Schemi teorici funzionali e schemi teorici cumulativi

Diventa a questo punto necessaria la distinzione metodologica tra schemi teorici funzionali e schemi teorici cumulativi; prospettiva scientifica da un lato, ed evoluzione e stazionarietà dall’altro.

Gli schemi funzionali possono essere qualificati in termini di statica e di dinamica. Nel primo caso gli stati vengono considerati nella loro interdipendenza funzionale prescindendo dal tempo come ordine. La relazione di interdipendenza funzionale è una relazione asimmetrica, la quale sul piano matematico si traduce nel rapporto tra variabile indipendente e variabile dipendente. Essa non può generare ordine seriale, poiché possiede solo la proprietà della asimmetria ma non quelle della transitività e della connessione. Nell’ambito della scienza economica un esempio di schema statico è fornito dall’equilibrio economico generale, il quale si traduce in un insieme di relazioni di interdipendenza tra le variabili del sistema economico, prescindendo dall’ordine delle variabili secondo una successione causale, cioè dall’ordine temporale (nell’ambito della fisica un esempio è fornito dalla statica).

Nel secondo caso gli stati vengono ordinati secondo una serie aperta, per cui partendo da un punto della serie e percorrendola nel verso della relazione generatrice o nel verso contrario non è mai possibile ritornare al punto di partenza. A questo livello gli stati sono caratterizzati in termini di tempo come ordine e, in conseguenza, la struttura del discorso scientifico è caratterizzata dall’ordine causale (relazione causale funzionale). Nell’ambito della scienza economica un esempio di schema dinamico (non operativo) è fornito dall’analisi del processo di aggiustamento della domanda e dell’offerta.

È necessario a questo punto osservare che sulla considerazione [pag. 42] del tempo come ordine non può fondarsi uno schema esplicativo dell’accumulazione di capitale. Infatti l’accumulazione indica una serie nella quale il tempo è considerato non come ordine ma come direzione. In questo caso la serie degli stati del sistema è stabilita in connessione col mutamento nel contenuto degli stati; essa cioè è caratterizzata in termini di evoluzione o flusso (processo cumulativo).

Gli stati fisici possono essere per esempio ordinati in base al mutamento nel loro contenuto utilizzando la grandezza entropia. Si ottiene cosi un ordine degli stati secondo i valori crescenti dell’entropia. È importante rilevare che l’ordine così ottenuto non è un ordine causale (tempo come ordine) ma un ordine storico degli stati individuato attraverso la serie crescente dell’entropia. Perciò il secondo principio della termodinamica (principio della entropia) si limita ad esprimere una irreversibilità dei fenomeni fisici, ma non fornisce una esplicazione del perché di tale irreversibilità.

La prospettiva del tempo come direzione o irreversibilità individua appunto l’evoluzione o dinamica cumulativa. L’accumulazione di capitale non può essere considerata altrimenti che sotto questa prospettiva. Ciò spiega perché l’accumulazione non può costituire oggetto di indagine della scienza economica, allo stesso modo in cui la irreversibilità degli stati non costituisce oggetto di analisi della fisica. Così come la fisica si limita a postulare la irreversibilità degli stati ma non cerca di spiegarne il perché (questo problema è filosofico non scientifico), allo stesso modo l’economia può, al massimo, esprimere un principio della accumulazione del capitale. Il fatto che il secondo principio della termodinamica condiziona lo sviluppo del discorso la fisica nel senso che ogni proposizione della fisica deve essere compatibile col principio dell’entropia, non significa che l’esplicazione della irreversibilità costituisce oggetto di studio della fisica. Al contrario, come osserva Born, la termodinamica si riferisce soprattutto agli equilibri. «In effetti – egli dice – l’espressione “termodinamica” induce in errore. Le uniche affermazioni di natura dinamica possibili guardano i passaggi irreversibili da uno stato di equilibrio a un altro e sono di carattere alquanto modesto, poiché danno l’accrescimento totale dell’entropia oppure la diminuzione dell’energia libera F=U-TS. Il processo irreversibile in s‚ è al di fuori dell’ambito della termodinamica» (M. Born, Filosofia naturale della causalità e del caso. Torino, Boringhieri, 1962 p. 62 (corsivo nostro)).  [pag. 43]

Sulla base di queste precisazioni appare quindi comprensibile l’insuccesso della teoria classica nel fornire una esplicazione soddisfacente dei fenomeni economici. Insuccesso dovuto al fatto che la teoria classica è un tentativo di esplicare la dinamica cumulativa; per cui l’effettivo problema scientifico dell’economia, cioè l’esplicazione dell’azione economica, è un problema sconosciuto agli economisti classici. Solo con l’abbandono del problema della dinamica cumulativa del capitale, e con l’impostazione del problema della definizione del comportamento economico, nasce l’economia come scienza. Queste precisazioni ci consentono di chiarire un ulteriore equivoco. Nella letteratura economica ci si riferisce all’equilibrio economico come a modello esplicativo dello stato stazionario, identificando quindi il significato di “stazionario” con quello di “statico”. Il concetto di stazionarietà indica invece un caso limite della dinamica cumulativa. In fisica, per esempio, può essere definito un caso limite delle trasformazioni termodinamiche in cui un corpo A alla temperatura T cede calore a un corpo B anch’esso alla temperatura T e lo scambio avviene in un tempo infinitamente lungo (cosiddetta trasformazione reversibile). In questo tipo di trasformazione non si ha variazione di entropia. Il concetto di stazionarietà dovrebbe essere utilizzato per indicare appunto questo caso limite. Comunque, anche in fisica il concetto di stazionarietà è usato con significati diversi; ma è chiaro che questi significati debbono essere distinti. Allo stesso modo, con riferimento all’economia, la stazionarietà può indicare solo un caso limite della dinamica cumulativa, quello in cui il livello dell’accumulazione rimane costante. Questo concetto è quindi radicalmente distinto da quello di statica e non si può in nessun modo affermare che lo schema l’equilibrio economico esplica lo stato stazionario, in quanto in tale schema non esiste alcun riferimento all’accumulazione di capitale, né si può dedurre da tale schema alcuna proposizione relativa all’aumento dell’accumulazione. Ipotizzare che la staticità implichi la stazionarietà non ha senso poiché si tratta di prospettive completamente diverse. Sarebbe come se in fisica si deducesse dal fatto che un dato sistema è in equilibrio statico che l’entropia del sistema non varia!

È importante osservare che spesso nell’analisi dinamica di tipo causale accade che certe funzioni, al divergere del tempo, tendano a valori limite. Questi valori limite vengono chiamati valori stazionari. In questo caso il termine “stazionario” assume un significato diverso dal precedente; esso infatti non indica la costanza di un indice che esprime il mutamento nel contenuto degli stati. In altre parole, la stazionarietà non si riferisce in questo caso ad una costanza [pag. 44] nell’evoluzione; al contrario essa indica che esiste un punto limite verso cui converge una data serie causale. Per esempio, nell’analisi dinamica dell’aggiustamento della domanda e dell’offerta si dimostra che esiste un valore stazionario per il prezzo; ciò significa che una serie causale (rappresentata da oscillazioni smorzate) che converge verso quel valore. In questo caso “stazionario” ha un significato differente da “statico” e da “stazionario come caso limite della dinamica cumulativa”.

In conclusione la dinamica cumulativa e la stazionarietà si riferiscono a una serie di stati individuata mediante un indice che esprime la variazione nel contenuto degli stati (per cui ogni stato è singolare e non ripetibile); se vi è dinamica cumulativa l’indice in questione assume valori crescenti (in fisica l’indice è l’entropia); se vi è stazionarietà l’indice rimane costante. L’accumulazione del capitale può essere assunta per esprimere la dinamica cumulativa (o la stazionarietà) di un sistema economico.

L’impostazione scientifica dei problemi prescinde completamente dalla considerazione dei fenomeni in termini di evoluzione. Ciò che alla teoria economica importa stabilire sono le leggi che guidano l’azione umana quando, date certe risorse, un soggetto cerca di soddisfare un dato insieme di bisogni. Solo impostando in questo modo il problema, e prescindendo dal fatto che il contenuto e il numero di bisogni si modificano continuamente, è possibile pervenire a leggi economiche scientifiche, anche se non di tipo operativo.

L’impostazione scientifica prescinde da una considerazione tipo storico relativa al fatto che i bisogni dell’uomo sono finora andati progressivamente sviluppandosi e manifestano una tendenza a svilupparsi. Dal piano storico non si può passare al piano causale funzionale; non si può cioè utilizzare la prospettiva storica (evoluzionistica) per dimostrare che la teoria economica è contraddittoria.

Il criterio di scelta per passare dal processo di indefinito sviluppo dei bisogni a una struttura determinata di bisogni è dato dall’attività del soggetto che postula una struttura di bisogni. Ciò significa che l’esplicazione in termini scientifici dell’azione economica deve sempre postulare una struttura di bisogni assunta come un dato e un insieme di risorse limitate mediante le quali è possibile soddisfare quei bisogni.

L’unica possibilità che ha il produttore (come del resto ogni soggetto) di modificare i bisogni consiste nell’attività volta a influenzare gli altri soggetti. Questa attività non può però essere esplicata all’interno del discorso economico, in quanto presuppone un tipo di inter- [pag. 45] relazione diversa da quella concernente il comportamento di scambio in senso lato.

Pertanto la individuazione di una struttura determinata di bisogni, dal punto di vista economico, è indipendente dalla produzione; tale individuazione costituisce uno degli elementi necessari affinché il soggetto possa effettuare le scelte in modo da massimizzare la propria funzione di ofelimità.  [pag. 46]

Indice della pubblicazione

Concorrenza, collettivismo e pianificazione

G. Bolacchi


1. Il massimo di ofelimità collettivo secondo Pareto e Barone.

2. Il problema della produzione nel sistema della concorrenza e nel sistema collettivistico.

3. Il problema del consumo nel sistema della concorrenza e nel sistema collettivistico

4. Un errore di Pareto: nel sistema collettivistico le decisioni dell’ufficio della pianificazione coincidono con le preferenze dei soggetti.

5. I fondamenti sociali della concorrenza e del collettivismo. online

6. Il concetto di interrelazione congiunta.

7. Il concetto di interrelazione disgiunta.

8. Analisi strutturale e analisi operativa del comportamento con riferimento all’interrelazione congiunta e all’interrelazione disgiunta.

9. Il concetto di forza sociale e la relazione di potere.

10. La relazione di scambio.

11. L’esplicazione della competizione in termini di interrelazione disgiunta degli interessi.

12. I sistemi misti. online

13. Il concetto di pianificazione. online

14. Schemi teorici funzionali e schemi teorici cumulativi. online

15. Il modello di Leontief come schema interpretativo dell’economia del soggetto isolato e dell’economia collettivistica. online 

16. Il problema della accumulazione. online

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