuo flusso, cioè come sottoposti a un mutamento di tipo irreversibile. Questo non implica però l’impossibilità di costruire una prospettiva strutturale, analoga (metodologicamente) a quella delle scienze naturali, in base alla quale sia possibile individuare relazioni tra fenomeni sociali non riducentisi al mero ordine temporale definito in termini di irreversibilità.»

(Il problema del metodo nella sociologia, pp. 5, 12)

La dimensione storica come presupposto metafisico

«Assumere la storicità come caratterizzazione peculiare del comportamento umano e quindi come elemento fondamentale di differenziazione di quest’ultimo dai fenomeni oggetto delle scienze naturali conduce a una duplice confusione metodologica, anzitutto perché la dimensione storica non è un attributo metafisico o una essenza tipica di alcuni fenomeni e non di altri, ma è solo una prospettiva metodologica, un modo di ordinare i fenomeni, e quindi anche quelli oggetto delle scienze naturali, potendo tutti i fenomeni essere considerati come appartenenti a una serie irreversibile caratterizzata dal fatto che l’unicità e la irripetibilità si assumono come elementi che determinano l’ordine dei fenomeni all’interno della serie. […]

In secondo luogo perché il presupposto metafisico della dimensione storica come tipica ed esclusiva del comportamento umano conduce necessariamente alla impossibilità di estendere allo studio del comportamento il metodo sperimentale delle scienze naturali, cioè alla erronea conclusione secondo cui i comportamenti umani non potrebbero essere ordinati in termini di reversibilità e quindi, potrebbero essere caratterizzati sulla base della relazione funzionale.»

(Introduzione a “La natura delle scienze sociali” di G.C. Homans, pp. 12-13)

Il concetto metafisico di causalità

«Il concetto di causalità che postula un insieme infinito di fattori determinanti è normalmente associato al concetto di storicità riferito a questa molteplicità di fattori. Se i fattori causanti sono infiniti, il fenomeno dato (causato) deve essere individualizzato e quindi deve essere irripetibile. Infatti, la ripetibilità che è tipica dello schema funzionale che caratterizza il linguaggio scientifico non è compatibile con un insieme infinito di cause, in quanto se un fatto individualizzato è prodotto da una molteplicità infinita di cause non è possibile operativizzare la relazione causale trascegliendo dall’insieme infinito una o alcune cause determinate.

È possibile soltanto un’imputazione causale a posteriori la quale non può essere operativamente verificata. Se la relazione causale che dovrebbe valere nelle scienze storico-sociali non è ripetibile ed inoltre non è verificabile operativamente, si può concludere che il concetto di causalità nelle scienze storico-sociali e il concetto di causalità utilizzato nelle scienze naturali hanno in comune solo il nome; l’unificazione metodologica delle cosiddette scienze storico-sociali e delle scienze naturali sulla base del concetto di causalità risulta pertanto meramente fittizia.»

«Nell’ambito del discorso scientifico, si tratti di scienze sociali o di scienze naturali, il postulato dell’infinita molteplicità di elementi, che è un postulato metafisico, non ha alcuna rilevanza. Pertanto, la molteplicità dei fattori causanti sia che la si voglia riferire solo all’ambito dei fenomeni sociali, sia che la si voglia riferire anche all’ambito dei fenomeni naturali non può essere assunta come un postulato della metodologia della scienza. Nell’ambito del discorso scientifico rilevano solo le relazioni strutturali esattamente caratterizzate come serie finite di rapporti i quali individuano le specifiche strutture logiche del discorso di ogni scienza.»

(Il problema del metodo nella sociologia, pp. 7, 14-15)

Il postulato della stocasticità dei fatti sociali

«La tesi della radicale separazione tra scienze della natura e scienze dell’uomo, spesso condivisa acriticamente dagli scienziati naturali più sprovveduti dal punto di vista metodologico, viene riproposta in modo apparentemente non filosofico quando si afferma che vi sarebbero due tipi di scienza entrambi in linea di principio caratterizzati dalla relazione funzionale: la scienza naturale che ammette la verifica sperimentale e la scienza sociale che, non potendo ammettere la verifica sperimentale, dovrebbe utilizzare unicamente il metodo statistico. Questa moderna riformulazione della dicotomia “uomo/natura” è condivisa da sociologi, e soprattutto da economisti ed econometrici, che non discriminano tra metodo scientifico e analisi statistica.»

«Coloro i quali affermano che i fenomeni sociali possono essere analizzati in modo scientifico solo se si utilizzano metodologie statistiche, fondano queste conclusioni sul postulato indimostrato secondo cui i fatti sociali avrebbero un carattere di stocasticità o aleatorietà che impedirebbe a priori qualsiasi approccio conoscitivo implicante l’uso del metodo sperimentale.

Ma la stocasticità che si assume come tipica delle variabili (o dei fenomeni) sociali presenta un aspetto profondamente diverso dalla stocasticità che si ha nel campo della fisica. […]

Il concetto di legge statistica in fisica è diverso dal concetto di legge statistica nella analisi sociologica ed economica in quanto con riferimento ai fenomeni sociali si assume che, a differenza della fisica, le correlazioni tra variabili e le generalizzazioni empiriche abbiano un ambito di significatività limitato nel tempo e nello spazio.»

(Le scatole vuote della sociologia, pp. 53, 54-55)

Il superamento del dualismo uomo-natura e la definizione sperimentale del comportamento

«L’area della ricerca sull’uomo e sulla società deve essere ridefinita, superando gli ostacoli e le preclusioni dell’ideologia filosofica e del senso comune. Il cosiddetto mondo dello spirito (mente), che non consente di costruire un linguaggio esplicativo univocamente definito su basi sperimentali e che postula in linea di principio una molteplicità di prospettive spesso tra loro contraddittorie, deve essere sostituito dal mondo del comportamento. Ciò non significa negare gli stati interni o gli stati cognitivi degli organismo umani; significa solo attribuire a tali stati (e al linguaggio che li esprime) una connotazione meramente descrittiva (non esplicativa).» EN

(On “social sciences” and science, p. 467)

Scienza e metodo sperimentale

«Solo utilizzando il metodo sperimentale si può fondare un discorso intersoggettivo che abbia la capacità di unificare fenomeni che al senso comune appaiono diversissimi, ma che nell’ambito della scienza vengono esplicati mediante predicati sperimentali e teorici aventi un vasto ambito di significatività. Così avviene nel caso della scienza del comportamento nella quale i medesimi predicati fondamentali sono utilizzati ai fini della esplicazione, non solo del comportamento animale e del comportamento umano, ma anche del comportamento individuale e del comportamento sociale.

In questo senso i predicati della psicologia comportamentistica appaiono veramente come i predicati unificanti di una pluralità di fenomeni che è tale solo per il senso comune, così come nell’ambito della fisica le leggi newtoniane del moto danno una esplicazione unitaria di fenomeni quali il moto dei corpi celesti, la caduta dei gravi e il moto dei corpi sulla superficie terrestre che al senso comune pre-galileiano (espresso dalla fisica aristotelica) apparivano come tra loro del tutto diversi e non unificabili.»

(Introduzione a “La natura delle scienze sociali” di G.C. Homans, pp. 15-16)

Prospettiva sperimentale vs. prospettiva aristotelica

«I.P. Pavlov e B.F. Skinner hanno operato al livello sperimentale isolando completamente il sistema dall’esterno. Tuttavia, questo fatto non ha ostacolato l’individuazione delle leggi fondamentali del comportamento; al contrario, è stato utile. Nonostante ciò, i moderni aristotelici sembrano non seguire la lezione della scienza. Essi persistono nel realizzare esperimenti che contraddicono il metodo scientifico e non tengono sotto controllo gli stimoli che hanno condizionato la storia passata (apprendimento come processo irreversibile) e che condizionano i comportamenti attuali (apprendimento come processo reversibile) dei soggetti sperimentali.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 326-327)

Gli studi sperimentali sugli animali

«L’analisi scientifica del comportamento umano si è sviluppata attraverso studi sperimentali effettuati sugli animali. È ormai un risultato acquisito dalla moderna psicologia che l’analisi dei processi psicologici deve essere condotta su base sperimentale e che un metodo adatto è quello di utilizzare animali in condizioni esattamente controllate, dato che la sperimentazione su animali offre delle possibilità che non possono ovviamente ottenersi quando si utilizzano esseri umani.

Dal punto di vista metodologico la psicologia comportamentistica afferma che la differenza tra l’uomo e gli animali non è qualitativa, ma semplicemente una questione di gradi di complessità. […] Una volta ammesso che la differenza è di grado è evidente che gli animali appaiono come gli organismi più adatti per analizzare sperimentalmente la struttura dei processi psicologici. In questo modo la psicologia si trasforma da analisi metafisica dei processi mentali in analisi scientifica del comportamento; diventa una scienza sperimentale nello stesso senso in cui lo sono la fisica e la biologia.»

(L’analisi scientifica del comportamento di scelta, I, p. 137-138)

La relazione Stimolo - Risposta

«L’esplicazione del comportamento si basa sulla definizione del soggetto (organismo) come insieme di risposte a un insieme di stimoli ambientali, che possono essere anche comportamenti di altri organismi. L’analisi sperimentale concerne lo studio della relazione funzionale tra lo stimolo (variabile indipendente) e la risposta (variabile dipendente) e suddivide l’insieme più generale dei comportamenti in due sub-insiemi: il sub-insieme dei comportamenti operanti (esplicato dalla relazione di rinforzamento) e il sub-insieme dei comportamenti rispondenti (esplicato dalla relazione di elicitazione). La distinzione, che su un piano sperimentale può essere ricondotta per i rispondenti a I.P. Pavlov e per gli operanti a B.F. Skinner, si fonda sulla diversa struttura dei due tipi di risposte e di stimoli. Gli operanti sono caratterizzati da sequenze strumentali, mentre i rispondenti sono semplici riflessi (assimilabili alle emozioni).

Dopo Skinner le analisi sperimentali sono state primariamente dirette verso il comportamento operante, dato il suo carattere di strumentalità, inteso come fattore fondamentale che connota la razionalità (nelle sue varie manifestazioni) e l’interazione sociale.»

(Il concetto di organizzazione secondo il paradigma scientifico, p. 276)

I.P. Pavlov e il comportamento rispondente

«Nel comportamento riflesso si ha un rapporto tra uno stimolo e un dato comportamento (risposta) tale che la risposta è direttamente provocata dallo stimolo ed è possibile predire la risposta con la massima precisione […]. Lo stimolo che ha la capacità di produrre un certo comportamento viene chiamato stimolo incondizionato (US), mentre la risposta viene chiamata risposta incondizionata (UR). Pavlov ha mostrato che associando a un US uno stimolo neutrale (il quale non ha di per sé la capacità di provocare il comportamento provocato dall’US) è possibile far acquisire a quest’ultimo le stesse proprietà dell’US. Per esempio, associando più volte uno stimolo sonoro al cibo, lo stimolo sonoro acquisisce la capacità di provocare la salivazione in un cane. L’intensità della risposta (salivazione) provocata dallo stimolo sonoro cresce col crescere del numero delle associazioni e contemporaneamente diminuisce il tempo di reazione, cioè il tempo che intercorre tra la presentazione dello stimolo sonoro e la salivazione. Lo stimolo sonoro viene chiamato stimolo condizionato (CS) e la salivazione da esso prodotta risposta condizionata (CR).»

(L’analisi scientifica del comportamento di scelta, I, pp. 140)

Comportamento rispondente e leggi del riflesso

«Le tre leggi del riflesso sono:

(1) legge della soglia: vi è un ambito di intensità al di sotto del quale non si presenta alcuna risposta e al di sopra del quale si presenta sempre una risposta;

(2) legge della intensità-grandezza: ad un’aumento dell’intensità dello stimolo corrisponde un aumento della grandezza della risposta;

(3) legge della latenza: ad un aumento dell’intensità dello stimolo corrisponde una diminuzione dell’intervallo di tempo tra l’inizio dello stimolo e l’inizio della risposta.»

(L’analisi scientifica del comportamento di scelta, I, p. 142)

L'esperimento base di B.F. Skinner

«In tale esperimento Skinner ha analizzato il modo in cui un ratto affamato apprende un certo comportamento. Il ratto viene situato entro un ambiente sperimentale progettato in modo innovativo da Skinner (detto Skinner box) nel quale è predisposta una leva che appena azionata determina l’introduzione nell’ambiente sperimentale, attraverso una apposita apertura, di una certa quantità di cibo. All’inizio dell’esperimento si osserva che il ratto pone in essere numerosi comportamenti. Può anche accadere che casualmente sposti la leva e in tal caso immediatamente viene introdotto nell’ambiente sperimentale del cibo. Col passare del tempo si osserva che mentre diminuisce la frequenza dei comportamenti consistenti nel correre, annusare, ecc., aumenta la frequenza del comportamento del premere la leva. Un apposito strumento collegato alla leva consente di tracciare su un nastro di carta le frequenze cumulate di questo comportamento in funzione del tempo. Il risultato è una curva crescente che viene chiamata curva dell’apprendimento.

L’esperimento mostra che l’ottenimento del cibo ogni volta che il ratto sposta la leva altera la probabilità (intesa come frequenza relativa) del comportamento: si dice anche che il cibo rinforza il comportamento consistente nel premere la leva. Il cibo viene chiamato stimolo rinforzatore e indicato con Smentre il comportamento del premere la leva viene indicato con R. Il processo di rinforzamento viene simbolizzato con l’espressione:

R → S+

(L’analisi scientifica del comportamento di scelta, I, p. 139)

Comportamento operante e apprendimento

Nell’esperimento base di Skinner «l’associazione dello stimolo-cibo con la risposta “premere la leva” ha come risultato un aumento della probabilità che si manifesti la risposta R (rinforzo di R ovvero forza dell’operante R, cioè predisposizione ad emettere un operante R senza ulteriore rinforzamento).

L’apprendimento può quindi essere definito come un cambiamento del comportamento che si manifesta per effetto di un processo di rinforzamento

(Processo di apprendimento e strutture ideologiche, pp. 13-14)

La relazione comportamento-ambiente: il comportamento operante

Le leggi scientifiche del comportamento

«In una prospettiva scientifica, possiamo assumere che esistano leggi del comportamento, ma queste ultime sono unicamente leggi dell’apprendimento e non debbono essere confuse con le contingenze ambientali […]»

Gli esperimenti mostrano che «i soggetti apprendono se i loro comportamenti operanti sono rinforzati; cioè, gli esperimenti verificano l’ipotesi secondo cui l’apprendimento è il processo di rinforzamento ed è ostacolato o facilitato da differenti tipi di eventi, quali la ripetizione delle sequenze operative, la storia passata del soggetto e le specifiche interazioni sociali che costituiscono gli stimoli comportamentali (esterni) che rinforzano il comportamento operante del soggetto.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 329, 327-328)

Legge dell'effetto e matching law

«I risultati fin qui raggiunti dall’analisi sperimentale del comportamento (animale) possono essere sintetizzati dalla legge dell’effetto: i comportamenti sono rinforzati dai loro effetti e questa relazione si realizza nell’ambito del processo di apprendimento, le cui variabili possono essere riportate a tre dimensioni quantitative che caratterizzano le contingenze di rinforzamento: il tasso di rinforzamento, la quantità del rinforzatore, il ritardo del rinforzamento. La matching law esprime queste basilari variabili del processo di rinforzamento. Solo l’esistenza di queste invarianti dell’apprendimento consente allo sperimentatore di ottenere specifici comportamenti dagli organismi attraverso la manipolazione delle contingenze di rinforzamento sperimentali.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 328)

Rinforzamento e discriminazione

«Quando il comportamento viene emesso solo se sono presenti certe circostanze si dice che esso è un comportamento discriminante. Sperimentalmente è possibile analizzare un comportamento discriminate rinforzando un dato comportamento […] in presenza di certe circostanze e non rinforzandolo se il soggetto pone in essere quel comportamento in assenza di quelle circostanza. Un esperimento che mostra il modo in cui può prodursi un comportamento discriminante è il seguente: un ratto viene situato in una scatola a collegata mediante una pista ad una scatola b in cui viene posto del cibo; se, quando trilla un campanello, il ratto percorre la pista trova in b del cibo; se invece si reca in b senza che il campanello abbia trillato non vi trova cibo. Il trillo del campanello (SD) diventa quindi la circostanza specifica in presenza della quale il comportamento consistente nel correre da a verso b (R1) viene rinforzato col cibo. Ripetendo più volte le prove il ratto impara a correre in b (R1) solo quando trilla il campanello (SD); il suo comportamento è sotto il controllo del campanello (stimolo discriminante). […]

Il processo di discriminazione riveste una importanza fondamentale per il fatto che lo stesso stimolo discriminante SD può rinforzare un comportamento R2 diverso da R1. Con riferimento all’esperimento descritto ciò può ottenersi situando una leva nella scatola a, connessa al campanello in modo tale che lo spostamento della leva faccia trillare il campanello. L’esperimento mostra che il ratto ogniqualvolta sposta la leva (R2) viene rinforzato da SD; per cui la frequenza di questo comportamento cresce rapidamente: il ratto impara a premere la leva e a produrre SD. […] A questo tipo di rinforzamento è stato dato il nome di rinforzamento secondario […].»

(Processo di apprendimento e strutture ideologiche, pp. 22-24)

La relazione di strumentalità

«Sul piano sperimentale abbiamo visto che SD acquisisce la proprietà di rinforzatore secondario nella ipotesi in cui R1 sia rinforzato da S+ solo in presenza di SD. Dire che SD rinforza un comportamento R2 significa fare riferimento implicitamente a una relazione tra R1 e R2, che possiamo chiamare di strumentalità. Dalla relazione di strumentalità […] deriva che SD acquisisce la proprietà di rinforzatore secondario in quanto è collegato a un comportamento R2 strumentale rispetto a R1. In altre parole, la associazione tra SD e il rinforzatore primario S+ produce effetti in quanto SD rinforza un comportamento R2 strumentale rispetto a R1 (rinforzato da S+).»

(Processo di apprendimento e strutture ideologiche, p. 25)

Punizione e estinzione

«Si parla di punizione con riferimento alla presentazione di un rinforzatore negativo o alla rimozione di un rinforzatore positivo […] Rimozione che risulta distinta dalla estinzione operante. In quest’ultimo caso si ha mancata presentazione del rinforzatore, che dà luogo a una diminuzione di frequenza di un operante; mentre nel caso della cosiddetta rimozione di un rinforzatore positivo si ha in senso proprio un impedimento a porre in essere una catena di comportamenti strumentali volti all’acquisizione del rinforzatore […].

Ma anche nell’ipotesi di presentazione di un rinforzatore negativo si può parlare di interruzione di una catena di operanti strumentali, proprio perché il soggetto al quale tale rinforzatore viene presentato è forzato a porre in essere un comportamento di fuga incompatibile con la sequenza comportamentistica in atto […]

Sia che si voglia costringere un soggetto a fare qualcosa, sia che si voglia costringerlo a non farla, l’unico risultato che si ottiene con la punizione —in termini di apprendimento— è dato dal fatto che il soggetto impara a sfuggire a un rinforzatore negativo, ovvero, nella ipotesi di rinforzamento secondario negativo, a evitare un rinforzatore negativo primario sfuggendo a un rinforzatore negativo secondario. […]

La punizione, pertanto, non può essere considerata come l’opposto della ricompensa.»

(Processo di apprendimento e strutture ideologiche, pp. 18-20)

Stato di deprivazione

«Nell’analisi delle leggi del rinforzo l’operazione di deprivazione è sempre presupposta. La relazione tra le modificazioni del comportamento e le contingenze del rinforzo (dato un certo stato di deprivazione) è quindi solo un aspetto del complesso processo di rinforzo. Il secondo aspetto è costituito dalla relazione tra le modificazioni del comportamento e le variazioni nello stato di deprivazione (restando costanti le contingenze del rinforzo). Il processo di rinforzo deve quindi essere esplicato non solo con riferimento alle variazioni nelle contingenze del rinforzo ma anche con riferimento alle variazioni nello stato di deprivazione.»

«Una operazione di deprivazione determina il valore rinforzante di una classe di stimoli dai quali possono dipendere diverse catene di comportamento. Tuttavia se l’organismo non ha acquisito il comportamento che lo condurrà verso il rinforzatore, la deprivazione stessa non potrà avere come risultato un rinforzo.»

(L’analisi scientifica del comportamento di scelta, I, pp. 154, 152)

Storia passata

«I tempo evolutivo comportamentale, che caratterizza la storia passata (apprendimento cumulativo) dell’organismo, allo stato attuale non può essere preso in considerazione quale variabile nelle funzioni che esplicano la dinamica strutturale del comportamento, ma deve essere inserito come parametro.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 321)

L'analisi sperimentale della motivazione

«Misurare la motivazione significa porre in relazione certi effetti sul comportamento, come la frequenza del comportamento o la resistenza all’estinzione, con la deprivazione […] (drive operations). Mentre nell’analisi del processo di rinforzo lo stato di deprivazione è presupposto e si studiano gli effetti sul comportamento in funzione delle variazioni delle contingenze del rinforzo, nell’analisi della motivazione sono mantenute costanti le contingenze del rinforzo e si studiano gli effetti sul comportamento in funzione della variazione dello stato di deprivazione dell’organismo.

Abbiamo quindi due classi fondamentali di operazioni:

(1) operazioni di deprivazione che si riferiscono al processo di rinforzo primario. A questo proposito bisogna notare che le operazioni di deprivazione non esauriscono il campo dei cosiddetti drives primari in quanto vi sono altre attività degli organismi che possono essere rinforzate mediante rinforzatori diversi da quelli corrispondenti alle operazioni di deprivazione. Tali attività sono i comportamenti volti alla ricerca di situazioni nuove, i comportamenti esploratori, i comportamenti manipolatori, e quelli volti alla ricerca del contatto fisico (J.R. Millenson, Principles of behavioral analysis, N.Y. Macmillan, 1967, p. 397);

(2) operazioni di rinforzo, le quali si possono ricondurre tutte, nell’ambito del rinforzo primario, alla presentazione o alla sottrazione di rinforzatori positivi o negativi.

Gli esperimenti effettuati consistono nel far variare l’uno o l’altro di questi fattori e nel collegare tali variazioni alle corrispondenti variazioni nel comportamento dell’organismo. Gli esperimenti concernenti le variazioni nel comportamento dell’organismo rispetto alle variazioni nelle contingenze del rinforzo, lasciando costanti le operazioni di deprivazione, ci consentono di individuare le leggi del rinforzo.

Operativamente, come abbiamo osservato, dovrebbe però esser possibile anche individuare quelle che possono essere chiamate leggi della motivazione. Come si è detto, si è cercato di ottenere ciò lasciando costanti le contingenze del rinforzo e ricollegando le variazioni nel comportamento alle variazioni nelle operazioni di deprivazione.

In questo modo si tenta di determinare il valore rinforzante di una data classe di stimoli. Le modificazioni del comportamento considerate come dipendenti dalle operazioni di deprivazione concernono: (a) l’incremento della resistenza alla sazietà, (b) la frequenza delle risposte emesse dall’organismo quando il comportamento è rinforzato in modo intermittente, (c) l’incremento di resistenza all’estinzione, (d) l’incremento nella rapidità di acquisizione di un comportamento, (e) l’incremento nella capacità di superare ostacoli, (f) l’incremento nel lavoro svolto dall’organismo per raggiungere il rinforzatore, (g) la capacità dell’organismo di tollerare rinforzatori adulterati, (h) la preferenza manifestata dall’organismo nei confronti di un rinforzatore rispetto ad altri (J.R. Millenson, Principles of behavioral analysis, op. cit., p. 373 e ss.).

Alcune di queste variabili, come la frequenza delle risposte e la resistenza all’estinzione, sono le stesse che nell’analisi delle leggi del rinforzo sono poste in relazione con le contingenze del rinforzo. Nell’analisi della motivazione esse sono invece poste in relazione con le operazioni di deprivazione. Altre variabili come quelle indicate ai punti (a), (g), (h), sono invece prese in considerazione esclusivamente nell’analisi della motivazione; assumono cioè un significato solo in relazione con le operazioni di deprivazione.»

(L’analisi scientifica del comportamento di scelta, I, pp. 153-154)

Precisazioni sul processo di rinforzamento e la discriminazione

«La formazione dello stimolo discriminante ottenuta rinforzando un dato comportamento in presenza di un particolare stimolo e non rinforzandolo in sua assenza, deve essere considerata come una specificazione del processo di rinforzo. Se si vuole evitare ogni riferimento mentalistico non è corretto caratterizzare lo stimolo discriminante introducendo una funzione discriminante, che verrebbe ad aggiungersi alla fondamentale funzione rinforzante sulla base della quale è caratterizzato il comportamento operante. Lo stimolo discriminante deve essere caratterizzato o in termini di elicitazione o in termini di rinforzo.

Poiché però come abbiamo visto lo stimolo discriminante non elicita la risposta, esso deve essere necessariamente caratterizzato come rinforzatore di un qualche comportamento. Se così non fosse occorrerebbe caratterizzarlo introducendo un terzo tipo di relazione diversa da quella della elicitazione e del rinforzo ma ciò implicherebbe la rinuncia a interpretare il comportamento discriminante come comportamento operante. Infatti, affermare che la relazione tra stimolo discriminante e risposta non è una relazione di elicitazione non basta per concludere che si tratta di comportamento operante; occorre ricondurre il comportamento discriminante nell’ambito della interpretazione fondata sul rinforzo e quindi caratterizzare lo stimolo discriminante come rinforzatore. È il fatto che lo stimolo possa svolgere le funzioni di rinforzatore (secondario) che consente di esplicare questo fenomeno in modo unitario nell’ambito dello schema del rinforzo.

Se negli esperimenti di discriminazione la proprietà di rinforzatore (secondario) dello stimolo discriminante non appare in modo evidente, ciò è una conseguenza della struttura dell’esperimento il quale è progettato in modo da porre in evidenza le operazioni di rinforzo (ed estinzione) di un dato comportamento in presenza (o in assenza) di un particolare stimolo e non il comportamento rispetto al quale lo stimolo discriminante è un rinforzatore. Quando trilla il campanello e il ratto corre verso il cibo viene posto in evidenza il fatto che il campanello controlla il comportamento del ratto che corre verso il cibo e non viene posto in evidenza il comportamento rinforzato dal campanello, il quale, date le condizioni estremamente semplificate in cui si svolge l’esperimento, non è un comportamento complesso, ma si riduce a un semplice aspettare che trilli il campanello. Solo quando lo sperimentatore collega la leva al campanello è possibile mettere in evidenza il comportamento, rinforzato in modo secondario dal campanello, consistente nel premere la leva.

Tuttavia, anche se manca tale connessione e un comportamento specifico rinforzato in modo secondario non è immediatamente evidente, lo stimolo discriminante agisce sempre come rinforzatore secondario ed è questa funzione rinforzante che consente di caratterizzarlo nell’ambito dello schema del rinforzo.»

(L’analisi scientifica del comportamento di scelta, I, pp. 145-147)

Un esempio di rinforzamento secondario: Cailletet e l'esperimento sulla liquefazione dei gas

«Un fisico francese, Cailletet, compiva nel 1877 un esperimento sulla liquefazione dei gas. Egli era convinto che l’acetilene potesse essere liquefatto sottoponendolo a una pressione di 60 atmosfere. Cailletet però sbagliava perché a 60 atmosfere l’acetilene non si liquefà. Mentre egli effettuava un esperimento, l’apparecchiatura al raggiungimento delle 60 atmosfere cominciò improvvisamente a perdere pressione a causa di un difetto tecnico. Cailletet notò che immediatamente si formava una nebbiolina costituita da gocce di acetilene. Egli ripeté l’esperimento e nuovamente notò che appena l’apparecchiatura cominciava a perdere pressione si riformava la nebbiolina. In tal modo egli imparò che una improvvisa diminuzione della pressione (dopo la compressione) provoca la liquefazione dell’acetilene.

Il modo in cui Cailletet fece la sua scoperta può essere esplicato sul piano psicologico in termini di rinforzamento secondario. Lo stimolo primario S+ è in questo caso la liquefazione dell’acetilene; il comportamento R1 consiste nel comprimere il gas fino a 60 atmosfere, lo stimolo discriminante SD è il difetto della apparecchiatura che provoca la perdita di pressione. Possiamo quindi dire che R1 (comprimere il gas) è seguito da S+ (liquefazione del gas) solo in presenza di SD (difetto dell’apparecchiatura). Se non vi è quello specifico difetto tecnico, R1 non è seguito da S+. Perciò S+ rinforza R1 solo quando è presente SD.

Comportamento operante e rinforzamento strumentale

Lo stimolo Srinforzò in Cailletet un altro comportamento. Infatti per poter ottenere la liquefazione con una apparecchiatura senza difetti occorreva produrre una perdita di pressione. Cailletet perciò costruì una valvola mediante la quale poteva abbassare la pressione al momento giusto. Riassumiamo quest’ultima situazione con il diagramma n. 4.

In questo esperimento lo stimolo discriminante SD opera come rinforzatore secondario di un comportamento consistente nella costruzione di una valvola (R2) mediante la quale la pressione può essere abbassata al momento giusto. Questo comportamento è strumentale rispetto al comportamento consistente nel liquefare il gas (R1) e pertanto il rinforzamento che si riferisce a R2 è un rinforzamento secondario.»

Nota: La storia della scoperta di Cailletet è riportata in: K. Mendelsshon, Sulla via dello zero assoluto. Sviluppo e significato della fisica delle basse temperature, Milano, Il Saggiatore, 1966, pp. 7-8.

(Processo d’apprendimento e strutture ideologiche, pp. 31-33)

Una applicazione dei principi del comportamento operante: l'istruzione programmata

«L’istruzione programmata è una tecnologia dell’insegnamento, l’unica allo stato attuale della ricerca scientifica, che supera il vecchio pedagogismo fondato su tesi ideologiche e sulla psicologia del senso comune; essa è una conseguenza delle leggi sperimentali del comportamento operante. L’analisi sperimentale del comportamento animale, realizzata secondo i rigorosi canoni metodologici della ricerca scientifica, consente di individuare in modo preciso la struttura del processo di apprendimento e consente di separare dall’apprendimento tutti gli elementi spuri quali la punizione, l’ansietà, la frustrazione e la conflittualità, che costituiscono in modo manifesto o latente i fattori che caratterizzano l’insegnamento tradizionale.

Perché l’apprendimento possa realizzarsi occorre che l’allievo abbia un interesse ad apprendere, che il docente rinforzi sempre e solo in modo positivo i comportamenti dell’allievo volti alla soluzione di problemi, che il rinforzamento positivo faccia seguito immediatamente alle risposte esatte dell’allievo. Non occorrono quindi punizioni, non occorrono costrizioni, non occorre emulazione nei confronti dei compagni di studio, non occorre conflittualità, non occorre potere disciplinare, non occorre distacco personale tra docente e allievo. L’analisi scientifica mostra inoltre che l’insegnamento deve essere realizzato in modo da tener conto delle attitudini e dei tempi di risposta dell’allievo. L’insegnamento in classe, che si fonda su ritmi standardizzati di apprendimento prefissati dal docente, che quasi mai coincidono con quelli degli allievi, determina gravi difficoltà per gli allievi che abbiano ritmi di apprendimento inferiori a quelli prefissati dal docente e fa ricadere la “colpa” sull’allievo che viene assoggettato a profonde frustrazioni che hanno riflessi negativi sulla personalità, anche al di fuori dell’ambiente scolastico. In realtà le difficoltà di apprendimento dell’allievo sono in questi casi effetti della discrepanza esistente tra ritmi di insegnamento e ritmi di apprendimento.

Da queste analisi alla operativizzazione delle leggi sperimentali dell’apprendimento il passo è breve.

Vengono elaborate le tecniche fondate sulla partecipazione attiva dell’allievo al processo di apprendimento: i contenuti da trasmettere vengono programmati, cioè definiti in sequenze ordinate e logicamente coerenti in cui tutti i passaggi sono isolati e chiariti, mediante la costruzione di un discorso deduttivo che mostra tutte le possibili implicazioni della materia trattata. Si parte dagli elementi più direttamente accessibili all’allievo, dato il suo livello culturale, e attraverso successivi inserimenti di elementi sempre più complessi, ma sempre rigorosamente e chiaramente definiti, si costruiscono tutti i contenuti culturali che si vogliono trasmettere.

Il programma procede mediante schede base di riferimento che contengono quantità di informazioni più o meno ampie a seconda della posizione della scheda nella sequenza ordinata in cui tutte le schede sono inserite. Le schede iniziali dell’intero programma contengono quindi basse quantità di informazioni, le schede finali del programma contengono elevate quantità di informazioni, in quanto i loro contenuti semantici possono essere compresi solo se si passa attraverso la sequenza continua di tutte le schede precedenti. L’ordine delle schede è quindi fondamentale ai fini del corretto apprendimento della materia. Nessuna scheda può essere tralasciata in quanto tutte sono essenziali, essendo tra loro logicamente collegate in modo strettamente deduttivo. […]

Ogni scheda, nel fornire una data quantità di informazioni all’allievo, pone a quest’ultimo un problema prospettandogli diverse ipotesi alternative di soluzione tra cui quella esatta. L’allievo è in grado di rispondere unicamente sulla base delle informazioni che ha già acquisito nel corso del programma; non gli sono necessarie altre informazioni esterne.

Se l’allievo sceglie l’ipotesi di soluzione sbagliata trova una scheda base di riferimento che gli spiega l’errore e lo rimanda alla posizione iniziale. Solo quando la soluzione scelta dall’allievo è quella esatta la sequenza informativa può procedere e l’allievo viene posto di fronte a un nuovo problema da risolvere. In questo modo l’allievo apprende individualmente e può adattare il ritmo del processo di apprendimento alla capacità e ai tempi di soluzione dei problemi che gli sono propri.

In questo tipo di istruzione programmata l’allievo è portato a scegliere con maggior frequenza la risposta esatta rispetto alle risposte sbagliate; ciò deriva dal fatto che le singole schede sono disposte in una sequenza logica coerente e dal fatto che le informazioni necessarie per risolvere un problema sono tutte contenute nella scheda che pone il problema e nelle schede che la precedono nella sequenza logica. L’allievo inoltre viene rinforzato in modo positivo, in quanto prova soddisfazione nella soluzione del problema cui è motivato. Gli viene detto che la risposta è esatta e la formulazione della risposta viene ripetuta. Ovviamente il rinforzamento positivo in senso tecnico potrebbe consistere anche in una approvazione avente carattere sociale, quale l’approvazione diretta da parte del docente. Ma questo non può essere fatto nel caso dell’istruzione programmata somministrata mediante una macchina o mediante un libro.

Il rinforzo positivo, inoltre, viene fornito solo in corrispondenza della risposta esatta che è sempre l’ultima delle possibili risposte date dall’allievo. Le risposte sbagliate non sono mai punite, neppure verbalmente, in quanto si evita di usare anche il termine “hai sbagliato”; di solito si riprende il discorso invitando l’allievo a riflettere e gli si mostrano le incongruenze logiche implicite nella sua scelta, fornendogli ulteriori elementi che possano aiutarlo a risolvere il problema in modo corretto. In tal modo il processo di apprendimento dell’allievo non viene “disturbato” da una scelta “sbagliata”; viene solo inserito nel processo un segmento semantico che gli consente di approfondire le argomentazioni logiche che lo portano alla corretta conclusione della sequenza.

Nel processo di apprendimento che utilizza la tecnologia dell’istruzione programmata lo status-ruolo del docente viene modificato. Le funzioni di trasmissione delle informazioni culturali e di controllo dell’avvenuta memorizzazione non sono più necessarie, mentre diventa rilevante la funzione di programmazione dell’apprendimento. La redazione del programma implica elevati livelli di professionalizzazione non solo nella materia oggetto, ma anche nella logica e nella psicologia dell’apprendimento.»

(Problemi concernenti una campagna di promozione sociale contro gli incendi, pp. XLV-XLVIII)

Effetti disfunzionali della punizione nelle istituzioni educative

«Se la punizione non è strettamente rapportata agli specifici obiettivi per cui dovrebbe essere usata, si producono gravi danni sociali: i processi di apprendimento vengono compromessi, la personalità del punito (e di chi punisce) viene alterata (determinando anche effetti patologici rilevanti), l’interazione sociale si manifesta in termini conflittuali, vengono elicitati fattori emotivi di disturbo.

Tutte le attuali istituzioni educative, dalla famiglia alla scuola, si conformano strettamente a un uso acritico e tradizionale della punizione entro il contesto del contrappasso.»

(Il sequestro come fatto sociale, p. 195)

«Gli effetti disfunzionali della punizione sul rapporto apprendere-insegnare possono essere chiariti distinguendo due tipi di processo punitivo: (a) il primo consiste nel punire un comportamento del discente che chiamiamo “non studiare”; (b) il secondo nel punire questo comportamento specificando però una alternativa di comportamento e una ricompensa nel caso in cui il discente scelga questa alternativa.

Supponiamo ora che venga punito il comportamento del discente “non studiare”. Se si fa l’ipotesi che il discente non abbia una motivazione ad apprendere, un eventuale comportamento consistente nello “studiare” è necessariamente strumentale, non già rispetto a un interesse il cui soddisfacimento implichi l’utilizzazione di certe conoscenze, ma unicamente rispetto all’interesse ad evitare la punizione. Il comportamento del discente che risulta rinforzato si riduce perciò a una pura e semplice memorizzazione delle informazioni trasmesse dal docente. Possiamo dire che il discente impara a memorizzare, quale comportamento strumentale rispetto all’evitamento della punizione. Ovvero, attraverso il processo punitivo, apprende che il comportamento consistente nel memorizzare è strumentale rispetto al venir meno della punizione […].»

«Solo nel caso in cui il discente abbia una motivazione alla conoscenza è possibile un effettivo apprendimento della materia insegnata, perché solo in questo caso lo studiare è strumentale non rispetto a ricompense estrinseche, ma rispetto a comportamenti la cui realizzazione implica la utilizzazione delle conoscenze acquisite, cioè la loro operativizzazione.

La differenza tra la punizione associata a una alternativa di comportamento (rinforzato positivamente) e la semplice punizione del comportamento non studiare, consiste quindi nel fatto che mentre nel primo caso la memorizzazione dell’informazione è anche strumentale rispetto all’ottenimento di una ricompensa estrinseca allo studio, nel secondo caso essa è strumentale solo rispetto all’evitamento della punizione; ma in entrambi i casi si ha memorizzazione, non apprendimento della materia insegnata.»

(Processo d’apprendimento e strutture ideologiche, pp. 36-37, 38)

Comportamento operante e ambiente sociale

Interazione sociale e rinforzamento

«Tutti i possibili tipi di interazione sociale devono essere esplicati in termini di rinforzamento, in quanto gli stimoli rinforzatori delle sequenze di comportamenti sociali realizzati da un soggetto sono, per definizione, costituiti dai comportamenti di altri soggetti. […] l’insieme di stimoli sociali (l’ambiente sociale) non sostituisce o elimina l’insieme di stimoli naturali, ma estende l’ambito di controllo sul comportamento, ponendo un ulteriore vincolo relativo alla realizzazione delle sequenze strumentali: affinché il soggetto possa completare la sua sequenza col comportamento consumatorio finale, è necessario che il comportamento strumentale sia compatibile non solo con l’ambiente fisico, ma anche con l’ambiente sociale.» EN

(A new paradigm for the integration of the social science, pp. 332-333)

Stimoli sociali e stimoli naturali

«In questa situazione un nuovo insieme di stimoli (sociali) si aggiunge agli stimoli (naturali) dell’ambiente fisico. Ne consegue che lo stimolo discriminante SD per A è non solo […] il rinforzatore secondario naturale, SDn, ma anche il comportamento strumentale (risposta) di B, […] RSB, dove s sta per “strumentale”. In questo caso, il secondo insieme di stimoli (sociali) non rimuove l’insieme di stimoli naturali, ma ne limita l’ambito di controllo sul comportamento. […]

Allo stesso modo, lo stimolo discriminante SD per B non è solo […] il rinforzatore secondatio naturale, SDn, ma anche il comportamento strumentale (risposta) di A […] (RSA). […] Queste relazioni sono rappresentate, per i soggetti A e B, nella figura 15.1.

Quindi, il contesto sociale pone ulteriori vincoli con riferimento alla realizzazione delle sequenze strumentali dei soggetti: affinché i soggetti realizzino il comportamento consumatorio RC, è necessario che il comportamento strumentale, RS, sia compatibile non solo con l’ambiente naturale (fisico) (SDn), ma anche con l’ambiente sociale (SDs).» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 331)

Rinforzamento sociale

«Ai fini dell’analisi dell’interazione sociale, viene presa in considerazione solo la relazione (funzione) tra il comportamento del soggetto e gli stimoli sociali. L’ambiente naturale è considerato un parametro, in quanto si dà per scontata la presenza di stimoli discriminanti o rinforzatori secondari naturali. Di fatto, è possibile supporre che una sequenza strumentale si realizzi in un contesto caratterizzato unicamente da variabili e parametri (vincoli) di tipo fisico in assenza di qualsiasi variabile e parametro sociale, ma non è in alcun modo possibile supporre che una sequenza strumentale si realizzi in assenza di variabili e parametri di tipo fisico.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 332)

L'esperimento di Herrnstein sull'interazione sociale

«Il ruolo del rinforzamento nell’ambito dell’interazione sociale è esplicato nelle sue invarianti strutturali (che si applicano, per definizione, a tutti gli organismi viventi, uomo compreso) mediante un esperimento, semplice ma rilevante, realizzato da R.J. Herrnstein (1964). L’esperimento è realizzato utilizzando due piccioni, il piccione A e il piccione B, che vengono posti in un ambiente sperimentale controllato e tenuti separati da una parete trasparente. Il piccione A viene in precedenza addestrato a beccare un disco situato sulla parete trasparente e viene rinforzato con cibo (rinforzatore primario).

L’esperimento è progettato in modo che al piccione A venga fornito cibo quando becca il disco, ma solo se il piccione B si trova situato, rispetto ad A, nell’angolo sinistro dell’ambiente sperimentale. Se si verifica questa situazione (stimolo discriminante/rinforzatore secondario), allora viene fornito cibo anche a B; se invece A becca quando B si trova in un’altra qualsiasi posizione, allora viene fornito cibo solo a B. Poiché il beccare di A è rinforzato solo quanto B si trova nell’angolo sinistro, A impara a beccare solo quando B si trova in quella particolare posizione. D’altra parte, B è gradualmente rinforzato solo quando si trova nell’angolo sinistro dell’ambiente sperimentale, poiché in quella posizione viene fornito cibo a entrambi i piccioni. Perciò B, anziché muoversi, impara a restare nella posizione più favorevole per l’altro piccione e, conseguentemente, anche per se stesso.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 330-331)


Herrnstein, R.J. (1964). Will. Proceedings of the American Philosophical Society, 108(6), 455-458.

Esperimento di Herrnstein sul comportamento sociale«This demonstration of one pigeon’s teaching another to do something was designed for amusement, and, hopefully, the enlightenment, of students in an introductory course in psychology. The demonstration is easy to construct and quite simple to describe, but it carries a principle that is far from plain to see, for our vision of it is almost hopelessly blurred by ancient misconceptions about behavior and the mind.» (p. 455)

«One can always invent an internal monologue for animal that seems to parallel the observed changes in behavior; but one’s empathic facility ultimately vanished, after one has seen often enough how directly the changes in behavior flow from the contingencies of reward and punishment, needing nothing more in order to be quite satisfactorily explained. … The will, which is the title of this talk, no longer finds place here except as it is the name we choose to give the natural law of behavior that we observe.» (p. 458)

Scienza del comportamento e comportamento economico

«L’ipotesi qui avanzata, cioè che i comportamenti economici e sociali siano comportamenti appresi, spiega la mancata conformità fra i risultati finora raggiunti dall’economia sperimentale e la teoria economica. La diffusa accettazione che questi esperimenti ancora ottengono può essere imputata a un errore derivante dalla mancata comprensione della distinzione fra conoscenza scientifica e conoscenza del senso comune.

Nella  prospettiva della scienza, possiamo supporre che esistano leggi del comportamento, ma si tratta unicamente di leggi dell’apprendimento e queste ultime non devono essere confuse con le contingenze ambientali (cioè con i “contenuti” dei programmi di rinforzamento), dalle quali dipende anche il comportamento economico. Allo stato attuale l’economia è costruita come sistema teorico, ma senza l’analisi sperimentale del comportamento non è possibile capire i limiti e il reale significato dell’economia, né tantomeno usare questo sistema in modo appropriato (e non alla cieca, come si tende a fare attualmente).» EN

«Per verificare l’equilibrio del sistema di mercato sarebbe necessario predisporre un contesto sperimentale privo di “frizioni”, cioè un contesto in cui tutti i comportamenti (appresi) non compatibili con i principi dell’equilibrio economico perfetto siano tenuti sotto controllo (parametrizzati). Ma un tale contesto non sembra possibile, né quando si ricorre a soggetti umani, né (per differenti motivi) quanto si ricorre agli animali.

Le interpretazioni comportamentistiche degli esperimenti relativi alla teoria dei giochi evidenziano questo fatto. In questi esperimenti la convergenza verso l’equilibrio (quando questo si realizza) è solitamente basato sulla ripetizione del comportamenti che da luogo a un processo per prove ed errori. Tale processo è guidato dalle specifiche contingenze di rinforzamento e della procedura con prove ripetute. Perciò è erroneo considerare tali assetti come verifiche delle funzioni economiche dinamiche formulate come ipotesi di equilibrio proprie dei comportamenti (o del cervello) dei soggetti. Ed è altrettanto erroneo considerare i giochi sperimentali di questo tipo, attualmente popolari fra gli economisti, come in grado di fondare un nuovo modello teorico nel campo dell’economia o, più in generale, delle scienze sociali (soprattutto in termini di fiducia e equità). Il fatto che le persone sia egoiste o altruiste è una questione di apprendimento; i soggetti apprendono, durante gli esperimenti, anche la cooperazione e il conflitto (come nel caso dei giochi a somma zero, dove i giocatori tendono a ottimizzare le loro strategie conflittuali). In sintesi, quando gli esperimenti nell’ambito della teoria dei giochi, e in generale tutti gli esperimenti (cognitivistici) di differente tipo, sono interpretati sulla base di una prospettiva comportamentale (non comportamentistica), vengono formulate asserzioni sui comportamenti (attuali o passati) dei soggetti, ma tali asserzioni non possono essere estese a tutti i soggetti come regola generale.» EN

«Il concetto di “comportamento impulsivo” è stato usato dai comportamentisti per proporre una spiegazione di alcune deviazioni sperimentali rispetto al modello esplicativo basato sulla considerazione del comportamento in termini strettamente razionali in senso economico. In particolare, il postulato della transitività che deve caratterizzare il preordine (completo) delle preferenze (nella terminologia di Debreu: pp. 7-8, 54ff.) di un “agente” razionale viene spesso falsificato con riferimento al comportamento umano e anche dalle verifiche sperimentali sul comportamento animale, posto che “la matching law prevede che il piccione modifichi le sue preferenze (‘cambi idea’) col trascorrere del tempo” e che conseguentemente “la matching law, che prevede l’inversione, postula che il valore sia una funzione iperbolica (inversa) del ritardo temporale, non una funzione esponenziale. La matching law stabilisce che il comportamento sia spesso incoerente proprio in questo modo.” (Rachlin e Laibson 1997, p. 103)

Sul tema dell’autocontrollo, Rachlin e Laibson (1997) osservano: “Si dice spesso che le persone che scelgono l’alternativa quantitativamente più grande e più distante nel tempo si stanno controllando (nel senso che stanno rinunciando a una alternativa più piccola ma avente pur sempre valore positivo). Per la stessa ragione, se scelgono l’alternativa più piccola e più vicina nel tempo vengono dette ‘impulsive.'” (p. 101) Analogamente Herrnstein (1997) afferma che “il comportamento è impulsivo se sacrifica le considerazioni di lungo periodo per guadagni di breve periodo; è auto-controllato nel caso contrario” (p. 121). […]

Tutti questi esperimenti suggeriscono che la instabilità della transitività delle preferenze, cioè il modo in cui un individuo attribuisce un valore ai propri comportamenti nel corso del tempo, deriva dai processi di apprendimento (rinforzamento). Conseguentemente, tanto l’ordine delle preferenze quanto la sua inversione (con particolare riferimento alla transitività della relazione “non è preferito a”) sarebbero determinati dalle variabili sociali. In questo senso può dirsi che la coerenza fra due o più insiemi di comportamenti realizzati (o che potrebbero essere realizzati) da un individuo o un gruppo, posto che dipendano da un processo di apprendimento, implica che tale apprendimento abbia luogo in un contesto di stimoli esterni coerenti.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 329, 327, 324-325; )

Dinamica strutturale e dinamica evolutiva

«La storia passata degli individui e dei gruppi entra come parametro nelle funzioni esplicative dei fatti sociali, assieme alle variabili dipendenti e indipendenti che caratterizzano questi fatti nella loro attualità. Per questo motivo gli eventi passati non sono solo un puro reperto affidato alla catalogazione degli storici di professione, ma sono un elemento importante nella esplicazione scientifica dei fatti sociali

«La storia studia i fatti passati nella loro irreversibilità individualizzata. La scienza sociale assume i fatti sociali come parametri o come variabili dipendenti o indipendenti e li inserisce nel proprio modello esplicativo (caratterizzato da una logica strutturale riferita a relazioni funzionali tra comportamenti), supponendo che le variabili (e a maggior ragione i parametri) si configurino nel contesto sociale considerato in modo statico (cioè non esprimano ambiti di variazione possibili: è questo il caso del cosiddetto equilibrio statico). Oppure assume il fatto sociale nella sua dinamica strutturale o evolutiva.

La dinamica strutturale esprime processi che prevedono una variazione nei valori della funzione alla quale consegue necessariamente un ristabilimento dei valori iniziali (è questo il caso del cosiddetto equilibrio stabile); oppure una variazione nei valori della funzione ai quali conseguono necessariamente valori diversi da quelli iniziali (è questo il caso del cosiddetto equilibrio instabile). La dinamica evolutiva non riguarda il fatto (inteso come insieme di relazioni tra comportamenti) nella sua individualizzazione, ma si riferisce al cambiamento della funzione nella quale il fatto compare come variabile indipendente, variabile dipendente o parametro, cioè alla modificazione della relazione che collega il fatto ad altri fatti.

Tutti i fenomeni presentano una logica strutturale delle funzioni, che può essere espressa in modelli strutturali statici […] o in modelli strutturali dinamici, ma hanno anche una dinamica che sposta la prospettiva dell’analisi verso la logica del mutamento evolutivo.

Nei fenomeni naturali (fisici) le due prospettive della dinamica strutturale e della dinamica evolutiva si possono separare e approfondire in modo distinto con relativa facilità. Nell’ambito dei fenomeni comportamentistici (concernenti comportamenti operanti e rispondenti e, in particolare, la personalità, l’apprendimento, la cultura, gli interessi, i fatti sociali), una distinzione netta tra le due prospettive implica una maggiore profondità di analisi. Mentre l’apprendimento si realizza, fattori diversi, o lo stesso apprendimento, possono incidere sulla dinamica strutturale e/o evolutiva (cumulativa) della funzione

(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 104, 105-106)

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