L’analisi scientifica del comportamento
L’analisi scientifica del comportamento umano si è sviluppata attraverso studi sperimentali effettuati sugli animali. È ormai un risultato acquisito dalla moderna psicologia che l’analisi dei processi psicologici deve essere condotta su base sperimentale e che un metodo adatto è quello di utilizzare animali in condizioni esattamente controllate, dato che la sperimentazione su animali offre delle possibilità che non possono ovviamente ottenersi quando si utilizzano esseri umani.
Dal punto di vista metodologico la psicologia comportamentistica afferma che la differenza tra l’uomo e gli animali non è qualitativa, ma semplicemente una questione di gradi di complessità. Considerare l’uomo qualitativamente diverso significa infatti far ricorso a elementi di valutazione metafisica che devono essere riconosciuti e eliminati dall’ambito dell’analisi scientifica. Una volta ammesso che la differenza è di grado è evidente che gli animali appaiono come gli organismi più adatti per analizzare sperimentalmente la struttura dei processi psicologici. In questo modo la psicologia si trasforma da analisi metafisica dei processi mentali in analisi scientifica del comportamento; diventa una scienza sperimentale nello stesso senso in cui lo sono la fisica e la biologia.
Contro l’estrapolazione dei risultati di laboratorio ottenuti su animali al comportamento umano si obietta spesso che vi sarebbe una es-[pag. 137]senziale soluzione di continuità tra gli animali e l’uomo e che tale discontinuità renderebbe invalida l’estrapolazione.
Senonché presupporre una discontinuità tra comportamento umano e comportamento animale significa – come osserva Skinner – tentare di risolvere a priori un problema che deve essere analizzato in termini sperimentali, sulla base del metodo scientifico. «Il comportamento umano – egli afferma – si distingue per la sua complessità, la sua varietà e le sue maggiori capacità di realizzazione, ma ciò non vuol dire che i processi fondamentali debbano per questo esseri differenti. La scienza procede dal semplice al complesso e ha la constante preoccupazione di verificare che i processi e le leggi individuate ad un dato stadio di sviluppo siano adeguati al successivo; sarebbe piuttosto rozzo sostenere a questo punto che non vi sia alcuna differenza essenziale tra il comportamento umano e il comportamento delle specie inferiori, ma finché non sia stato fatto il tentativo di affrontarli entrambi negli stessi termini sarebbe altrettanto rozzo affermare che tale differenza esiste. Una discussione approfondita sull’embriologia umana si fonda su di un considerevole uso dei dati ottenuti mediante ricerche su embrioni di pollo, di maiale o di altri animali. Trattati relativi alla digestione, alla respirazione, alla circolazione, alla secrezione endocrina ed altri processi fisiologici si riferiscono a ratti, criceti, conigli e cosi via, benché ovviamente l’interesse primario sia rivolto all’essere umano. Lo studio del comportamento ha molto da guadagnare dallo stesso tipo di procedura. Si studia il comportamento degli animali perché è più semplice, i suoi processi fondamentali sono più facilmente distinguibili e possono essere registrati per periodi molto più lunghi, l’osservazione non viene complicata dall’interazione sociale tra soggetto e sperimentatore, le condizioni possono essere meglio controllate. Si possono predisporre precise storie genetiche per controllare certe variabili e speciali storie individuali per controllarne altre: per esempio si può allevare un animale nella oscurità fino all’inizio dell’esperimento se si vuole indagare il modo in cui un organismo impara a vedere. Siamo anche in grado di controllare circostanze transitorie in misura non facilmente ottenibile nel caso del comportamento umano, potendo per esempio far variare in modo molto ampio gli stati di privazione. Sono tutti vantaggi che non dovrebbero essere rifiutati sulla base della affermazione a priori che il comportamento umano è inevitabilmente distinto in un suo ambito separato»[1].[pag. 138]
Una definizione scientifica del concetto di comportamento può essere pertanto formulata solo su basi sperimentali. Per far ciò partiremo da un classico esperimento di Skinner che consente di individuare le variabili fondamentali del comportamento e le relazioni tra le stesse. In tale esperimento Skinner ha analizzato il modo in cui un ratto affamato apprende un certo comportamento. Il ratto viene situato entro una scatola (detta scatola di Skinner) nella quale è predisposta una leva che appena azionata determina l’introduzione nella scatola, attraverso una apposita apertura, di una certa quantità di cibo. All’inizio dell’esperimento si osserva che il ratto pone in essere numerosi comportamenti, gira intorno alla scatola, annusa qua e là. Può anche accadere che casualmente sposti la leva e in tal caso immediatamente viene introdotto nella scatola del cibo. Col passar del tempo si osserva che mentre diminuisce la frequenza dei comportamenti consistenti nel correre, annusare, ecc., aumenta la frequenza del comportamento del premere la leva. Un apposito strumento collegato alla leva consente di tracciare su un nastro di carta le frequenze cumulate di questo comportamento in funzione del tempo. Il risultato è una curva crescente che viene chiamata curva dell’apprendimento.
L’esperimento mostra che l’ottenimento del cibo ogni volta che il ratto sposta la leva altera la probabilità (intesa come frequenza relativa) del comportamento: si dice anche che il cibo rinforza il comportamento consistente nel premere la leva. Il cibo viene chiamato stimolo rinforzatore e indicato con S+ mentre il comportamento del premere la leva viene indicato con R. Il processo di rinforzo viene simbolizzato con l’espressione:
R → S+
Pertanto l’associazione dello stimolo-cibo con la risposta (premere la leva) ha come risultato un aumento della probabilità che si manifesti la risposta R.
L’aspetto fondamentale dell’esperimento descritto è che il comportamento del ratto consistente nel premere la leva non è provocato da alcuno stimolo. Non è possibile cioè individuare uno stimolo specifico che produca mediante una connessione causale il comportamento del premere la leva. Per questo motivo si dice che il comportamento del ratto è un comportamento emesso e lo si distingue da quei comportamenti che sono causati da uno stimolo e che perciò vengono chiamati comportamenti riflessi (studiati da Pavlov). Nell’esperimento di Skinner i comportamenti del ratto sono completamente casuali; lo stimolo [pag. 139] rinforzatore (cibo) modifica la probabilità del manifestarsi di uno di questi comportamenti (premere la leva) ma non causa questo comportamento. Il comportamento emesso viene anche chiamato comportamento operante per porre in evidenza il fatto che esso opera sull’ambiente generando certe conseguenze.
Nel comportamento riflesso si ha invece un rapporto tra uno stimolo e un dato comportamento (risposta) tale che la risposta è direttamente provocata dallo stimolo ed è possibile predire la risposta con la massima precisione (per es., la vista del cibo fa salivare un cane). Il rapporto tra stimolo e risposta è quindi strettamente causale. Lo stimolo che ha la capacità di produrre un certo comportamento viene chiamato stimolo incondizionato (US), mentre la risposta viene chiamata risposta incondizionata (UR). Pavlov ha mostrato che associando a un US uno stimolo neutrale (il quale non ha di per sé la capacità di provocare il comportamento provocato dall’US) è possibile far acquisire a quest’ultimo le stesse proprietà dell’US. Per esempio, associando più volte uno stimolo sonoro al cibo, lo stimolo sonoro acquisisce la capacità di provocare la salivazione in un cane. L’intensità della risposta (salivazione) provocata dallo stimolo sonoro cresce col crescere del numero delle associazioni e contemporaneamente diminuisce il tempo di reazione, cioè il tempo che intercorre tra la presentazione dello stimolo sonoro e la salivazione. Lo stimolo sonoro viene chiamato stimolo condizionato (CS) e la salivazione da esso prodotta risposta condizionata (CR).
I due casi sopra discussi vengono anche denominati rispettivamente condizionamento operante (Skinner) e condizionamento rispondente (Pavlov). Nel primo caso il comportamento operante è rinforzato nel senso che una certa risposta diventa più probabile; anche nel secondo caso si parla – non del tutto propriamente – di rinforzo, con riferimento all’incremento dell’intensità della risposta provocata dallo stimolo condizionato e alla diminuzione del tempo di reazione.
Nell’ambito del condizionamento operante possono aversi due tipi di rinforzo, il rinforzo positivo e il rinforzo negativo.
Si ha rinforzo positivo quando l’aumento della probabilità (frequenza) di una data risposta dipende dal conseguimento di uno stimolo (rinforzatore positivo). L’esperimento sopra descritto è un esempio di rinforzo positivo poiché il cibo è uno stimolo che viene conseguito quando il ratto effettua un certo comportamento.
Si ha rinforzo negativo quando l’aumento della probabilità (frequenza) di una data risposta dipende dalla rimozione di uno stimolo (rinforzatore negativo). Se cioè un comportamento R è segui-[pag. 140]to dalla eliminazione di uno stimolo S– (o dalla riduzione dell’intensità di S–) e se l’eliminazione di S– rinforza R, allora S– è un rinforzatore negativo. Se indichiamo il venir meno di S– con ~ S– allora il processo di rinforzo negativo può essere schematizzato mediante il seguente diagramma:
R → ~S–
Il processo di rinforzo negativo è denominato escape conditioning in quanto l’effettuazione di R consente di sfuggire a S–.
Un esperimento classico di rinforzo negativo è il seguente. Un ratto viene situato in un labirinto a forma di T il cui pavimento è percorso da corrente elettrica. Solo un ramo del labirinto non è percorso da corrente, per cui il ratto può eliminare lo stimolo corrente elettrica (S–) andando a situarsi in quel ramo. Ripetendo più volte le prove si osserva che il numero delle prove scorrette decresce, cioè il ratto impara a recarsi nel ramo della T dove non vi è corrente elettrica. Il comportamento consistente nel recarsi nel ramo della T privo di corrente (R) è rinforzato per il fatto che questo comportamento è seguito dalla eliminazione della corrente elettrica (~S–).
In entrambi i tipi di rinforzo l’effetto del rinforzo è il medesimo e consiste nell’aumento della probabilità che si manifesti una data risposta.
Un aspetto importante del comportamento è costituito dal fatto che esso può essere rinforzato in modo che venga emesso solo in presenza di specifiche circostanze. In tal caso diciamo che un dato comportamento è sotto il controllo di quelle specifiche circostanze. Per esempio, noi rispondiamo al telefono solo quando lo udiamo trillare e solo allora ci aspettiamo una risposta. Il nostro comportamento consistente nel sollevare il microfono e dire pronto viene rinforzato dalla voce di un interlocutore solo quando si è manifestato lo specifico evento costituito dal trillo. Allo stesso modo l’automobilista attraversa un incrocio quando il semaforo è verde, poiché solo in presenza del verde il suo comportamento viene rinforzato.
Quando il comportamento viene emesso solo se sono presenti certe circostanze si dice che esso è un comportamento discriminante. Sperimentalmente è possibile costruire un comportamento discriminante rinforzando un dato comportamento di un animale col cibo in presenza di certe circostanze e non fornendogli il cibo se esso pone in essere quel comportamento in assenza di quelle circostanze. Un esperimento che mostra il modo in cui può prodursi un compor-[pag. 141]tamento discriminante è il seguente. Un ratto viene situato in una scatola A collegata mediante una pista ad una scatola B in cui viene posto del cibo. Se quando trilla un campanello, il ratto percorre la pista, trova in B del cibo se invece si reca in B senza che il campanello abbia trillato non vi trova cibo. Il trillo del campanello (SD) diventa quindi la circostanza specifica in presenza della quale il comportamento consistente nel correre da A verso B (R1) viene rinforzato col cibo. Ripetendo più volte le prove il ratto apprende a correre in B (R1) solo quando trilla il campanello (SD); il suo comportamento è sotto il controllo del campanello (stimolo discriminante).
La relazione tra lo stimolo SD (campanello) e la risposta R1 (correre da A verso B) potrebbe apparire simile a quella che intercorre tra stimolo condizionato (CS) e risposta condizionata (CR) nel condizionamento classico. La relazione tra SD e R1 è però radicalmente diversa da quella che intercorre tra CS e CR in quanto lo stimolo SD è l’occasione in presenza della quale la risposta consistente nel correre verso la scatola B viene rinforzata col cibo. L’effetto dello stimolo SD è quello di rendere più probabile il comportamento R1 quando SD è presente, ma non quello di produrre R1 nello stesso senso in cui CS produce CR.
In altre parole, il completo controllo della risposta da parte dello stimolo discriminante potrebbe far pensare che SD eliciti la risposta. Se ci si riferisce unicamente al fatto che tanto nel condizionamento rispondente quanto nel processo di discriminazione una data risposta è sotto il controllo di uno stimolo, allora risulta difficile spiegare la differenza tra stimolo discriminante e stimolo elicitante. Tuttavia una analisi più approfondita mostra che le leggi che valgono per il rapporto stimolo-risposta nel comportamento elicitato (leggi del riflesso) non valgono ugualmente per il rapporto tra stimolo discriminante e risposta.
Le tre leggi del riflesso sono:
(1) legge della soglia: vi è un ambito di intensità al di sotto del quale non si presenta alcuna risposta e al di sopra del quale si presenta sempre una risposta;
(2) legge della intensità-grandezza: ad un aumento dell’intensità dello stimolo corrisponde un aumento della grandezza della risposta;
(3) legge delle latenza: ad un aumento dell’intensità dello stimolo corrisponde una diminuzione dell’intervallo di tempo tra l’inizio dello stimolo e l’inizio della risposta.
Poiché queste leggi non valgono per il rapporto tra SD e la risposta, il comportamento discriminante non può essere considerato come [pag. 142] un comportamento elicitato da SD. Ma il processo di discriminazione potrebbe essere costruito in modo che la grandezza della risposta fosse proporzionale all’intensità dello stimolo discriminante; in tal caso la relazione tra SD e la risposta soddisferebbe la seconda legge del riflesso. Tuttavia il rapporto di proporzionalità tra grandezza della risposta e intensità dello stimolo dipenderebbe in questo caso dal modo in cui si è svolto il processo di discriminazione, cioè dalla storia della discriminazione. Tant’è vero che si potrebbe costruire il processo di discriminazione in modo da rendere la grandezza della risposta inversamente proporzionale all’intensità di SD; ciò non può ottenersi nel caso del riflesso per il fatto che ad un dato valore dell’intensità di US corrisponde un ben definito valore di UR e il rapporto fra questi due valori non può essere alterato.
Quanto si e detto mostra che lo stimolo discriminante non elicita una risposta, ma semplicemente altera la probabilità che si verifichi un certo comportamento. «Lo stimolo e la risposta -osserva Skinner- si presentano nello stesso ordine che nel riflesso, ma questo non autorizza l’inclusione di entrambi i tipi in una singola formula “stimolo-risposta”… La relazione è flessibile e segue una scala continua di gradi diversi».[2]
La differenza tra i due tipi di relazione può essere assunta come esplicativa della distinzione fra comportamento involontario e comportamento volontario. Questa distinzione, secondo Skinner, non può essere esplicata affermando che nel caso della elicitazione vi sia controllo della risposta e nel caso della discriminazione assenza di controllo, in quanto si deve assumere che il comportamento sia sempre causalmente determinato.
«Quando tutte le variabili pertinenti sono state predisposte, un organismo risponderà o non risponderà. Se non risponderà è perch[ non può rispondere. Se può, risponderà … La distinzione fra comportamento volontario e involontario è una questione di genere di controllo».[3]
Skinner osserva che lo stimolo elicitante sembra più coercitivo dello stimolo discriminante, in quanto quest’ultimo esercita il suo controllo sulla risposta insieme ad altre variabili per cui i suoi effetti non sono facilmente dimostrabili. Tuttavia quando è possibile prendere in considerazione tutte le variabili, allora il comportamento discriminante risulta determinato con la stessa necessità con cui lo stimolo elicitante determina una certa risposta. Con riferimento alla [pag. 143] coercitività degli stimoli, può dirsi quindi che in entrambi i casi si ha un controllo della risposta, cioè una relazione necessaria tra stimolo e risposta. In questi termini però non è possibile esplicare la differenza fra le due ipotesi in quanto queste vengono caratterizzate da un punto di vista metodologico allo stesso modo, cioè con riferimento alla necessarietà del rapporto tra le due variabili (stimolo e risposta).
La differenza concerne quindi unicamente il fatto che per la relazione tra stimolo discriminante e risposta non valgono le leggi dei riflesso sebbene possa dirsi che lo stimolo discriminante controlli la risposta. Questa differenza può essere formulata in modo diverso dicendo che esistono due tipi di stimoli, quelli che elicitano un comportamento (funzione elicitante) e quelli che rinforzano un comportamento (funzione rinforzante). Il caso della discriminazione deve essere considerato come una sottocategoria della funzione rinforzante di uno stimolo. L’aspetto discriminante dello stimolo indica la restrizione della contingenza del rinforzo alla presenza di uno specifico elemento della situazione, in modo tale che il comportamento venga controllato sulla base dell’assenza o della presenza dello stimolo discriminante.[pag. 144]
Indice della pubblicazione
L’analisi scientifica del comportamento di scelta
G.Bolacchi
1. L’analisi scientifica del comportamento. online
2. Il processo di discriminazione come processo di rinforzo. online
3. Il concetto di interesse. Interesse finale e interesse strumentale.
4. Il concetto di intensità dell’interesse. online
5. Esplicazione di alcuni esperimenti mediante il concetto di intensità dell’interesse.
6. Scelta, utilità, massimizzazione, come concetti pseudo-esplicativi. online
7. La struttura del discorso scientifico: la relazione funzionale. online
8. La relazione funzionale nella psicologia.
9. La relazione funzionale nella fisica.
10. Termini teorici e termini osservativi. I problemi della generalizzazione e dell’astrazione.
11. Le variabili intermedie in psicologia.
12. Il significato dei termini teorici nella fisica. L’esempio del campo elettromagnetico.
13. Il livello dei predicati. Relazioni tra predicati di diverso livello. online
14. La distinzione tra leggi sperimentali e teorie.
15. Le regole di corrispondenza. online
16. Analisi critica del concetto di regola di corrispondenza.
17. I postulati limitativi.