B.F. Skinner, La scienza del comportamento

Prefazione di G. Bolacchi

La definizione dell’oggetto e del metodo delle scienze del comportamento è caratterizzata da numerosi fraintendimenti derivanti dal fatto che la problematica di queste scienze è ancora in parte legata a prospettive filosofico-metafisiche.

Ci si può chiedere perché mai una rivoluzione di tipo galileiano, per quanto concerne l’analisi del comportamento umano, abbia tardato tanto a manifestarsi rispetto a ciò che è avvenuto nelle scienze naturali e per quale motivo le conclusioni di coloro che hanno avviato la ricerca  sperimentale sul comportamento, ponendo le basi per la costruzione di una teoria scientifica dei fenomeni psicologici e sociali, non siano entrate ancora a far parte del linguaggio comune e del campo di esperienze dell’uomo  medio, così come è avvenuto per le scienze naturali.

Una prima risposta a queste domande è data dal fatto che la scienza sperimentale del comportamento contrasta con le interpretazioni soggettive del comportamento che si fondano su atteggiamenti intuitivi e su stati emotivi.

Una seconda risposta consiste nel fatto che queste interpretazioni soggettive danno luogo alla differenziazione e al conflitto di classe e, in conseguenza, ai rapporti di potere; pertanto lo spazio sociale riservato a una esplicazione scientifica del comportamento umano espressa in termini intersoggettivi è molto ristretto. Nel processo di socializzazione e nei contenuti dei mass media, normalmente non compaio- [p. VII]  no o compaiono in misura estremamente ridotta prospettive di tipo scientifico concernenti il comportamento umano.

La stessa struttura della famiglia determina un insieme di rinforzamenti positivi rispetto al comportamento conflittuale dei soggetti del gruppo familiare nei confronti di gruppi esterni. Inoltre, interessi di tipo conflittuale derivanti da quelli acquisiti durante il processo di socializzazione caratterizzano la maggior parte dei gruppi più vasti ai quali il soggetto si affilia.

In sintesi le difficoltà che si frappongono alla generalizzazione dei risultati conseguiti dalla scienza sperimentale del comportamento possono essere ricondotte al fatto che le attuali strutture di potere operano, con riferimento ai problemi del comportamento, rinforzando positivamente un approccio a-scientifico e valutativo e rinforzando negativamente ogni presa di posizione scientifica. In questo senso può dirsi che la scienza sociale si contrappone nettamente alle ideologie sociali, le quali, pur essendo tra loro in conflitto, si trovano unite nel tentativo di svalutare la ricerca sperimentale sul comportamento espressa in un linguaggio intersoggettivo, in quanto una tale ricerca implica necessariamente una posizione di critica radicale nei loro confronti.

La diffusione delle scienze del comportamento è ostacolata non solo dalle strutture di potere ma anche da errate impostazioni teoriche che hanno la loro origine, sia nella metafisica di tipo tradizionale, sia nella metodologia filosofica delle scienze sociali di Weber e in genere nel pensiero dei filosofi appartenenti alla cosiddetta scuola dello storicismo tedesco contemporaneo [P. Rossi, Einaudi, 1956]; pensiero che da molti, per via della sua contrapposizione con la  metafisica tradizionale e delle sue aperture in termini di relativismo culturale, è tuttora considerato come un punto di arrivo insuperato della riflessione metodologica sul comportamento umano.

Questo tipo di problematica, in modo implicito o esplicito, fonda in ultima analisi la distinzione tra scienze storico-sociali e scienze naturali su una diversità di oggetto tra i due tipi di scienze, implicante una diversità di metodi conoscitivi. La diversità di oggetto consiste nel supporre una radicale differenziazione tra spirito e natura. Si tratta di una differenziazione formulata in termini metafisici che riflette una diversità di sostanze o di essenze tra loro del tutto irriducibili. [p. VIII] Anche perché la realtà spirituale viene intesa come realtà dinamica assoggettata a un continuo processo evolutivo; è appunto in questo senso che si parla di scienze storico-sociali.

La realtà spirituale implicherebbe una particolare relazione tra soggetto e oggetto della ricerca, nel senso che mentre la natura si suppone come esterna al soggetto, lo spirito sarebbe qualcosa che il soggetto vive e sperimenta dall’interno. Questa distinzione postula una considerazione di tipo mentalistico dell’uomo e un metodo di ricerca fondato sull’introspezione; intendendo per mentalismo una prospettiva che considera il comportamento come una variabile (dipendente) funzione di variabili (indipendenti) non sperimentali che definirebbero stati mentali o stati di coscienza del soggetto, e per introspezione il modo in cui il soggetto conoscerebbe questi suoi stati di coscienza.

Lo studioso che ha maggiormente contribuito allo sviluppo e alla diffusione della prospettiva sperimentale della scienza del comportamento e che maggiormente si è impegnato nel porre in luce — anche a un livello di elevata divulgazione — la vacuità delle esplicazioni metafisiche del comportamento e l’erroneità metodologica del discorso mentalistico è senza alcun dubbio B.F. Skinner.

La sua lotta contro la metafisica, iniziata con Walden due e sviluppata in Scienza e comportamento e in Oltre la libertà e la dignità trova in questo libro un epilogo, in quanto investe tutti gli aspetti della riflessione pre-scientifica sulla natura e sulla essenza dell’uomo.

La definizione skinneriana del behaviorismo come “filosofia” della scienza del comportamento non deve essere fraintesa. Il termine “filosofia” vuole infatti soltanto indicare che l’analisi svolta da Skinner ha per oggetto da una parte l’esplicazione del comportamento mediante il metodo dell’esperimento controllato, e dall’altra i tentativi di spiegare il comportamento mediante il metodo intuitivo tipico delle elaborazioni prescientifiche.

Questo libro di Skinner rappresenta pertanto uno sforzo volto ad analizzare criticamente due tipi di linguaggio radicalmente contrapposti: quello scientifico caratterizzato dall’intersoggettività perché rigorosamente fondato sull’esperimento e quello prescientifico privo di qualsiasi capacità applicativa e per definizione soggettivo, che trova nelle teorizzazioni metafisiche [p. IX] il suo punto di riferimento fondamentale. Non è perciò azzardato pensare che nelle intenzioni dell’autore quest’opera costituisca una versione moderna del dialogo galileiano sui massimi sistemi, in quanto, analogamente a quest’ultimo, si propone di dare una fondazione metodologica alla scienza del comportamento.

Puntualmente e meticolosamente Skinner ci offre una rassegna di tutti gli pseudo-concetti e le pseudo-esplicazioni che la metafisica, la ideologia e il senso comune utilizzano per tentare di spiegare il comportamento individuale e sociale. Lo stile scorrevole e raffinato non deve però trarre in inganno il lettore; perché da un lato non sempre l’analisi è priva di oscurità e dall’altro lato essa può apparire molto meno difficile di quanto in realtà non sia. La sensazione di lettura facile deriva in gran parte — come in tutti gli scritti non strettamente sperimentali di Skinner — da un apparente ripudio di ogni tecnicismo. In realtà l’analisi svolta da Skinner in quest’opera è intrisa di riferimenti a quel corpo di conoscenze sperimentali che costituiscono la scienza del comportamento; per cui è facile che il lettore il quale non abbia affrontato la fatica preliminare di un adeguato approfondimento dei principi sperimentali della psicologia comportamentistica possa sottovalutare la portata delle affermazioni skinneriane correndo il rischio di banalizzarle.

Per questo motivo, piuttosto che affrontare l’onere di un commento articolato di tutta l’opera, cosa del resto impossibile in una breve introduzione, mi sembra utile richiamare le relazioni fondamentali e i principali concetti emersi nelle analisi sperimentali sul comportamento, in modo da dare al lettore un’idea non vaga dell’oggetto della scienza del comportamento e del contributo ad essa apportato da Skinner, con specifico riferimento a quello che egli denomina comportamento operante, che deve essere tenuto distinto dal comportamento rispondente o elicitato esplicato sul piano sperimentale da Pavlov.

L’analisi scientifica del comportamento si è sviluppata attraverso studi sperimentali effettuati sugli animali. E ormai un risultato acquisito dalla moderna psicologia che l’analisi dei processi psicologici deve essere condotta su base sperimentale e che un metodo adatto è quello di utilizzate animali in condizioni esattamente controllate; dato che la sperimentazione su [p. X] animali offre possibilità che non possono ovviamente ottenersi quando si utilizzano esseri umani.

Dal punto di vista metodologico la psicologia comportamentistica afferma che la differenza tra l’uomo e gli animali non è qualitativa, ma consiste semplicemente in una questione di gradi di complessità. Considerare l’uomo qualitativamente diverso significa infatti far ricorso a elementi di valutazione metafisica che devono essere riconosciuti e eliminati dall’ambito dell’analisi scientifica. Una volta ammesso che la differenza è di grado, è evidente che gli animali appaiono come gli organismi più adatti per analizzare sperimentalmente la struttura dei processi psicologici. In questo modo la psicologia si trasforma da analisi metafisica dei processi mentali in analisi scientifica del comportamento; diventa una scienza sperimentale nello stesso senso in cui lo sono la fisica e la biologia.

Contro l’estrapolazione dei risultati di laboratorio ottenuti su animali al comportamento umano si obietta spesso che vi sarebbe una essenziale soluzione di continuità tra gli animali e l’uomo e che tale discontinuità renderebbe invalida l’estrapolazione stessa.

Sennonché presupporre una discontinuità tra comportamento umano e comportamento animale significa — come osserva Skinner in un’altra sua opera — tentare di risolvere a priori un problema che deve essere analizzato in termini sperimentali, sulla base del metodo scientifico. “Il comportamento umano — egli afferma — si distingue per la sua complessità, la sua varietà e le sue maggiori capacità di realizzazione, ma ciò non vuol dire che i processi fondamentali debbano per questo essere differenti. La scienza procede dal semplice al complesso ed ha la costante preoccupazione di verificare che i processi e le leggi individuate a un dato stadio di sviluppo siano adeguate al successivo; sarebbe piuttosto rozzo sostenere a questo punto che non vi sia alcuna differenza essenziale tra il comportamento umano e il comportamento delle specie inferiori, ma finché non sia stato fatto il tentativo di affrontarli entrambi negli stessi termini sarebbe altrettanto rozzo affermare che tale differenza esiste. Si studia il comportamento degli animali perché è più semplice, i suoi processi fondamentali sono più facilmente distinguibili e possono essere registrati per periodi molto più lunghi, l’osservazione non viene complicata dall’interazione sociale tra soggetto e speri- [p. XI] mentatore, le condizioni possono essere meglio controllate. Si possono predisporre precise storie genetiche per controllare certe variabili e speciali storie individuali per controllarne altre: per esempio si può allevare un animale nell’oscurità fino all’inizio dell’esperimento se si vuole indagare il modo in cui un organismo impara a vedere. Siamo anche in grado di controllare circostanze transitorie in misura non facilmente ottenibile nel caso del comportamento umano, potendo per esempio far variare in modo ampio gli stati di privazione. Sono tutti vantaggi che non dovrebbero essere rifiutati con la affermazione a priori che il comportamento umano è inevitabilmente distinto in un suo ambito separato” .[1]

Una definizione scientifica del concetto di comportamento può essere pertanto formulata solo su basi rigorosamente sperimentali. L’esperimento che consente di individuare le variabili fondamentali del comportamento operante e le relazioni che caratterizzano tali variabili concerne il processo di apprendimento. In tale esperimento, ormai classico, Skinner [2] ha analizzato il modo in cui un ratto affamato “impara” un certo comportamento. Il ratto viene situato entro una scatola (detta scatola di Skinner) nella quale è predisposta una leva che appena azionata determina l’introduzione nella scatola, attraverso una apposita apertura, di una certa quantità di cibo. All’inizio dell’esperimento si osserva che il ratto pone in essere numerosi comportamenti: gira intorno alla scatola, annusa qua e là. Può accadere anche che casualmente sposti la leva (la quale è molto sensibile); in tal caso immediatamente viene introdotto nella scatola del cibo. Col passare del tempo si osserva che mentre diminuisce la frequenza dei comportamenti consistenti, ad esempio, nel correre e nell‘annusare, aumenta la frequenza del comportamento del premere la leva. Un apposito strumento collegato alla leva consente di tracciare su un nastro di carta le frequenze cumulate di quest’ultimo [p. XII] comportamento in funzione del tempo. Il risultato è una curva crescente che viene denominata “curva dell’apprendimento”.

L’esperimento mostra che l’ottenimento del cibo ogni volta che il ratto sposta la leva altera la probabilità (intesa come frequenza relativa) del comportamento: si dice anche che il cibo rinforza il comportamento consistente nel premere la leva. Il cibo viene chiamato “stimolo rinforzatore” e simbolizzato con S+, mentre il comportamento del premere la leva viene simbolizzato con R. Il processo di rinforzamento viene simbolizzato con l’espressione: R → S+.

Pertanto l’associazione dello stimolo-cibo con la risposta “premere la leva” ha come risultato un aumento della probabilità che si manifesti la risposta R (rinforzo di R, ovvero forza dell’operante R, cioè predisposizione ad emettere un operante R senza ulteriore rinforzamento).

L’apprendimento può quindi essere definito come un cambiamento del comportamento che si manifesta per effetto di un processo di rinforzamento.

L’aspetto fondamentale dell’esperimento descritto è che non è necessario individuare uno stimolo specifico che produca, mediante una connessione causale, il comportamento del premere la leva. Per questo motivo si dice che il comportamento del ratto è un comportamento emesso; per distinguerlo da quei comportamenti che sono causati da uno stimolo e che perciò vengono chiamati comportamenti riflessi.

Nell’esperimento di Skinner i comportamenti del ratto sono assunti come completamente casuali; lo stimolo rinforzatore (cibo) modifica la probabilità del manifestarsi di uno di questi comportamenti (premere la leva) ma non causa questo comportamento. Il comportamento emesso viene anche chiamato comportamento operante, per porre in evidenza il fatto che esso opera sull’ambiente generando certe conseguenze.[3]

Nel comportamento riflesso si ha invece un rapporto tra uno stimolo e un dato comportamento (risposta), tale che la risposta è direttamente provocata dallo stimolo ed è possibile predire la risposta con la massima precisione (per esempio, la vista del cibo fa sali- [p. XIII] vare un cane). Il rapporto tra stimolo e risposta è quindi strettamente causale. Lo stimolo che ha la capacità di produrre un certo comportamento viene chiamato “stimolo incondizionato” (SI), e la risposta viene anch’essa chiamata “risposta incondizionata” (RI). Pavlov ha mostrato che associando a uno SI uno stimolo neutrale (il quale non ha di per se la capacità di provocare il comportamento provocato dallo SI) è possibile far acquisire allo stimolo neutrale le stesse proprietà dello SI. Per esempio, associando più volte uno stimolo sonoro al cibo, lo stimolo sonoro acquisisce la capacità di provocare la salivazione in un cane.

L’intensità della risposta (salivazione) provocata dallo stimolo sonoro cresce col crescere del numero delle associazioni e contemporaneamente diminuisce il tempo di reazione, cioè il tempo che intercorre tra la presentazione dello stimolo sonoro e la salivazione. Lo stimolo sonoro viene chiamato “stimolo condizionato” (SC) e la salivazione da esso provocata “risposta condizionata” (RC).

I due casi sopra discussi vengono anche denominati rispettivamente “condizionamento operante“ (Skinner) e “condizionamento rispondente” (Pavlov).

Nell’ambito del condizionamento operante possono aversi due tipi di rinforzamento: il rinforzamento positivo e il rinforzamento negativo.[4]

Si ha rinforzamento positivo quando l’aumento della probabilità (frequenza) di una data risposta è ottenuto mediante la acquisizione di uno stimolo (rinforzatore positivo). L’esperimento sopra descritto è un esempio di rinforzamento positivo poiché il cibo è uno stimolo che viene acquisito quando il ratto effettua un certo comportamento.

Si ha rinforzamento negativo quando l’aumento della probabilità (frequenza) di una data risposta è ottenuto mediante la rimozione di uno stimolo (rinforzatore negativo). Se cioè un comportamento R è seguito dalla eliminazione di uno stimolo (o dalla riduzione della sua intensità) e se l’eliminazione di tale stimolo rinforza R, allora lo stimolo è un rinforzatore negativo (S–). Se indichiamo il venir meno di S– con So, il processo di rin- [p. XIV] forzamento negativo può essere simbolizzato con la espressione: R → So.

Il processo di rinforzamento negativo è denominato “escape conditioning” in quanto l’effettuazione di R (comportamento di fuga) consente di sfuggire a S–.

Un esperimento classico di rinforzamento negativo è il seguente: un ratto viene situato in un labirinto a forma di T il cui pavimento è percorso da corrente elettrica; solo un ramo del labirinto non è percorso da corrente, per cui il ratto può eliminare lo stimolo “corrente elettrica” (S–) andando a situarsi in quel ramo. Nel corso dell’esperimento si osserva che il numero delle prove scorrette decresce, e che il ratto impara a recarsi nel ramo della T dove non vi è corrente elettrica. Il comportamento consistente nel recarsi nel ramo della T privo di corrente elettrica (R) è rinforzato per il fatto che questo comportamento è strumentale rispetto alla eliminazione della corrente elettrica (So).

In entrambi i tipi di rinforzamento l’effetto è il medesimo e consiste nell’aumento della probabilità che si manifesti una data risposta. La distinzione tra i due tipi di rinforzamento, afferma Skinner, non può essere superata argomentando che il rinforzatore negativo è dato dalla assenza di un qualche stimolo (corrente elettrica, luce intensa); infatti ciò che ha effettivo rilievo è il passaggio da una situazione in cui lo stimolo è presente a una situazione in cui lo stimolo viene rimosso in conseguenza della risposta.

Questi i punti fondamentali da cui prende le mosse l’analisi sperimentale del comportamento. Analisi le cui dimensioni diventano tanto più complesse quanto più complesse sono le sequenze operative da esplicare.

È interessante sottolineare a questo proposito che i concetti individuati nell’ambito dell’analisi sperimentale del comportamento animale costituiscono altrettanti predicati esplicativi del comportamento umano, individuale e sociale. Questo vale ad esempio per le strutture di potere, per il conflitto di classe, per il rapporto didattico, per la concorrenza, per il collettivismo, per il pluralismo, per la competizione. Tutte queste situazioni sociali che il senso comune considera come peculiari e autonome dimensioni del comportamento umano, vengono esplicate unitariamente sul piano della analisi scientifica, utilizzando sempre i concetti sperimentali fondamentali della scienza del comportamento.  [p. XV]

Il lettore attento si renderà  subito conto di questa operazione metodologica, utilizzata da Skinner, che risulta di gran lunga più rigorosa e convincente di tutti i tentativi di spiegazione pre-scientifica del comportamento umano.

Un’ultima considerazione su un problema fondamentale emergente dalla razionalità scientifica moderna: quello concernente la possibilità di realizzare una società non ideologica fondata sulla scienza sociale.

In un contesto sociale in cui i rapporti istituzionalizzati si fondassero su presupposti scientifici, non esisterebbe conflitto ma interrelazione congiunta tra tutti gli interessi di tutti i soggetti e questi interessi sarebbero tutti compatibili con un discorso scientifico intersoggettivo e verificabile sperimentalmente. L’ipotesi dell’eliminazione del conflitto presuppone quindi questo tipo di società. Si tratta di una società non tanto utopistica quanto il senso comune ideologizzato vorrebbe far credere. Le sue linee essenziali sono state tracciate da Skinner in una sua opera già ricordata [5], che fornisce una ricca esemplificazione dalla quale si può trarre conferma del fatto che il conflitto e la competizione operano in società nelle quali gli interessi dei soggetti hanno una base ideologica, siano esse società strutturate con riferimento a schemi pluralistici o a schemi collettivistici. In queste società la dinamica si svolge mediante il conflitto e il conflitto deriva dall’esistenza di interessi di tipo valutativo che per definizione hanno natura soggettiva.

La modificazione radicale delle attuali strutture sociali potrà pertanto avvenire solo con la trasformazione degli interessi ideologici istituzionalizzati in interessi compatibili col contesto delle scienze sociali. E questo, d’altra parte, l’unico senso operativo che noi possiamo dare alla scienza del comportamento. L’operativizzazione delle leggi del comportamento implica un continuo raffronto, in termini di compatibilità, tra gli interessi dei soggetti e i risultati della ricerca scientifica, sino a giungere al limite di un completo adeguamento di tutti gli interessi di tutti i soggetti con le leggi della scienza del comportamento.   [p. XVI]

Note

[1] B.F. Skinner, Scienza e comportamento, Milano, Angeli, 1971, pp. 61-62.
[2] B.F. Skinner, The behavior of organisms, N.Y., Appleton-Century-Crofts, 1938, p. 48 e ss.
[3] B.F. Skinner, Scienza e comportamento, op.cit., p. 91
[4] B.F. Skinner, Scienza e comportamento, op.cit., p. 101
[5] B.F. Skinner, Walden due, La Nuova Italia, Firenze, 1975

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