Classi sociali e dinamica sociale
Abbiamo visto in precedenza come, nel criticare l’analisi dinamica al livello strutturale-funzionale, Dahrendorf affermi che «la ricerca delle variabili non subordinate alla categoria della struttura, ma che operino invece come forze o fattori volti al mutamento della struttura», sarebbe stata trascurata da Parsons «a causa di una più o meno deliberata identificazione dei sistemi sociali con le strutture organiche»[86], nelle quali gli elementi dinamicamente variabili in-[pag. 159]fluenzanti la formazione delle stesse avrebbero, necessariamente, origine al di fuori del sistema. In tal modo si giustificherebbe la limitatezza dell’analisi di Parsons al momento strutturale-funzionale interno al sistema, e il fatto che egli non avrebbe visto come nelle strutture sociali, diversamente dalle strutture organiche, gli elementi dinamicamente variabili possano essere originati dalla struttura stessa.
In altre parole, nelle strutture sociali sussisterebbero elementi o forze qualificabili come parti costitutive di tali strutture, e quindi funzionanti all’interno delle stesse (questa ipotesi sarebbe, appunto, quella presa in considerazione da Parsons e svolta in termini strutturali-funzionali); ed esisterebbero impulsi, operanti nel senso del superamento e del mutamento di dette strutture, cioè come variabili non subordinate alla categoria della struttura e, quindi, non dentro il sistema sotto un profilo strutturale-funzionale, ma dentro il sistema con riferimento a una prospettiva dinamica in senso stretto (questa ipotesi non sarebbe stata considerata da Parsons, in quanto egli avrebbe inteso dette forze o fattori come elementi esterni al sistema, a somiglianza delle strutture organiche, e non invece generati dalla struttura stessa).
La giustificazione che Dahrendorf fornisce del presunto errore di Parsons può apparire, sotto certi aspetti, arbitraria e, in ogni caso, è fondata sulla assunzione (per lo meno problematica) di una differenza tra strutture organiche e strutture sociali in relazione agli elementi dinamicamente variabili operanti all’interno delle stesse.
Prescindendo, quindi, dalla differenza tra strutture organiche e strutture sociali, possiamo dire che nella argomentazione di Dahrendorf sembrerebbe potersi avvertire la distinzione fondamentale tra dinamica strutturale-funzionale e dinamica cumulativa, anche se poi, come si è fatto rilevare, il suo pensiero si svolge in tutt’altra direzione.[pag. 160]
È vero, d’altra parte, che Parsons analizza esclusivamente la dinamica strutturale-funzionale, per cui all’interno del suo sistema non possono essere formalizzati elementi dinamicamente variabili di altro tipo, in particolare non può essere formalizzata la dinamica cumulativa. Di quest’ultimo punto, comunque, neanche Dahrendorf riesce a darci alcuna rigorosa esplicazione, sicché neppure all’interno della sua teoria la dinamica cumulativa può essere formalizzata.
Abbiamo detto che la dinamica strutturale-funzionale deve essere riguardata come una prospettiva metodologica volta a considerare il ristabilimento delle funzioni in seguito alla modificazione di una delle stesse. Essa, cioè, deve essere vista come una prospettiva tendente ad analizzare, in relazione a un dato sistema sociale, i mutamenti strutturali connessi alla variazione funzionale di un elemento della struttura, cioè i corrispondenti mutamenti degli elementi implicati nella variazione del primo. Da questa caratterizzazione consegue: a) che il concetto di «funzione» è del tutto distinto da quelli di «dinamica cumulativa» e di «dinamica pendolare»; b) che la categoria della funzione è subordinata a quella della struttura [87]. La dinamica cumulativa deve, pertanto, concernere la individuazione di variabili che non siano subordinate alla categoria della struttura, ma che operino invece all’interno del sistema come forze o fattori provocanti il mutamento della struttura.
Alla luce delle considerazioni di cui sopra, il concetto di «classe sociale» può essere ulteriormente caratterizzato. Abbiamo parlato, infatti, a proposito dello stesso, di una quarta prospettiva relativa all’acceleramento o al rallentamento della dinamica delle strutture sociali; prospettiva entro la quale deve inquadrarsi il concetto di «potere deviante», che sta appunto alla base della esplicazione del concetto di «classe».[pag. 161]
Orbene, in relazione alla caratterizzazione della dinamica cumulativa sopra prospettata, è esatto individuare uno stadio di acceleramento o di rallentamento della dinamica sociale entro cui opererebbe il potere deviante o quest’ultimo, invece, e con esso il fenomeno della classe, non dovrebbe piuttosto rientrare nello schema della dinamica cumulativa o dinamica in senso proprio? L’importanza di questo problema è evidente, perché una eventuale soluzione dello stesso in senso affermativo porrebbe il potere deviante, e in ultima analisi la classe, al centro della dinamica sociale. Occorre inoltre stabilire se tale problema è relativo alla teoria della formazione delle classi o alla teoria dell’azione delle classi, intesa la prima come studio genetico del fenomeno delle classi sociali a un livello teorico, cioè esplicazione della genesi delle classi sotto un profilo di dinamica cumulativa; e la seconda come tendente ad esplicare le caratteristiche strutturali del concetto di «classe»[88].
In effetti, la definizione di quest’ultima che sopra è stata data in termini di potere deviante, di interesse all’acceleramento o al rallentamento della dinamica sociale e di comunione interrelata, si riferisce più all’aspetto strutturale della teoria delle classi che all’aspetto dinamico della stessa.
Esaminiamo perciò brevemente i problemi connessi a una teoria delle classi in termini di dinamica cumulativa. Una tale esplicazione presupporrebbe, ovviamente, un inquadramento delle caratteristiche strutturali sopra isolate, cioè del potere deviante, dell’interesse all’acceleramento o al rallentamento della dinamica e della comunione interrelata, entro un tipo di dinamica non appartenente al momento strutturale-funzionale, né a quello pendolare, e neppure a quello relativo all’acceleramento o al rallentamento dei processi sociali; si tratterebbe, insomma, di esplicare una teoria della formazione delle classi intesa come determinazione della genesi delle classi.[pag. 162]
In effetti, però, come è stato già rilevato, la logica del condizionamento e quella della accettazione, cioè la dinamica pendolare (intrinseca al potere condizionante), la dinamica in termini di adeguamento-irrilevanza (tipica dell’accettazione) e la dinamica in termini di acceleramento o rallentamento dei processi sociali (tipica del potere deviante) non possono esplicarsi in termini di flusso o verso e quindi di dinamica cumulativa o dinamica in senso proprio, ma appaiono piuttosto come casi o aspetti di una diversa prospettiva (e in tal senso come appartenenti a una teoria dell’azione delle classi). Ciò non implica, naturalmente, come pure si è detto, che una dinamica cumulativa dei fenomeni sociali (e quindi anche delle classi), quale risultante di una interazione tra soggetti, essi stessi svolgentisi dinamicamente, non sia ipotizzabile. Solo che i tentativi di esplicazione che ne sono stati forniti, ultimo quello di Dahrendorf [89], risultano totalmente inadeguati, sì che sembrerebbe più opportuno – su un piano scientifico – considerare tale problema come non suscettibile di soluzione allo stato attuale della conoscenza (e in questo senso si esprime anche Parsons)[90].
Formuliamo, a tal punto, alcune ulteriori considerazioni sui due momenti dell’azione sociale che abbiamo in precedenza isolato: quello dell’accettazione e l’altro del condizionamento. Abbiamo visto che gli stessi, strutturalmente, a un livello di massima generalità, possono entrambi venir caratterizzati in termini di comunione di interessi fondata sulla interrelazione; mentre sotto una prospettiva che potrebbe dirsi funzionale, appaiono correlati in modo tale che la accettazione (o interiorizzazione) deve essere considerata come la forza sociale su cui poggia il potere condizionante. Se è vero, infatti, che il potere si legittima col suo porsi, è anche vero che lo stesso trae la propria forza (che non è mera forza fisica o materiale ma forza sociale) da un insieme di interessi comuni di cui [pag. 163] costituisce la estrinsecazione. Ma il consenso, cioè la forza sociale di cui il soggetto dispone, è commisurato allo status in cui il soggetto si trova; egli appare, in tal modo, come un organo sociale, nel senso che, all’interno del sistema cui appartiene, possiede una posizione che riflette esattamente la sua forza sociale. Lo status, esprime pertanto la forza sociale del soggetto misurata in termini di consenso (accettazione) ed esplicantesi, in senso dinamico, mediante il potere condizionante (istituzionale o deviante). Questa caratterizzazione non esclude ovviamente l’altra, relativa alla considerazione dello status (e del ruolo) in termini di integrazione funzionale e connessa alla prospettiva della organizzazione (comunione di interessi fondata sulla interrelazione); organizzazione che può ovviamente poggiare tanto sul rapporto di accettazione (interiorizzazione), quanto sul quello di condizionamento.
Concludendo, possiamo affermare che l’azione della classe sociale appare caratterizzata e individuata nell’ambito della dinamica volta all’acceleramento o al rallentamento dei processi del sistema; risulta, quindi, ulteriormente confermata la impossibilita di identificare la dinamica sociale in senso proprio con la particolare dinamica tipica dell’antagonismo di classe, esplicantesi in termini di potere deviante.
Questa presunta e più volte tentata identificazione che, nelle sue manifestazioni meno critiche poggia su evidenti presupposti metafisici, e nelle più recenti formulazioni si pone in termini logicamente inconsistenti, deve essere respinta, in quanto non tiene conto dei molteplici aspetti in cui si strutturano i complessi fenomeni sociali che, se possono estrinsecarsi in termini di potere condizionante, debbono anche, per ciò stesso, necessariamente presentarsi sotto l’aspetto della comunione interiorizzata di interessi, senza la quale lo stesso potere verrebbe ad essere privato della sua forza sociale; e neppure tiene conto del fatto che il potere deve essere consi-[pag. 164]derato come uno strumento volto a creare e ad attuare artificialmente una comunione di interessi.
A un livello scientifico di massima astrazione, l’elemento centrale che caratterizza in senso proprio le interazioni sociali deve essere pertanto identificato nella comunione di interessi fondata sulla interrelazione.[pag. 165]
Note
[86] R. Dahrendorf, Class and Class Conflict in an Industrial Society, p. 123.
[87] R. Dahrendorf, id., p. 123.
[88] Dahrendorf distingue anch’egli tra teoria della formazione delle classi e teoria dell’azione delle classi, considerando la prima come analisi della genesi delle classi sociali e la seconda come, avente ad oggetto gli elementi analitici generali delle interrelazioni tra classi, concepite come fenomeni strutturali (id., pp. 153-154).
[89] R. Dahrendorf, id., pp. 119-124. Nell’analizzare il tentativo di esplicare questo problema compiuto da Dahrendorf, consistente nel porre al centro della dinamica sociale intrinseca al sistema la logica del conflitto di classe, Pizzorno afferma che la difficoltà più rilevante della costruzione di Dahrendorf consiste nel fatto che la stessa non riesce a spiegare in maniera convincente «in che modo le due categorie di ruoli (subordinati e di comando) arrivano a trasformarsi in classi, cioè in gruppi concreti che si contrappongono consapevolmente» (Pizzorno, Le organizzazioni, il potere e i conflitti di classe, p. XIII). A tale proposito Dahrendorf afferma che «ai vari ruoli nelle strutture imperative sono immanenti interessi obiettivi latenti. Se si realizzano determinate condizioni, questi possono trasformarsi in interessi soggettivi e manifesti, e le categorie nominali, quindi, trasformarsi in classi» (Pizzorno, id., p. XIII). Ma come si definisce, si domanda Pizzorno, l’interesse inerente a un ruolo? «Dahrendorf non dà risposta – egli precisa – o meglio, tratta l’argomento in maniera da far pensare a tre possibili risposte: ora, tutte e tre sono in contraddizione con l’insieme della sua teoria» (Pizzorno, id., p. XIV).
Prescindiamo qui dalla prima e dalla terza risposta, e soffermiamoci sulla seconda, che costituisce il punto centrale su cui poggiano le argomentazioni di Pizzorno. Egli dice: «se esistono le aspettative a che un ruolo si eserciti, esiste anche, per ogni ruolo, in esatta contrapposizione, un interesse dell’individuo a non esercitarlo. Vedremo più avanti come questa soluzione sia suscettibile di sviluppi interessanti, ma essa richiede che si stabilisca l’origine sistematica degli interessi a non esercitare il ruolo, al di fuori della struttura che definisce il ruolo stesso. Ciò non sarebbe impossibile, ma solo smentendo la pretesa dahrendorfiana di far scaturire l’origine dei conflitti strutturali dall’interno della struttura stessa» (Pizzorno, id., p. XIV). Ciò posto, la radice delle difficoltà di Dahrendorf sembra a Pizzorno debba rinvenirsi nell’uso del concetto di «autorità». Per superare tali difficoltà Pizzorno postula l’esistenza di due situazioni limite. Nella prima, chiamata situazione d’autorità, «possiamo assumere che l’esercizio di tutti i ruoli propri a una data struttura si realizzi esattamente in vista dei fini per cui quel gruppo, o associazione, o organizzazione, è stato creato» (Pizzorno, id., pp. XVII-XVIII). Nella seconda, detta situazione di potere, «esisterà dissociazione tra i fini istituzionali (i valori e le aspettative di ruolo) e i fini individuali (gli interessi); il potere consisterà puramente nella coercizione esercitata da un gruppo sull’altro» (Pizzorno, id., p. XVIII).
Orbene, il modo di formazione di questi fini dovrebbe essere visto in funzione di un qualche contesto sociale strutturato; i fatti di potere, insomma, secondo Pizzorno, non sono per nulla da considerare di origine individuale, in quanto «la volontà che gli individui membri di un’organizzazione cercano di realizzare al di fuori delle norme istituzionali (cioè al di fuori di ciò che istituzionalmente ci si aspetta dal loro ruolo) si ispira a fini che si sono formati in altre associazioni e in altri gruppi sociali. Questi fini cioè non sono propri dell’individuo in quanto individuo, ma in quanto agli appartiene o si riferisce a un certo gruppo. Egli quindi eserciterà potere e non pura autorità nella misura in cui mirerà a realizzare fini di gruppi diversi da quelli in cui esercita l’autorità. Questi fini, rispetto a quelli in nome dei quali si è costituita l’autorità, saranno fini privati» (Pizzorno, id., p. XIX). L’interesse privato viene quindi considerato, in tal senso, come «un intervento di fini estranei all’organizzazione, in funzione dei quali viene stornata l’attività (il risultato dell’attività, il suo prodotto) svolta nell’esercizio dai ruoli organizzati» (Pizzorno, id., p. XX).
A questa principale caratterizzazione Pizzorno fa seguire poi una ulteriore distinzione tra potere diretto, e esercitato da una persona o da un gruppo con comandi o imposizioni espliciti rivolti ad altre persone o gruppi e potere condizionante, relativo al fatto che «una persona o un gruppo occupano una certa posizione e così facendo condizionano l’azione di altre persone o gruppi» (Pizzorno, id., p. XXV).
Sulla base delle affermazioni sinteticamente riportate, Pizzorno conclude criticando la teoria di Dahrendorf, nel senso che in quest’ultima si manifesterebbero essenzialmente due manchevolezze: «l’una di trascurare la strutturazione del potere al di fuori delle organizzazioni fondate sul principio di autorità; l’altra di non accorgersi che i rapporti di autorità, in quanto tali, non possono venire concepiti come fondamento di gruppi contrapposti; tale fondamento va invece cercato nella presenza di un potere non legittimo (ispirato cioè a finalità di gruppi estranei alla organizzazione, e quindi, in relazione ad essa, privati), nel concreto esercitarsi dell’autorità» (Pizzorno, id., p. XXVII).
[90] T. Parsons, The Social System, pp. 481-503.
Indice della pubblicazione
Teoria delle classi sociali
Giulio Bolacchi
Capitolo I: Strutture teoriche e scienze sociali
1. Schemi teorici e scienze sociali
2. La prospettiva metodologica delle scienze sociali
3. Le strutture linguistiche astratte
4. Il problema dei concetti teorici
5. Linguaggio osservativo e linguaggio teorico
6. Empirismo, criteri di significatività e termini disposizionali
7. Assiomatizzazione e linguaggio teorico
8. Il concetto di «linguaggio teorico» in Carnap
9. Linguaggio teorico e livelli di astrazione
10. Verificabilità empirica delle strutture astratte; rapporti fra diverse strutture linguistiche
11. Il ruolo della teoria generale nelle scienze sociali
12. Rapporti tra teoria economica e scienza sociale; il problema del sottosviluppo
13. L’integrazione delle scienze sociali e la teoria generale del comportamento sociale
Note del capitolo I
Capitolo II: Alcune teorie sulle classi sociali
1. Le principali teorie sulle classi sociali online
2. Classe e situazione di classe in Weber
3. La classificazione dei gruppi e il problema delle classi sociali in Sorokin
4. Il problema dell’ordine e la stabilità dell’interazione sociale in Parsons
5. Sistema di valori e stratificazione sociale in Parsons
6. I limiti fondamentali della teoria generale di Parsons
7. Critiche al «sistema sociale» di Parsons
8. La teoria integrazionista e la teoria coercitiva della società nell’analisi di Dahrendorf
9. Gruppi di conflitto e associazioni coordinate da norme imperative in Dahrendorf
10. Autorità e potere condizionante nella dinamica sociale
11. Il rapporto di autorità e la dinamica reintegratrice o pendolare; l’avvicendamento del personale nelle posizioni di dominio in Dahrendorf
12. I tre stadi di analisi delle strutture sociali: dinamica pendolare, dinamica strutturale-funzionale, dinamica cumulativa
13. Il problema della dinamica nelle teorie di Parsons e Dahrendorf
14. Conclusioni critiche sulle teorie di Parsons e Dahrendorf
Note del capitolo II
Capitolo III: Premesse a una teoria generale delle classi sociali
1. Scienza del comportamento e scienza psicologica
2. Le teorie causali del significato
3. La struttura funzionale degli interessi
4. Il campo disposizionale
5. Intermediazione, comunione e mutualità degli interessi negli studi di Perry online
6. Il concetto di «disposizione a rispondere» online
7. Disposizione a rispondere e segno nella semiotica di Morris online
8. Classe sociale e categoria sociale online
9. Il concetto di «interesse comune e interrelato» online
10. L’interesse di classe online
11. L’azione sociale di accettazione e l’azione sociale di condizionamento online
12. Il potere condizionante: potere istituzionale e potere deviante online
13. I concetti di «potere» e «autorità» in alcune teorie sociologiche
14. La dinamica del potere condizionante online
15. Potere deviante e classe sociale online
16. Comunione di interessi, istituzionalizzazione, internalizzazione e potere online
17. Considerazioni conclusive sul concetto di «classe sociale» online
18. Classi sociali e dinamica sociale online
Note del capitolo III
Capitolo IV: Democrazia e classi sociali
1. La dottrina classica della democrazia online
2. Indeterminatezza e irrazionalità del comportamento politico; la critica di Schumpeter al concetto di «democrazia» online
3. Democrazia e volontà popolare online
4. La volontà popolare come risultante del processo politico online
5. La democrazia come lotta in concorrenza per il comando politico online
6. Il metodo democratico e la rilevazione degli interessi pubblici online
7. Democrazia come volontà popolare e democrazia come lotta in concorrenza online
8. L’istituto della rappresentanza politica online
9. La forza sociale del potere e il problema della maggioranza online
10. Le differenti caratterizzazioni del concetto di «libertà» online
11. La democrazia come commisurazione istituzionalizzata della forza sociale del potere istituzionale e del potere deviante online
Note del capitolo IV
Capitolo V: Un esempio storico: la borghesia
1. La borghesia rivoluzionaria e la polemica di Sieyes contro il privilegio
2. Una interpretazione della Rivoluzione secondo le prospettive di Toynbee
3. Equivoci teorici connessi al concetto di «borghesia» online
4. I valori borghesi e i princípi di perduranza dell’antico regime
5. Il proletariato contemporaneo e la mancata assimilazione dei valori borghesi
6. Il concetto di «borghesia» nel pensiero di Croce
7. Le caratterizzazioni della «borghesia» in termini di ceto medio
8. Gli interessi comuni della borghesia online
9. Classe borghese e potere deviante online
Note del capitolo V