La volontà popolare come risultante del processo politico

Da quanto detto, emergono due fondamentali considerazioni: la prima relativa alla indeterminatezza, irrazionalità e imprecisione in base alla quale il cittadino medio valuta gli interessi politici e collettivi; la seconda, che riguarda i rapporti tra quest’ultimo e la classe politicamente attiva, la quale sfrutta la debolezza dei processi mentali che informano l’azione di gruppo e la mancanza di responsabilità personale, propria delle azioni interessanti la collettività. Questa classe politica, rappresentata da una minoranza di consociati, è quella che influisce in modo determinante e decisivo sull’orientamento politico dei singoli, adoperando, in gran parte, gli stessi mezzi pubblicitari di cui si serve la concorrenza di mercato.

Può ben dirsi, pertanto, che a una oggettiva analisi dei processi politici, la «volontà popolare è il prodotto, non la forza propulsiva, del processo politico» [23]. Questo spiega perché documentazioni ed argo-[pag. 195]-menti tanto più facciano presa sulla collettività, quanto più si adeguino alle idee preconcette dei membri di quest’ultima; e poiché, sul piano politico, queste idee sono la risultante della serie di influenze determinate dai gruppi politici interessati, i quali sfruttano la irrazionalità e irresponsabilità dei consociati in tale campo, sembra ci troviamo di fronte a un circolo chiuso. E benché sia sostenibile che col tempo la collettività possa esprimere opinioni ed azioni razionali e responsabili, è chiaro come queste ultime non avranno un peso decisivo nell’ambito dei fatti storici, i quali non potranno esserne influenzati che in via indiretta e mediata, se è vero – come espressamente fa notare Schumpeter – che la storia «consiste in una serie di situazioni a breve termine, che possono modificare in modo radicale il corso degli eventi» [24]. Se ciò è possibile, allora risulta chiaro come il popolo non possa sollevare o decidere alcun problema perché, in realtà, «i problemi da cui il suo destino dipende sono normalmente sollevati e decisi per lui» [25].

Da ciò discende, poi, come necessaria conseguenza logica, che il materiale informativo di cui i politici si servono per influenzare le opinioni e le azioni dei membri della collettività, deve essere quasi sempre adulterato e, il più delle volte, falsificato; col pretesto che non tutti i fatti debbono essere resi di pubblica ragione nella loro interezza: è questo il sistema della documentazione selettiva.

Il concetto di «democrazia», quale è stato formulato nella dottrina classica, che si fonda sui due elementi del bene comune e della volontà popolare, appare pertanto come una costruzione metafisica, che non trova riscontro nella effettiva realtà sociale, cioè in quello che è il concreto comportamento dei membri di una collettività organizzata, in rapporto ai problemi politici della stessa. Vero è – come pure fa notare Schumpeter – «che esistono strutture sociali in cui la dottrina classica corrisponde ai fatti con un grado sufficiente di approssimazione» [26]. Ciò vale ove si consideri l’aspetto politico di molte società ristrette e primitive e, in genere, di quelle organizzazioni sociali in cui non si abbiano grandi decisioni da prendere e grandi problemi da risolvere, che, cioè, siano indifferenziate e a struttura economica estremamente semplice. Ma, anche in questi casi, non sembra che lo schema connesso al concetto classico di «democrazia» fondato sulla volontà popolare possa ritrovarsi con un notevole margine di approssimazione.[pag. 196]

La dottrina della democrazia proposta da Schumpeter, postula un netto capovolgimento di prospettive in rapporto alla definizione classica che sopra abbiamo esaminato. Secondo quest’ultima, infatti, «il popolo possiede una opinione razionale e definita intorno ad ogni problema singolo» [27] ed il metodo democratico consiste appunto nel tradurre in pratica tale opinione razionale, mediante l’elezione o individuazione di un gruppo intermedio, che attui concretamente, nell’ambito di una data collettività, le opinioni del popolo; ove si prescinda dai casi di democrazia diretta in cui è il popolo medesimo che traduce in pratica, in via esclusiva e immediata, le proprie opinioni politiche. È pertanto evidente come, in tale teoria, l’elemento fondamentale su cui poggia la caratterizzazione della democrazia – nelle sue forme diretta e indiretta – sia dato dalla razionalità e definitezza delle opinioni dei singoli in materia politica; razionalità e definitezza che legittimano il potere del popolo di decidere le questioni politiche. Di conseguenza, entro questo complesso processo, il fenomeno dell’elezione dei rappresentanti costituisce un dato del tutto mediato e secondario che non caratterizza il metodo democratico, ma si configura come un non sempre necessario mezza tecnico, mediante il quale la democrazia può esplicarsi con maggiore facilità nelle società numerose e altamente differenziate.

Senonché, una volta negata la razionalità e definitezza delle opinioni politiche del popolo, è facile comprendere come automaticamente venga meno la base su cui dovrebbe fondarsi il potere dell’elettorato di decidere le questioni politiche. Quale potere in tal senso potrà mai essere riconosciuto a una data collettività, una volta che si contesti a quest’ultima addirittura la capacità di porre in essere opinioni politiche razionali?

Seguendo la dottrina classica, non risulta pertanto possibile pervenire a un adeguato concetto di «democrazia»; ciò potrebbe ottenersi solo considerando come del tutto «secondaria la decisione dei problemi ad opera dell’elettorato rispetto alla elezione degli uomini che dovranno deciderli» [28]. In tal modo l’elemento che, nella precedente dottrina, possedeva un netto carattere secondario e mediato, assurge a dato primario, una volta respinti i presupposti su cui si fondava la teoria classica, la quale «attribuiva agli elettori un grado di iniziativa del tutto irrealistico che, praticamente, equivaleva ad ignorare ogni capacità di comando» [29].[pag. 197]

Di conseguenza, compito del popolo non può più considerarsi quello di decidere direttamente o indirettamente le questioni politiche, ma l’altro «di produrre un governo o un corpo intermedio, che a sua volta genererà un esecutivo o governo nazionale» [30], per cui il metodo democratico appare come «lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare» [31]. Ed essenziale a tale processo, ai fini della caratterizzazione del concetto di «democrazia», è il fatto che il processo medesimo si sostanzia in un meccanismo che rende effettiva e possibile la concorrenza al fine di riuscire a far parte del corpo intermedio o del governo (lotta in concorrenza per il comando politico).[pag. 198]

Note

[23] J. Schumpeter, Capitalismo, socialismo e democrazia, p. 247.

[24] J. Schumpeter, id., p. 248.

[25] J. Schumpeter, id., p. 248.

[26] J. Schumpeter, id., p. 251.

[27] J. Schumpeter, id., p. 252.

[28] J. Schumpeter, id., p. 252.

[29] J. Schumpeter, id., p. 253.

[30] J. Schumpeter, id., p. 252.

[31] J. Schumpeter, id., p. 252.

Indice della pubblicazione

Teoria delle classi sociali

Giulio Bolacchi


Capitolo I: Strutture teoriche e scienze sociali

1. Schemi teorici e scienze sociali

2. La prospettiva metodologica delle scienze sociali

3. Le strutture linguistiche astratte

4. Il problema dei concetti teorici

5. Linguaggio osservativo e linguaggio teorico

6. Empirismo, criteri di significatività e termini disposizionali

7. Assiomatizzazione e linguaggio teorico

8. Il concetto di «linguaggio teorico» in Carnap

9. Linguaggio teorico e livelli di astrazione

10. Verificabilità empirica delle strutture astratte; rapporti fra diverse strutture linguistiche

11. Il ruolo della teoria generale nelle scienze sociali

12. Rapporti tra teoria economica e scienza sociale; il problema del sottosviluppo

13. L’integrazione delle scienze sociali e la teoria generale del comportamento sociale

Note del capitolo I

 

Capitolo II: Alcune teorie sulle classi sociali

1. Le principali teorie sulle classi sociali online

2. Classe e situazione di classe in Weber

3. La classificazione dei gruppi e il problema delle classi sociali in Sorokin

4. Il problema dell’ordine e la stabilità dell’interazione sociale in Parsons

5. Sistema di valori e stratificazione sociale in Parsons

6. I limiti fondamentali della teoria generale di Parsons

7. Critiche al «sistema sociale» di Parsons

8. La teoria integrazionista e la teoria coercitiva della società nell’analisi di Dahrendorf

9. Gruppi di conflitto e associazioni coordinate da norme imperative in Dahrendorf

10. Autorità e potere condizionante nella dinamica sociale

11. Il rapporto di autorità e la dinamica reintegratrice o pendolare; l’avvicendamento del personale nelle posizioni di dominio in Dahrendorf

12. I tre stadi di analisi delle strutture sociali: dinamica pendolare, dinamica strutturale-funzionale, dinamica cumulativa

13. Il problema della dinamica nelle teorie di Parsons e Dahrendorf

14. Conclusioni critiche sulle teorie di Parsons e Dahrendorf

Note del capitolo II

 

Capitolo III: Premesse a una teoria generale delle classi sociali

1. Scienza del comportamento e scienza psicologica

2. Le teorie causali del significato

3. La struttura funzionale degli interessi

4. Il campo disposizionale

5. Intermediazione, comunione e mutualità degli interessi negli studi di Perry online

6. Il concetto di «disposizione a rispondere» online

7. Disposizione a rispondere e segno nella semiotica di Morris online

8. Classe sociale e categoria sociale online

9. Il concetto di «interesse comune e interrelato» online

10. L’interesse di classe online

11. L’azione sociale di accettazione e l’azione sociale di condizionamento online

12. Il potere condizionante: potere istituzionale e potere deviante online

13. I concetti di «potere» e «autorità» in alcune teorie sociologiche

14. La dinamica del potere condizionante online

15. Potere deviante e classe sociale online

16. Comunione di interessi, istituzionalizzazione, internalizzazione e potere online

17. Considerazioni conclusive sul concetto di «classe sociale» online

18. Classi sociali e dinamica sociale online

Note del capitolo III

 

Capitolo IV: Democrazia e classi sociali

1. La dottrina classica della democrazia online

2. Indeterminatezza e irrazionalità del comportamento politico; la critica di Schumpeter al concetto di «democrazia» online

3. Democrazia e volontà popolare online

4. La volontà popolare come risultante del processo politico online

5. La democrazia come lotta in concorrenza per il comando politico online

6. Il metodo democratico e la rilevazione degli interessi pubblici online

7. Democrazia come volontà popolare e democrazia come lotta in concorrenza online

8. L’istituto della rappresentanza politica online

9. La forza sociale del potere e il problema della maggioranza online

10. Le differenti caratterizzazioni del concetto di «libertà» online

11. La democrazia come commisurazione istituzionalizzata della forza sociale del potere istituzionale e del potere deviante online

Note del capitolo IV

 

Capitolo V: Un esempio storico: la borghesia

1. La borghesia rivoluzionaria e la polemica di Sieyes contro il privilegio

2. Una interpretazione della Rivoluzione secondo le prospettive di Toynbee

3. Equivoci teorici connessi al concetto di «borghesia» online

4. I valori borghesi e i princípi di perduranza dell’antico regime

5. Il proletariato contemporaneo e la mancata assimilazione dei valori borghesi

6. Il concetto di «borghesia» nel pensiero di Croce

7. Le caratterizzazioni della «borghesia» in termini di ceto medio

8. Gli interessi comuni della borghesia online

9. Classe borghese e potere deviante online

Note del capitolo V

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