Le esternalità derivanti dall’attività formativa e il rendimento sociale della spesa pubblica
Questa caratterizzazione dei processi formativi, da attivare nell’ambito delle attività del Parco mediante la istituzione di una filiera della formazione di capitale umano innovativo, è strettamente compatibile coi criteri di massimizzazione del tasso di rendimento sociale della spesa pubblica.
Al pari degli investimenti in attività di ricerca e sviluppo, anche l’investimento in formazione determina infatti esternalità positive, che esprimono un tasso di rendimento sociale dell’attività formativa maggiore rispetto al suo tasso di rendimento privato (benefici goduti dai fruitori diretti della formazione, siano essi utenti privati o imprese, che ne sostengono i relativi costi). Infatti, la formazione realizzata dalle imprese che operano sul mercato apporta benefici non solo alle imprese che ne sostengono il costo, ma anche ai lavoratori che fruiscono della formazione e alle altre imprese, in quanto aumenta l’offerta di lavoro qualificato; d’altra parte, dal punto di vista delle imprese, un investimento in formazione è rischioso, in quanto i lavoratori formati potrebbero lasciare l’impresa, e il rischio è tanto maggiore quanto più le qualifiche conseguite sono utilizzabili nel mercato del lavoro e quanto più limitate sono le dimensioni dell’impresa.
Questa anomalia del mercato riduce, sia in termini quantitativi che qualitativi, il livello di investimenti in formazione realizzati dalle imprese [pag. 96] rispetto al livello che sarebbe socialmente desiderabile in funzione dei processi di sviluppo e di crescita economica. Le imprese tendono infatti a non realizzare formazione, o a realizzare formazione solo a livelli molto specialistici, strettamente collegati agli specifici prodotti e processi produttivi, escludendo la formazione di base per via della sua maggiore generalità, alla quale direttamente conseguono (così come per la ricerca di base e precompetitiva) i maggiori tassi di rendimento sociale. Minore è il livello dell’attività formativa, cioè più specialistica è la formazione, minore è il tasso di rendimento sociale della stessa e quindi minori sono le esternalità positive (spillover) che essa genera, cioè i suoi benefici sociali indotti.
È questo il motivo per cui la formazione necessita di un intervento pubblico volto a modificare l’allocazione di risorse in formazione realizzata dal mercato, in senso coerente col livello socialmente desiderabile. In assenza di intervento pubblico, le attività formative realizzate nell’ambito del mercato darebbero origine a benefici sociali largamente inferiori ai livelli socialmente desiderabili in funzione dell’attivazione dei processi innovativi (e dei benefici sociali derivanti dalla diffusione dell’innovazione nel mercato) e, conseguentemente, all’attivazione dei processi di sviluppo, di crescita economica e di competitività del contesto socio-economico nel quale la formazione è realizzata.
Pertanto, l’intervento pubblico nella formazione è in linea di principio non eliminabile; così come non è eliminabile l’intervento pubblico a supporto dell’attività di ricerca e sviluppo, relativamente alle tipologie e ai livelli che il mercato non è in grado di garantire (posto il vincolo della compatibilità fra investimenti privati e tasso di rendimento privato e data la presenza di esternalità positive o spillover).
Inoltre, se la formazione fosse gestita esclusivamente in una logica privatistica di mercato, si realizzerebbe un accesso alla formazione limitato ai soggetti e ai gruppi in possesso di una capacità di spesa che altri soggetti e gruppi potrebbero non avere; conseguentemente, si creerebbero risorse conoscitive non uniformemente diffuse, che a causa della discriminazione in base al reddito altererebbero il principio dei rendimenti marginali crescenti delle nuove conoscenze. Perché si possa avere un mercato privato della formazione, accessibile solo a determinate classi di reddito, è pertanto necessario che esista contestualmente una formazione sostenuta da politiche di intervento pubblico, che renda possibile la trasmissione della conoscenza, dato il merito, a tutte le classi di reddito.
Nelle aree in via di sviluppo l’esigenza di fornire incentivi pubblici alla formazione risulta ancora più marcata, in quanto l’assenza di un mercato competitivo e innovativo fa sì che non esista neppure una rete di imprese alla quale possa essere ricollegata una domanda di professionalità di elevato livello, dalla quale origini un sistema formativo privato corrispondente. A domanda di professionalità medie o basse non può per definizione corrispondere un’offerta di servizi formativi di alto livello, gestita sul mercato in modo privatistico e collegata alla discriminante del reddito. In questo caso le esternalità positive si produrrebbero entro sistemi socio-economici esogeni rispetto a quello sul quale l’attività formativa fosse localizzata, nel quale la formazione produrrebbe solo benefici privati; i benefici sociali indotti ricadrebbero tutti in aree sviluppate, accrescendo il tal modo il divario formativo (dotazione di capitale umano) tra le due tipologie di sistemi socio-economici.
Il ruolo pubblico della formazione (compresa l’alta formazione, cioè la formazione di capitale umano innovativo) in funzione dei processi di sviluppo e l’esigenza di gestire i servizi pubblici in funzione della massimizzazione del tasso di rendimento sociale della spesa pubblica sono posti in particolare rilievo anche nell’ambito della normativa comunitaria.
Ai sensi della Disciplina degli aiuti di Stato destinati alla formazione (98/C 343/07) la maggior parte dei finanziamenti pubblici (aiuti di Stato) nel settore della formazione non rientra infatti nel campo di applicazione delle regole della concorrenza, in quanto tali regole vengono esplicitamente subordinate agli obiettivi di interesse comunitario non perseguibili nell’ambito del mercato (non raggiungibili con le sole forze del mercato). I principi in base ai quali la Commissione valuta la compatibilità di tali aiuti con il mercato comune si fondano sulla individuazione di un insieme di soglie, che rispecchiano la diversa capacità di generare economie esterne e il grado di necessità dell’aiuto in funzione del carattere di diffusione e trasferibilità della formazione, delle dimensioni delle imprese e del grado di sviluppo socio-economico del contesto nel quale esse operano.
Le tipologie formative che garantiscono maggiori benefici sociali diffusi e un più elevato tasso di rendimento sociale della spesa pubblica sono quelle connotate prevalentemente in termini di apprendimento di base (generalizzato), e non già specialistico (segmentato), e in termini di apprendimento dell’uso strettamente associato all’apprendimento dell’innovazione nell’uso della tecnologia. [pag. 97]
Queste connotazioni basilari dei processi formativi, tipiche delle attività che il Parco dovrebbe realizzare nell’ambito di una filiera della formazione del capitale umano innovativo, sono implicitamente richiamate nei Libri bianchi della Comunità Europea Crescita, competitività e occupazione (1993) e Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva (1995). Nel primo si legge:
«Il principio fondamentale delle varie categorie di azioni da avviare dovrebbe essere quello della valorizzazione del capitale umano per tutta la durata della vita attiva, partendo dall’istruzione di base e avvalendosi della formazione iniziale per inserirvi poi la formazione continua. … Le competenze fondamentali indispensabili all’inserimento sociale e professionale comprendono sia una acquisizione completa delle conoscenze di base, sia delle competenze a carattere tecnologico o sociale: capacità di muoversi e di agire in un ambiente complesso e ad alta densità tecnologica, capacità di comunicazione e di organizzazione. Esso comprende innanzitutto la capacità fondamentale di acquisire nuove conoscenze e nuove competenze, di imparare a imparare per tutto il corso della vita. L’iter professionale verrà seguito in una logica di progresso continuo delle competenze.»
Nel secondo, le risposte che l’istruzione e la formazione possono fornire alle sfide poste dai processi di cambiamento socio-economico in atto vengono individuate nella rivalutazione della cultura generale (con particolare riferimento alla cultura scientifica, strumentale rispetto alla cultura dell’innovazione e quindi all’apprendimento dell’innovazione nell’uso della tecnologia) e nello sviluppo dell’attitudine all’occupazione (strettamente connessa alla cultura del mercato):
«In una società in cui l’individuo dovrà essere in grado di comprendere situazioni complesse che evolvono in modo imprevedibile, in cui dovrà affrontare un cumulo di informazioni di ogni genere, esiste un rischio di separazione fra coloro che possono interpretare, coloro che possono solo utilizzare e coloro che non possono fare né l’una, né l’altra cosa. … Lo sviluppo della cultura generale è il primo fattore di adattamento all’economia e all’occupazione. La profonda trasformazione in corso del contesto scientifico e tecnico richiede che nel suo rapporto con la conoscenza l’individuo sia in grado di assimilare l’importanza di una cultura scientifica. Nel mondo moderno, la conoscenza in senso ampio può essere definita come un’accumulazione di conoscenze fondamentali, di conoscenze tecniche, di attitudini sociali. Le conoscenze di base costituiscono le fondamenta sulle quali si costruisce l’attitudine individuale al lavoro; nell’istruzione di base occorre trovare un buon equilibrio fra l’acquisizione delle conoscenze e le competenze metodologiche che permettono di imparare da soli. Le conoscenze tecniche sono le competenze che possono essere acquisite in parte tramite il sistema educativo e la formazione professionale, in parte in seno all’impresa. In questa logica, l’accesso alla formazione deve essere sviluppato nell’arco di tutta la vita.»
Tutte le azioni formative devono inoltre essere poste alla base di “un modello sociale equilibrato e una capacità competitiva elevata nel nuovo contesto europeo e internazionale”. Nel documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri sul Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione (1998) si evidenzia, infatti, che il ritardo accumulato dal nostro Paese (e, sia pure in misura diversa, in Europa) nel campo della creazione e diffusione di conoscenza, e, quindi, nel sistema di istruzione, formazione e ricerca, è particolarmente grave e rischia di minacciare la collocazione dell’Italia e dell’Europa stessa nell’economia mondiale.
«La formazione (non solo quella professionale, ma quella che altrove è nota come education) occupa un posto centrale nella ridefinizione dei meccanismi di welfare. Solo attraverso un investimento in questo campo si può passare dalla ridistribuzione della ricchezza esistente alla produzione di nuova ricchezza. Tale formazione deve avere caratteristiche di flessibilità e deve essere in grado di fornire a tutti i giovani quelle conoscenze, competenze e capacità che sono indispensabili in un mercato del lavoro e in un sistema produttivo in incessante trasformazione.»
Il più ampio spazio riconosciuto in ambito comunitario e nazionale agli investimenti pubblici in formazione rispetto agli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo, in funzione del potenziamento delle condizioni di competitività del mercato, è strettamente compatibile con lo schema utilizzato per esplicare il concetto di Parco e riflette la priorità attribuita agli interventi pubblici orientati alla produzione di capitale umano rispetto agli interventi pubblici orientati alla produzione di capitale tecnologico (con specifico riferimento alle tecnologie fisiche).
In particolare, riflette l’esigenza che gli Stati nazionali (e per essi gli enti che perseguono interessi pubblici connessi ai processi di sviluppo e crescita economica) non si sostituiscano al mercato (al settore privato) nel porre in essere attività di ricerca innovativa (realizzando in questo caso una politica assistenzialistica di compensazione dei divari), ma attuino al contrario politiche di stimolo e sostegno dello sviluppo e dell’ampliamento del mercato, realizzando interventi volti a creare le pre-condizioni della competitività (superando discontinuità profonde nel contesto socio-economico); interventi che devono necessariamente incentrarsi sulla formazione di capitale umano innovativo e sulla attivazione di atteggiamenti [pag. 98] positivi verso il mercato, l’imprenditorialità e l’innovazione generalizzati nel contesto sociale. [pag. 99]
Indice della pubblicazione
Politiche di sviluppo, innovazione, parchi scientifici e tecnologici
G. Bolacchi
Premessa online
Parte prima. I problemi dello sviluppo: variabili economiche e variabili sociali.
- Alcune problematiche dello sviluppo in ambito economico. online
- Il progresso tecnologico e l’innovazione. online
- L’innovazione e le pre-condizioni dello sviluppo. online
- Anomalie economiche e sociali del mercato e squilibri nella dinamica dell’innovazione. online
Parte seconda. L’esplicazione del Parco scientifico e tecnologico nell’ambito degli interventi pubblici orientati alla gestione del processo di innovazione.
- Le definizioni descrittive del concetto di Parco.
- Il Parco come infrastruttura puntuale con obiettivi di sviluppo. online
Parte terza. Il ruolo del Parco nei sistemi di mercato sviluppati e industrializzati.
- Le esternalità derivanti dall’attività di ricerca e sviluppo. online
- L’effetto di spiazzamento e il rendimento sociale delle risorse pubbliche. online
- L’intervento pubblico in materia di ricerca e sviluppo e la salvaguardia delle regole del mercato.
Parte quarta. Il ruolo del Parco nei sistemi socio-economici in via di sviluppo.
- L’attivazione delle pre-condizioni dello sviluppo. online
- L’investimento in capitale umano innovativo in funzione dello sviluppo.
- La formazione di capitale umano e la cultura dell’innovazione. online
- Le esternalità derivanti dall’attività formativa e il rendimento sociale della spesa pubblica. online
- Tipologie di Parco con effetti indotti negativi nelle aree in via di sviluppo. online
Appendice. Il ruolo del Parco nell’ambito del Programma Operativo Regionale della Sardegna.