Tutti i tipi di linguaggi possono essere caratterizzati in termini sintattici (cioè logici) o in termini semantici. Il fattore che determina la differenziazione tra linguaggio del senso comune e linguaggio scientifico è dato non tanto dall’aspetto sintattico, ma anche e soprattutto dall’aspetto semantico, cioè dalle modalità mediante le quali tutti i tipi di linguaggio vengono interpretati.
In sintesi l’interpretazione del linguaggio del senso comune è di tipo esperienziale, in quanto prende in considerazione i fenomeni secondo un paradigma fondato sulle esperienze individuali o di gruppo (opinioni soggettive), mentre l’interpretazione del linguaggio scientifico è in linea di principio di tipo sperimentale. Ovviamente l’esperimento controllato implica necessariamente una specifica sintassi strettamente comparabile con l’analisi sperimentale.
Ciascun linguaggio consiste in un insieme di segni ordinati in base a specifiche relazioni sintattiche interpretate da un punto di vista semantico. Il concetto di interpretazione semantica di una determinata sintassi si riferisce, in sostanza, alle modalità mediante le quali gli stimoli linguistici si traducono (o dovrebbero tradursi) in insiemi di comportamenti che costituiscono corrispondenti risposte ai segni da parte degli interpreti verso i quali i segni operano come stimoli.
È importante tenere disgiunto l’insieme dei segni sintattici dai diversi insiemi di segni semantici: a ciascun insieme di segni sintattici può, infatti, corrispondere un insieme di interpretazioni semantiche. Queste ultime possono essere molteplici nell’ambito del linguaggio riconducibile al senso comune. Ad esempio, se prendiamo in considerazione le opere letterarie dello stesso o di diversi autori, troviamo che in sostanza essi usano gli stessi modelli sintattici, cioè le stesse relazioni sintattiche più o meno basilari (in sintesi, gli stessi connettivi proposizionali, più o meno diversificati). La interpretazione semantica, in questo caso, è relativa alla esperienza di vita di ogni singolo autore.
1. Prospettiva interna e prospettiva esterna
La semantica può essere presa in considerazione con riferimento a due diverse prospettive di analisi. La prima concerne le relazioni dei segni tra loro entro un dato linguaggio ed è riferita alle regole sintattiche e semantiche che caratterizzano le condizioni di significatività dei termini linguistici; in questo senso può parlarsi di analisi semantica interna al linguaggio. La seconda prospettiva di analisi concerne le modalità di uso dei segni, cioè le relazioni tra i segni e gli “interpreti” che li utilizzano in un processo comunicativo; in questo senso può parlarsi di analisi esterna al linguaggio.
La prospettiva interna è stata esplicata in modo rigoroso da R. Carnap, che ha approfondito le problematiche connesse alla caratterizzazione sintattica e alla interpretazione semantica dei termini linguistici.
La prospettiva esterna è stata analizzata da C. Morris, il quale ha proposto per primo una definizione del segno in termini comportamentistici. Quantunque l’esplicazione del processo segnico espressa da Morris non sia stata presa in considerazione da B.F. Skinner nella sua analisi del comportamento verbale, essa può essere riformulata nel quadro dell’attuale scienza del comportamento.
(cfr. Metodologia delle scienze sociali, p. 6)
2. Regole di formazione, designazione e verità
«Una esplicazione del concetto di “sistema” poggia, sul piano semantico, sulle regole di formazione, di designazione e di verità che determinano rispettivamente la forma delle frasi ammesse entro un sistema (frase in S), le costanti descrittive del sistema (designazione in S) e le condizioni di verità per le frasi del sistema (verità in S).
La definizione del concetto di “vero in S” costituisce il fulcro dell’intero sistema, non già in funzione della determinazione dei valori di verità delle frasi nel sistema, determinazione che viene attuata mediante una serie di regole semantiche di diverso tipo; bensì in relazione alla determinazione delle condizioni di verità delle frasi nel sistema. In tal senso le regole di formazione e le regole di designazione costituiscono una caratterizzazione preparatoria rispetto alle regole di verità, mentre sulla base di questi tre tipi di regole, e in particolare delle ultime, possono essere definiti nuovi concetti semantici.
Le regole di designazione sulle quali poggia, sotto un profilo semantico, il concetto di “sistema”, formulano mere convenzioni sotto forma di una definizione della “designazione in S”, mediante la enumerazione dei casi per i quali vale la relazione di designazione [5]. Il termine “designazione” può anche essere usato per espressioni composte e per frasi, nel qual caso le regole di designazione definiscono per enumerazione il termine preliminare “designazione diretta”; mediante quest’ultimo viene quindi definito in modo ricorsivo il termine più generale “designazione” [6].»
(Metodologia delle scienze sociali, pp. 94)
3. Sistema semantico
«Le regole di designazione sono relative in particolare alle costanti non logiche che determinano quali attributi (proprietà e relazioni) sono designati dai predicati e quali individui sono designati dalle espressioni individuali [7]. Queste regole di designazione si traducono: a) nella interpretazione dei predicati e quindi nella determinazione del livello di astrazione degli stessi; b) nella scelta e specificazione dei gradi (numero degli argomenti) dei predicati primitivi; c) nella interpretazione delle espressioni individuali (intese come costanti individuali).
Una esplicazione del concetto di “sistema” deve tener conto, oltre che delle regole di formazione [8] e di designazione per le costanti non logiche (predicati ed espressioni individuali) di ulteriori regole semantiche che determinano i significati delle frasi nel sistema con particolare riferimento ai concetti di “verità” o di “falsità […].»
«Una regola di verità per le frasi atomiche è data dalla considerazione che una frase atomica in S, consistente in un predicato seguito da una costante individuale, è vera se e solo se l’individuo al quale la costante individuale si riferisce possiede la proprietà alla quale il predicato si riferisce [17]. […]
Le regole di verità prese tutte assieme costituiscono una definizione ricorsiva di “vero in S” [20], in quanto determinano in combinazione con le regole di designazione, per ogni frase in S, una condizione necessaria e sufficiente alla sua verità. Quindi allo stesso modo in cui le tavole di verità stabiliscono una condizione di verità per le frasi molecolari, così per ogni data frase i in S le regole di verità determinano una condizione di verità, quantunque esse non determinino il valore di verità di i.»
(Metodologia delle scienze sociali, pp. 95, 96-97)
4. Descrizioni di stato e ambiti di significatività
«Una descrizione di stato per un sistema S deve determinare per ogni individuo [29] designato in S e per ogni proprietà designata mediante un predicato primitivo in S, se questo individuo ha o no questa proprietà; analogamente per le relazioni [30]. In altre parole, una classe di frasi in S che contenga per ogni frase atomica questa frase o la sua negazione, ma non entrambe, né altre frasi, è chiamata una descrizione di stato in S, in quanto contiene una descrizione completa di uno stato possibile dell’universo degli individui con riferimento a tutte le proprietà [31] e relazioni espresse mediante i predicati del sistema. In tal modo possono essere formulate regole semantiche che determinano per ogni frase in S se la stessa vale o no in una data descrizione di stato. […]
Perché le descrizioni di stato descrivano stati possibili è necessario che la interpretazione delle costanti individuali e dei predicati primitivi soddisfi al requisito di indipendenza logica. Ove un sistema contenga anche strutture logico-induttive (probabilistiche) esso deve inoltre soddisfare al requisito della completezza, nel senso che deve poter esprimere tutti gli attributi qualitativi che compaiono nell’universo dato [33]. Le regole degli ambiti di significatività forniscono, assieme alle regole di designazione per i predicati e le costanti individuali, una interpretazione per tutte le frasi del sistema, in quanto conoscere il significato di una frase significa conoscere in quali possibili casi essa è valida e in quali non lo è [34].»
(Metodologia delle scienze sociali, pp. 98-99)
5. Intensione e estensione dei termini linguistici
«I concetti di “intensione” e di “estensione” costituiscono la esplicazione di due prospettive semantiche fondamentali; la prima consistente nella determinazione del significato delle espressioni, cioè nella individuazione dei fattori fondamentali che caratterizzano univocamente il senso dei termini linguistici; la seconda nella determinazione dell’ambito semantico di validità delle espressioni, cioè nella individuazione delle condizioni di applicabilità dei termini linguistici in relazione ai possibili casi descritti entro un dato linguaggio.
Tanto la determinazione del significato delle espressioni, quanto la individuazione dell’ambito semantico di validità delle stesse, si traducono in una serie di regole semantiche, e quindi appartengono alla considerazione delle strutture linguistiche che potrebbe dirsi interna, in contrapposizione alla considerazione delle stesse sotto il profilo esterno, in termini comportamentistici. In tal modo i predicati, le frasi, le espressioni individuali, potranno essere caratterizzati, utilizzando regole puramente semantiche e quindi il punto di vista metodologico interno al linguaggio, non solo sotto il profilo della intensione, come proprietà [50], proposizioni [51] e concetti individuali [52]; ma anche, rispettivamente, come classi di tutte le entità [53] alle quali, entro un sistema linguistico, può applicarsi un dato predicato, come valori di verità o falsità (condizioni necessarie e sufficienti per la verità delle frasi in un sistema linguistico) [54], come individui, determinati dalle regole di designazione, ai quali le espressioni individuali si riferiscono.
La determinazione della intensione e della estensione dei termini non richiede pertanto riferimenti o investigazioni relativi a situazioni empiriche [55]; intensione ed estensione debbono essere formulate utilizzando le sole regole semantiche del linguaggio e appartengono in senso proprio al metalinguaggio (nella sua formulazione consueta o in quella neutrale) [56].»
(Metodologia delle scienze sociali, pp. 49-50)
6. Semantica dei sistemi formali
«Poiché nei linguaggi logici formali (semantica logica) i segni caratterizzati dalle regole di designazione vengono usati ad indicare qualsiasi possibile proprietà o relazione o qualsiasi concetto individuale, le regole di designazione non determinano, in tal caso, una particolare interpretazione per i predicati e le espressioni individuali, in quanto la scelta di tale interpretazione è irrilevante ai fini della logica deduttiva e induttiva (considerate sotto il profilo semantico). Un sistema del genere – per Carnap – non sarebbe a rigore un sistema semantico, ma piuttosto lo scheletro, o meglio la struttura del sistema [65]. Naturalmente, in vista di una concreta applicazione, esso dovrebbe essere completato scegliendo un numero finito di predicati, specificando i loro gradi e dando una interpretazione di questi predicati mediante regole (semantiche) di designazione; operazione quest’ultima che dovrebbe essere ripetuta per le espressioni individuali [66]. Tali interpretazioni dovrebbero soddisfare il requisito della indipendenza logica [67]. Per Carnap, insomma, non sarebbe necessario stabilire regole di designazione in ordine ai sistemi semantici di logica deduttiva e induttiva.
Sembra però più esatto affermare che tali regole di designazione debbano essere stabilite anche nei sistemi semantici formali [68] e quindi in tutti i sistemi di logica deduttiva e induttiva comunemente usati dai logici quali linguaggi-oggetto [69][…]. Non può dirsi, pertanto, che i segni dei linguaggi formali non richiedano alcuna regola di designazione; il fatto stesso che siano considerati segni e adoperati come tali, postula che rilevino necessariamente entro un processo semantico […].»
(Metodologia delle scienze sociali, pp. 51-52)
7. Strutture linguistiche
«Il concetto di “struttura” deve essere esplicato anzitutto in funzione dei predicati (proprietà e relazioni) e delle costanti individuali. Il riferimento ai predicati e alle costanti individuali deriva dal fatto che il termine “struttura”, inteso come explicandum, è utilizzato per indicare le proprietà fondamentali, cioè gli elementi primari o componenti essenziali di un dato contesto linguistico. […]
La esplicazione della “struttura” mediante i concetti di “predicato” e di “costante individuale”, intesi come elementi basilari, non esaurisce l’ambito di significatività della struttura. Quest’ultima può essere vista anche con riferimento ai rapporti che possono collegare gli elementi basilari. Le interconnessioni tra questi ultimi caratterizzano la struttura come sistema.
Le interconnessioni tra gli elementi basilari della struttura debbono essere ulteriormente specificate, poiché non tutte le interconnessioni tra gli elementi basilari individuano la struttura del sistema. Quest’ultima deve essere caratterizzata con riferimento all’ambito di significatività dei predicati del sistema, il quale determina il livello di astrazione degli stessi. Solo i postulati fondamentali di un sistema aventi il massimo livello di astrazione caratterizzano il sistema sotto un profilo strutturale. La struttura pertanto risulta in ultima analisi esplicata in funzione dei predicati del sistema aventi il massimo livello di astrazione (predicati primitivi).
Il concetto di “struttura” così definito è direttamente caratterizzato, sotto una prospettiva semantica, dalle regole di formazione, designazione e verità del sistema cui la struttura si riferisce.»
(Metodologia delle scienze sociali, p. 103)
8. Rapporti tra strutture linguistiche
«I postulati fondamentali condizionano i rapporti tra le varie strutture, per cui un ampliamento o un restringimento degli stessi si riflette direttamente sull’ambito di significatività delle strutture e determina un ampliamento o un restringimento del sistema cui esse appartengono.
Poiché la introduzione e la costruzione di nuove strutture linguistiche si ottengono mediante la determinazione di un predicato di più alto livello che qualifica le espressioni individuali appartenenti alle nuove strutture (costanti e variabili di nuovo tipo di cui le costanti sono valori), risulta evidente come il restringimento o l’ampliamento dell’ambito delle strutture si identifichi con il restringimento o l’ampliamento dell’ambito di significatività dei predicati fondamentali del sistema e delle costanti individuali primitive qualificate dai predicati (costituenti valori delle variabili di nuovo tipo introdotte).»
«Poiché i rapporti tra le diverse strutture possono configurarsi con riferimento all’allargamento o al restringimento dell’ambito di significatività del sistema, in dipendenza dell’introduzione di predicati aventi un ambito di significatività più vasto o più ristretto di quello dei postulati fondamentali preesistenti, è chiaro come sia possibile una comparazione tra gli ambiti di significatività dei predicati (e in conseguenza delle costanti o variabili individuali connesse agli stessi), i quali risultano in tal modo caratterizzati da differenti livelli di astrazione.
Il concetto di “struttura” di un dato sistema deve quindi essere esplicato con riferimento all’ambito di significatività dei predicati appartenenti al sistema. E’ necessaria però un’ulteriore caratterizzazione: infatti, poiché entro un sistema esistono predicati aventi differenti ambiti di significatività, è chiaro come la struttura del sistema non possa essere caratterizzata da tutti i predicati del medesimo, ma solo dai predicati primitivi che posseggono il massimo ambito di significatività, cioè il massimo livello di astrazione entro il sistema.»
(Metodologia delle scienze sociali, pp. 92-93)
9. Astrazione e omogeneità semantica
«La “astrazione” è un concetto metodologico relativo alla introduzione di predicati di vario livello entro preesistenti linguaggi, che possono anche essere linguaggi concretamente individualizzati, cioè contenenti predicati descrittivi relativi a oggetti estesi nello spazio e nel tempo [7]; essa riflette la distinzione tra fenomeno individualizzato in tutti i suoi molteplici aspetti nell’ambito della complessa esperienza in cui è ricompreso e fenomeno considerato in funzione di uno o più aspetti determinati che vengono trascelti e isolati dal contesto della esperienza totale.»
«Tanto il livello di astrazione quanto la identità nel livello di astrazione sono elementi che debbono necessariamente essere stabiliti – in modo convenzionale – mediante le regole di designazione del sistema linguistico cui ci si riferisce, le quali interpretano le costanti individuali e i predicati primitivi del sistema stesso; è appunto questa interpretazione che caratterizza il livello di astrazione nel momento stesso in cui si pongono i significati dei termini [10] e a essa è connessa quella che potrebbe dirsi la omogeneità semantica del sistema, la quale caratterizza la identità nel livello di astrazione.[11]
La distinzione tra linguaggio astratto e linguaggio concreto, nonché l’altra corrispondente tra linguaggio osservativo e linguaggio teorico, non possono quindi essere poste in modo così radicale; potendosi solo parlare di differenti livelli linguistici connessi a differenti livelli di astrazione delle costanti individuali e dei predicati interpretati nel sistema. D’altra parte, qualsiasi livello linguistico può essere caratterizzato come livello teorico rispetto ai livelli inferiori di astrazione ai quali risulti connesso, e in questo senso, considerato nel suo insieme, costituisce una interpretazione teorica caratterizzabile in termini puramente semantici o in termini sintattici (assiomatica); in quest’ultimo caso la formalizzazione del sistema viene resa esplicita nel modo più completo.»
(Strutture teoriche e scienze sociali, pp. 47; 48-49)
10. Condizioni di verità e valori di verità
«Il problema della verificabilità empirica o osservativa delle strutture si risolve nel problema della distinzione tra linguaggio con predicati osservativi e linguaggio con predicati non osservativi (teorico o astratto). Questa distinzione si riferisce a una caratterizzazione delle strutture linguistiche diversa da quella relativa ai livelli di astrazione. Il problema della astrazione, infatti, è un problema interno al linguaggio, mentre quello della osservatività, al quale è connesso l’altro della verificabilità empirica delle strutture, è un problema esterno al linguaggio che si risolve in una analisi relativa alla individuazione del denotatum delle espressioni linguistiche.
In altre parole, mentre il livello di astrazione delle strutture linguistiche può essere caratterizzato mediante le sole regole semantiche, il problema relativo alla osservatività e alla verificabilità delle strutture linguistiche postula il ricorso ad elementi extra-linguistici. Nel primo caso il problema può essere formalizzato in termini di condizioni di verità, mentre nel secondo si ha riguardo alla esistenza o meno di valori di verità.»
(Metodologia delle scienze sociali, pp. 83-84)
11. Sistema teorico
«Una teoria ci si presenta come un linguaggio espresso in termini formali ed astratti, cioè come un insieme di termini connessi in sistema (struttura), aventi un campo convenzionale di significatività tanto vasto da poter essere concordabile con qualsiasi descrizione di stato contenuta in un universo linguistico predeterminato. In altre parole, i termini teorici potranno dirsi tali in relazione a un universo pre-determinato, se saranno validi in tutte le descrizioni di stato appartenenti a quest’ultimo.[20]
Questo concetto viene reso ancora più esplicito nei casi in cui il linguaggio teorico venga esplicato in termini assiomatici.»
(Strutture teoriche e scienze sociali, p. 58)
12. Sistema assiomatico
«Qualsiasi sistema assiomatico, che non sia formale o semiformale, presenta due aspetti fondamentali: il primo, logico, dato dall’insieme dei rapporti deduttivi considerati nella loro struttura sintattica (sintassi descrittiva); il secondo, sostanziale, dato dai contenuti o significati costituenti la interpretazione semantica dei rapporti formali (semantica descrittiva)[6].
I postulati (o assiomi) e i teoremi del sistema deduttivo rientrano in questo secondo aspetto e ne costituiscono la interpretazione semantica. Essi posseggono un grado di astrazione molto accentuato, nel senso che rappresentano l’elemento caratterizzante la struttura teorica del sistema medesimo […].»
(Strutture teoriche e scienze sociali, pp. 45)
«Due sono i tratti essenziali che caratterizzano le strutture linguistiche:
(a) ciascun segno ha significazione costante e comune a una data famiglia di interpreti, potendo essere prodotto da questi ultimi (comunsegno) anche in condizioni diverse da quelle in cui è stato introdotto originariamente (plurisituazionalità) [45];
(b) tra i segni debbono esistere relazioni stabili e sistematiche di combinazione, determinate in rapporto alle varie strutture linguistiche.
Dal punto (a) consegue necessariamente la convenzionalità dei processi segnici complessi cioè delle strutture linguistiche o sistemi semantici. Il principio di convenzionalità [46], il quale stabilisce che la costruzione di un linguaggio e la scelta dei suoi tratti caratteristici sono materia di convenzione, è stato anzitutto applicato ai sistemi assiomatici. Ma poiché un qualsiasi sistema assiomatico formalizzato, per non essere privo di significato deve potersi fondare direttamente su un corrispondente sistema semantico dal quale possa ricavarsi una adeguata interpretazione logica dei termini, in particolare delle regole di formazione, designazione e trasformazione [47], ne consegue che la convenzionalità di un calcolo o sistema assiomatico è strettamente connessa al sistema semantico che ne interpreta le regole formali.
Il principio di convenzionalità si applica quindi propriamente ai sistemi semantici in ordine alle regole di formazione e deduzione e ai sistemi sintattici (assiomatizzati) in relazione ai termini assiomatici primitivi. Se i sistemi sintattici posseggono termini privi di interpretazione e termini logici dotati della normale interpretazione, si dicono semi-formali o semi-interpretati [48].»
[45] C. Morris, Segni, linguaggio e comportamento, pp. 62-66;
[46] R. Carnap, Introduction to semantics, p. 247;
[47] R. Carnap, Introduction to semantics, p. 155 sgg., Formalization of logic, p. 69 sgg.;
[48] R. Carnap, Logical foundations of probability, pp. 15-16.
(Metodologia delle scienze sociali, p. 48)
«In generale può dirsi che è opportuno distinguere: (a) i suoni, le grafie e i movimenti, dai (b) simboli (segni linguistici o simboli verbali), i quali sono modelli adeguati di grafie o suoni adoperati ai fini della espressione e comunicazione. Questi ultimi, poi, vanno distinti dai (c) segni in senso proprio o espressioni linguistiche, qualificati dalla associazione di un simbolo (o segno linguistico) con un significati fisso e determinato [15]. […]
Possiamo, pertanto, isolare i seguenti termini o figure semantiche, seguendo lo schema di Lewis [16]:
1) Termini del linguaggio-oggetto.
2) Espressioni linguistiche, appartenenti alla frazione non strettamente semantica del metalinguaggio.
La natura di questa frazione non semantica del metalinguaggio è chiarita da Carnap [17] il quale parla di traduzione (versione) delle espressioni del linguaggio-oggetto entro il metalinguaggio [18], nel senso che tali espressioni hanno un denotatum extra-linguistico e non semantico, poiché sono segni che non denotano altri segni (come avviene nel metalinguaggio per i nomi dei segni del linguaggio-oggetto) bensì elementi extralinguistici, pur appartenendo in senso lato al metalinguaggio che, per definizione, e un discorso sopra altri segni. Questi termini, peraltro, pur usati entro il metalinguaggio e appartenenti a quest’ultimo, non sono essi stessi relativi a un ulteriore linguaggio-oggetto; essi appartengono alla parte non semantica del metalinguaggio, cioè a quella parte del medesimo entro la quale possono essere tradotti gli enunciati e, in genere, i termini del linguaggio-oggetto. […]
3) Simboli linguistici, appartenenti anch’essi alla parte non semantica del metalinguaggio e utilizzati nelle regole (convenzionali) di designazione relative al linguaggio oggetto.
Occorre pertanto distinguere tra veicolo segnico, considerato sotto il mero profilo delle caratteristiche fisiche che lo contraddistinguono, simbolo come elemento o oggetto fisicamente individualizzato e usato ai fini della espressione e comunicazione, ed infine segno, come simbolo qualificato da un interpretante e da un denotatum e che quindi possiede un determinato campo di significatività nei confronti di determinati interpreti o entro un particolare sistema linguistico [21].[…]
4) Nomi dei simboli linguistici del linguaggio-oggetto entro il metalinguaggio a quello riferentesi.
5) Nome dell’espressione linguistica (segno) nel metalinguaggio.
La intensione di tale nome è data dalla espressione linguistica cui esso si riferisce considerata nella sua totalità, come simbolo qualificato da interpretante (e denotatum) che ne determina il campo di significatività (linguistico, su basi extra-linguistiche), cioè l’intensione (e l’estensione). È data, insomma, dall’insieme di condizioni per cui l’oggetto che le soddisfa è un denotatum di quel nome, cioè nel caso in esame, un segno. La estensione, invece, è data dal segno esistente entro il linguaggio-oggetto. Estensione e intensione hanno entrambe un corrispondente extra-linguistico (denotatum e interpretante), ma anche un corrispondente metalinguistico, costituito dai termini del metalinguaggio che, entro quest’ultimo, si riferiscono ad esse [23].
Le regole (convenzionali) di designazione entro un dato linguaggio, caratterizzano l’associazione di un simbolo (non del nome di un simbolo) con un significato determinato [24]. […] Mentre il simbolo appartiene esclusivamente al linguaggio-oggetto, il nome del simbolo appartiene al metalinguaggio che ha ad oggetto termini e simboli del linguaggio cui si riferisce [27].»
[15] C.I. Lewis, An analysis of knowledge and valuation, p. 73 sgg.;
[16] C.I. Lewis, An analysis of knowledge and valuation, p. 100 sgg.;
[17] R. Carnap, Meaning and necessity, pp. 24, 25, 94, 155; Introduction to semantics, p. 88 sgg.;
[18] R. Carnap, Introduction to semantics, p. 53; Meaning and necessity, pp. 66, 161. Sul denotatum extra-linguistico delle espressioni linguistiche appartenenti alla frazione non strattamente semantica del metalinguaggio, cfr. Carnap, Meaning and necessity, pp. 93, 107.
[21] C.I. Lewis (An analysis of knowledge and valuation, pp. 73, 74, 101) distingue chiaramente tra grafia e suono (veicolo segnico), simbolo (segno linguistico o simbolo verbale), parola o espressione, postulando una ulteriore distinzione tra espressione e significato espresso e definendo la parola come l’espressione elementare di un significato per mezzo di un simbolo (p. 73).
[23] I concetti sopra precisati possono tra loro combinarsi nei seguenti modi:
1) Simbolo-Simbolo: “A” abbreviazione per “BC”.
2) Simbolo-Espressione: “A” simbolizza lo stesso significato di ‘BC’ (in tal caso “A” denota A; ‘BC’ denota la intensione di A. Non si ha qui una equivalenza ma il fondamentale rapporto semantico).
3) Espressione-Espressione: ‘A’ ha lo stesso significato di ‘BC’.
Su queste tre combinazioni possono ottenersi altre combinazioni, una delle quali è quella che rileva in ordine al concetto semantico di verità; occorre però tener presente che la traduzione di una espressione nel metalinguaggio si riferisce sempre alla intensione della medesima (Lewis, An analysis of knowledge and valuation, pp. 98-99, 100-101; Carnap, Meaning and necessity, pp. 111-112).
[24] Anche se ovviamente debbono essere espresse utilizzando il nome del simbolo. È necessario, quindi, distinguere tra regole convenzionali di designazione e rapporto di designazione che qualifica la relazione tra segno e significatum, nel senso che ciascun segno significa il proprio significatum.
Le regole degli ambiti di significatività (R. Carnap, Logical foundations of probability, pp. 70 sgg., 78-80) che determinano la estensione dei termini entro un dato linguaggio, presuppongono necessariamente le regole di designazione e quindi la qualificazione intensionale dei segni (sulla intensione come qualificazione primaria del segno, cfr. R. Carnap, Meaning and necessity, pp. 108, 112, 157, 203), ma non hanno ad oggetto i simboli linguistici bensì i segni o espressioni in senso stretto, cioè i simboli già qualificati sotto il profilo della intensione.
[27] I nomi dei termini del linguaggio-oggetto possono essere espressi nel metalinguaggio in due modi diversi: o attraverso una appropriata notazione consistente nell’uso di una duplice serie di virgolette (C.I. Lewis, An analysis of knowledge and valuation, p. 100) utilizzando il medesimo simbolo del linguaggio oggetto (C.I. Lewis, id., p. 104); o mediante la utilizzazione di nuovi termini (espressioni linguistiche) del metalinguaggio aventi come denotata i termini del linguaggio-oggetto. In entrambi i casi è necessario stabilire appropriate regole che, nel secondo caso, saranno vere e proprie regole di designazione. Quest’ultimo è il metodo di Carnap (Introduction to semantics, pp. 19-21, 32-33, 50 sgg.; Logical foundations of probability, p. 55 sgg.).
La distinzione tra termini del linguaggio-oggetto […] e nomi dei termini del linguaggio-oggetto è importante perché consente, a parte la definizione del concetto di “verità” e degli altri concetti semantici, di distinguere, entro il metalinguaggio, tra frazione puramente semantica e frazione non semantica (Carnap, Meaning and necessity, pp. 24, 66, 94, 155, 161); quest’ultima, che si suole indicare come traduzione dei termini del linguaggi-oggetto in termini metalinguistici […] esprime la intensione dei termini del linguaggio-oggetto. Infatti, se tali termini metalinguistici non esprimessero una intensione, ma una traduzione di una frase del linguaggio-oggetto, dovrebbe necessariamente aversi entro il metalinguaggio una frase con la identica intensione ed estensione di quella tradotta. Ma allora la traduzione non potrebbe appartenere al metalinguaggio come tale, né alla parte non semantica dello stesso, ma dovrebbe necessariamente far parte di un altro linguaggio-oggetto e le due espressioni sarebbero sinonime, possedendo entrambe eguale intensione ed estensione (C.I. Lewis, An analysis of knowledge and valuation, p. 101 […]).»
(Metodologia delle scienze sociali, pp. 41-43, 59-61)
«Carnap esplica i due concetti di “intensione” ed “estensione” dei termini linguistici ed afferma che l’intensione è da considerarsi come il fattore semantico primario in quanto, se data, determina univocamente anche la corrispondente estensione [39] […].
Ciò posto, è chiaro come entro un dato metalinguaggio possa parlarsi distintamente delle intensioni e delle estensioni dei termini del linguaggio-oggetto corrispondente (ad esempio, di classi e di proprietà in relazione ai predicati). Il metodo della intensione ed estensione si pone in alternativa a quello tradizionale della name-relation, per il quale l’espressione deve essere il nome di uno solo dei fattori semantici: quest’ultimo porta infatti a una non necessaria duplicazione delle espressioni nel linguaggio-oggetto e, in certi casi, a una palese antinomia [41].
Le formulazioni in termini di intensione ed estensione nel metalinguaggio non comportano alcuna duplicazione di entità, trattandosi solo di una distinzione semantica tra due modi di espressione, connessa alle due prospettive semantiche secondo cui il segno, entro il linguaggio al quale appartiene, può essere riguardato (duplicazione di espressioni). Ma se il metodo della estensione ed intensione elimina la distinzione tra due tipi di entità trasformandola in una distinzione tra due modi di espressione, esso non elimina, nel metalinguaggio, l’uso di due espressioni, una per l’intensione e l’altra per l’estensione. È però possibile costruire un metalinguaggio neutrale che contenga solo un tipo di espressione e entro il quale venga, in tal modo, eliminata anche l’apparente duplicazione di entità. […]
Il fatto che sia possibile costruire un tale metalinguaggio contenente definizioni contestuali relative a termini non neutrali (intensioni ed estensioni), cioè sia possibile reintrodurvi questi ultimi mediante definizioni contestuali, mostra che il metodo neutrale utilizzato riesce egualmente a dar conto di quelle distinzioni semantiche, rendendo evidente come le stesse non presuppongano una duplicazione di entità, ma solo una duplice prospettiva utilizzabile nella considerazione del segno linguistico. Poiché il metalinguaggio neutrale e quello non neutrale hanno un identico ambito di significatività, la scelta fra i due è puro motivo di preferenza pratica: la formulazione neutrale è più semplice ed è utile ai fini di una esatta chiarificazione dei linguaggi simbolici [44].»
[39] R. Carnap, Meaning and necessity, p. 108;
[41] R. Carnap, Meaning and necessity, pp. 96 sgg., 133-135, 203;
[44] R. Carnap, Meaning and necessity, pp. 157 sgg., 168.
(Metodologia delle scienze sociali, pp. 46-47)
Nel linguaggio scientifico la molteplicità delle strutture sintattiche tende (o dovrebbe tendere) a essere ricondotta alla sintassi matematica e, in termini più generali, a quella specifica sintassi matematica caratterizzata dalla funzione (una corrispondenza particolare nella quale a ogni elemento del dominio della funzione viene associato uno e un solo elemento del suo codominio), strettamente comparabile con l’esperimento controllato. L’interpretazione semantica varia al variare del tipo di esperimenti che caratterizzano ogni specifico ramo della scienza. Non saremmo altrimenti in grado di distinguere tra le varie branche della scienza.
La corrispondenza tra sintassi (matematica) e esperimento controllato può implicare differenziazioni sintattiche e semantiche più o meno specifiche, a seconda delle scienze alle quali ci possiamo riferire. Le distinzioni, a questo proposito, sono molteplici: infatti, una cosa è operare all’interno della fisica, altra cosa è operare con riferimento alla fisica da un lato e alla biologia dall’altro lato, o tra la fisica e la scienza del comportamento. Con riferimento a questo tipo di considerazioni, molti aspetti metodologici della biologia rispetto alla fisica restano ancora da chiarire; lo stesso può dirsi rispetto alle relazioni tra scienze del comportamento e scienze neurobiologiche. Il punto centrale è dato dal fatto che gli approfondimenti metodologici hanno avuto a oggetto primariamente i fenomeni fisici e solo secondariamente i fenomeni biologici.
1. Sintassi e semantica del linguaggio scientifico
«Ogni scienza è una costruzione linguistica, in prevalenza quantitativa: (1) la cui sintassi logica è caratterizzata, nel senso più astratto, da quello specifico subinsieme del prodotto cartesiano (AxB) in cui a ciascun primo elemento di tutte le coppie ordinate corrisponde uno e un solo secondo elemento (funzione); (2) la cui interpretazione semantica è suscettibile di differenti livelli di astrazione, che corrispondono all’ordine derivante dalla relazione (transitiva) di inclusione fra subinsiemi definiti da specifiche proprietà (predicati bi-argomentali).» EN
(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 317, 350)
2. Funzione matematica e esperimento controllato
Il linguaggio scientifico «è caratterizzato sul piano sintattico dalle funzioni matematiche e dalla stretta corrispondenza fra queste funzioni e gli esperimenti controllati , che ne danno una specifica interpretazione semantica.»
Galileo per primo utilizza questa nuova prospettiva fondata su “le sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni”.
«Con Galileo la conoscenza scientifica si libera dal concetto aristotelico di “essenza”, privo di potere esplicativo, e lo sostituisce col concetto matematico di funzione. In questo modo Galileo realizza una rivoluzione metodologica che rivela un mondo di eventi naturali considerati non singolarmente, ma come coppie ordinate che soddisfano le note proprietà delle funzioni.»
«La funzione è la struttura sintattica basilare del linguaggio scientifico sperimentale e l’esperimento è la interpretazione semantica della funzione. Ovviamente la funzione può essere interpretata anche in modo statistico. L’esperimento controllato è il sistema chiuso o isolato attraverso il quale viene definito semanticamente (con le regole di designazione) l’ambito di significatività delle coppie ordinate in una relazione funzionale; o, in sintesi, il sistema chiuso o isolato attraverso il quale assegnare una interpretazione semantica non ambigua a una funzione.» EN
(On “social sciences” and science, pp. 470-471, 468)
3. Delimitazione del campo di conoscenza
«La “funzione” denota il sistema che delimita il campo di conoscenza (esperimento controllato) e/o il campo operativo (tecnologia), mentre i parametri denotano tutti i fattori esterni al sistema. Questo non significa che non esistano relazioni (funzioni) fra il sistema e l’esterno. Significa solo che queste relazioni non vengono prese inconsiderazione; cioè, si assume che non siano influenti con riferimento al sistema dato. Se vengono prese in considerazione, le relazioni fra sistema ed esterno (sistema esterno) estendono i confini del sistema e definiscono nuove partizioni entro il sistema (cioè, funzioni con un livello di astrazione più basso rispetto alle funzioni basilari).» EN
(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 318)
4. Prospettiva intensionale e prospettiva estensionale
«La sintassi e la semantica di uno specifico (e formalizzato) linguaggio scientifico esprimono un paradigma di riferimento che identifica l’ambito di significatività di questo linguaggio, cioè le proprietà (relazioni/funzioni) che caratterizzano ciascun insieme (ovvero, ciascun elemento di ogni insieme) appartenente al linguaggio dato. In questo senso, ciascuna proprietà designa un subinsieme di questo linguaggio, cioè il subinsieme di elementi che hanno questa proprietà. Quindi la prospettiva intensionale concernente le proprietà (che esprimono i campi operativi ai quali la scienza si riferisce) e la prospettiva estensionale concernente le quantità (nelle quali le proprietà si specificano in base all’esperimento controllato) sono i due aspetti basilari del linguaggio della scienza.» EN
(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 318-319)
5. Omogeneità semantica e regole di designazione
«Tutti i subinsiemi di variabili del linguaggio della scienza devono appartenere a un sovrainsieme definito.
Inoltre, la omogeneità semantica delle variabili appartenenti a un linguaggio scientifico dato implica che il significato di tutti i predicati (proprietà) che definiscono gli insiemi di funzioni (ordinati dalla relazione di inclusione fra insiemi) possono essere (in linea di principio) riportati all’analisi sperimentale. Perciò, predicati e funzioni corrispondono a situazioni sperimentali (extra-linguistiche) alle quali sono strettamente connessi attraverso le regole semantiche di designazione, formulate entro uno specifico metalinguaggio. Nel linguaggio della scienza, le regole di designazione sono rese non ambigue dai sistemi di misurazione. Quando non è possibile realizzare in modo diretto un esperimento (per difficoltà tecniche concernenti il numero o il tipo di variabili), la corrispondenza tra predicati semantici e situazioni sperimentali è sostituita dall’analisi statistica, che può operare anche nel contesto strettamente sperimentale.
Quindi, la omogeneità semantica è dovuta primariamente alla stretta corrispondenza tra gli insiemi di funzioni del linguaggio della scienza e gli insiemi di variabili sperimentali ad ogni dato livello di astrazione, definito dalla relazione inclusione di insiemi, e questa stretta corrispondenza è garantita dal fatto che sia gli elementi appartenenti al dominio, sia gli elementi appartenenti al codominio delle funzioni sono definiti attraverso regole di designazione fondate su operazioni sperimentali o misurazioni dello stesso tipo. In tal modo le regole di designazione delimitano l’ambito di significatività della scienza (e delle specifiche scienze). Questo implica che ogni nuova ipotesi di partizione avanzata entro il linguaggio della scienza deve essere riportata a specifiche variabili sperimentali. In ogni caso, possono essere proposte ipotesi di funzioni, ma queste non divengono parte del linguaggio della scienza fino a quando esse non corrispondono (attraverso le regole di designazione) a variabili sperimentali (o statistiche). EN
(On “social sciences” and science, pp. 473-474)
6. Classi di equivalenza
Una basilare caratterizzazione del linguaggio della scienza è data dalla «relazione di equivalenza che stabilisce l’importante concetto logico di classi di equivalenza con riferimento a una specifica partizione di un dato insieme.
La partizione di S dà luogo a una relazione di equivalenza in S del tipo “appartiene allo stesso subinsieme di” (in termini estensionali) o “ha la stessa proprietà di” (in termini intensionali concernenti la proprietà che definisce il subinsieme). La relazione di equivalenza si pone fra tutte le coppie di elementi nello stesso subinsieme, quindi ogni subinsieme della partizione è una classe di equivalenza.»
Sulle partizioni si fonda il linguaggio tassonomico della scienza. EN
(On “social sciences” and science, p. 473)
7. Livelli di astrazione
«Un requisito del linguaggio della scienza è che tutti i predicati (proprietà/relazioni) siano ordinati mediante la relazione di inclusione tra insiemi.
La relazione di inclusione, fondamentale per l’assiomatizzazione del linguaggio scientifico, determina i livelli di astrazione delle proposizioni appartenenti a questo linguaggio.» EN
(On “social sciences” and science, p. 473)
«L’ordine dei livelli di astrazione, espresso dalla relazione di inclusione, che va dall’insieme più astratto di funzioni agli insiemi meno astratti, è un ordine parziale, in quanto i (sub)insiemi dello stesso livello non sono comparabili con riferimento alla relazione di inclusione.
Ciascun livello di astrazione è definito da uno o più subinsiemi propri di funzioni, cioè da una o più partizioni di coppie disgiunte di subinsiemi di funzioni corrispondenti alle classi di equivalenza alle quali appartengono funzioni dello stesso tipo (cioè equivalenti con riferimento alla loro interpretazione semantica e sperimentale).» EN
(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 317-318; 350)
8. Teoria e tecnologia
«I livelli di astrazione possono essere resi più o meno espliciti a seconda dello stato di avanzamento della ricerca. Essi variano in un ordine che va dai livelli di astrazione più elevati (che sono attribuiti agli insiemi definiti dalle relazioni basilari di un dato linguaggio scientifico) ai livelli inferiori (che sono attribuiti agli insiemi definiti da un numero progressivamente più ampio di predicati mono o biargomentali).
Le funzioni che appartengono ai livelli di astrazione più elevati esprimono interpretazioni semantiche di tipo teorico, mentre le funzioni appartenenti agli insiemi caratterizzati dai livelli di astrazione inferiori specificano i predicati teorici, cioè li arricchiscono di interpretazioni semantiche più analitiche che significano e denotano situazioni (ambienti) dove la molteplicità dei predicati tende verso la individualizzazione.
Il caso della tecnologia evidenzia questo aspetto. I predicati tecnologici definiscono insiemi che esprimono non solo invarianti teoriche (funzioni basilari), ma anche un più ampio numero di (specifiche) funzioni. Queste ultime, che definiscono l’ambiente concreto in cui le funzioni basilari possono operare, specificano l’ambito di significatività delle funzioni basilari (più astratte). In questo senso, l’ambiente tecnologico è più ricco (in interpretazioni semantiche) rispetto all’ambiente in cui si collocano le funzioni basilari più astratte.» EN
(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 317)
9. Intersoggettività del linguaggio scientifico
«Il discorso scientifico ha un senso in quanto può essere costruito come discorso intersoggettivo, cioè come discorso la cui significatività non possa in linea di principio essere contestata, poiché fondata su predicati sperimentali caratterizzati dal predicato metodologico della ripetibilità e tra loro connessi mediante la relazione funzionale […].
L’intersoggettività costituisce pertanto l’unico criterio che può essere utilizzato ai fini dell’ampliamento del discorso scientifico (che su questo punto differisce dal discorso in senso lato ideologico o valutativo, per definizione soggettivo); ampliamento che può essere realizzato: (1) mediante l’introduzione di nuovi predicati sperimentali; (2) mediante l’introduzione di predicati limitativi che, sotto un profilo metodologico allargano l’ambito di significatività di una data struttura, e sotto un profilo sintattico costituiscono una specificazione dei predicati più generali che qualificano la struttura (e in questo senso possono essere detti predicati limitativi); (3) mediante l’introduzione di predicati di livello più astratto rispetto a un insieme di predicati che caratterizzano una struttura preesistente, in modo tale che la nuova struttura sia in grado di esplicare anche i fenomeni esplicati nella struttura meno astratta (che mantiene la propria validità limitatamente ai postulati che la qualificano) come una specificazione dei predicati più generali della nuova struttura (più astratta); (4) mediante l’introduzione di nuovi predicati con l’uso di definizioni nominali.»
(L’analisi scientifica del comportamento di scelta, II, pp. 11-12)
10. Assiomatizzazione e cumulatività della scienza
«La conoscenza scientifica è per definizione cumulativa. Ciò significa che le esplicazioni scientifiche che si succedono, se sono scientifiche, non possono essere contraddette entro il linguaggio della scienza, in quanto esse sono garantite dalla stretta compatibilità con le regole (vincoli) che caratterizzano questo linguaggio. Il linguaggio esplicativo della scienza, essendo in linea di principio suscettibile di assiomatizzazione [3], viene continuamente approfondito e ampliato in modo tale per cui la nuova conoscenza scientifica è strettamente consistente con i risultati acquisiti in precedenza e ogni esplicazione scientifica può essere considerata come un subinsieme proprio di una esplicazione più astratta.
Il “progresso” della scienza sta proprio in questo processo di continua riformulazione del suo linguaggio […], che non altera i predicati fondamentali che definiscono gli insiemi entro il linguaggio della scienza. La riformulazione di esplicazioni e teorie, per renderle consistenti con quelle nuove (più astratte o più specifiche) che emergono dal continuo approfondimento e ampliamento dell’ambito di significatività del linguaggio della scienza, non altera il carattere scientifico delle preesistenti esplicazioni e teorie, tipiche dei precedenti stadi del processo di conoscenza scientifica.»
[3] In termini astratti, il metodo assiomatico evidenzia tutte le relazioni (in particolare le funzioni) che si hanno tra tutti gli insiemi di un dato linguaggio (scientifico), in modo tale che le proposizioni del linguaggio possono essere dedotte logicamente come teoremi dai postulati o dalle proposizioni primitive e se l’insieme dei postulati è consistente, nessuna proposizione contradditoria può essere dedotta dall’insieme. Un insieme di postulati può essere interpretato semanticamente mediante le regole di designazioni concernenti un corrispondente insieme di risultati sperimentali, non un insieme di proposizioni sperimentali. EN
(On “social sciences” and science, pp. 468-469)
11. Dinamica strutturale e dinamica evolutiva
Il metodo scientifico impone una netta distinzione tra tempo di ripetizione e tempo evolutivo, che sono collegati rispettivamente coi concetti di “reversibilità” e “irreversibilità”.
«Il tempo di ripetizione esprime una misura di intervalli interpretati come durata. In fisica (e nell’esperienza quotidiana) è realizzato ripetendo in modo identico un insieme (ciclico) di operazioni – quali la oscillazione di un pendolo, di un bilanciere, di un cristallo di quarzo – che è un indice al quale viene collegato un valore numerico invariante (Faggiani 1957, pp. 7 sgg.). Il tempo di ripetizione generalmente è usato nel linguaggio scientifico come variabile indipendente implicita nel contesto dei processi reversibili. Il tempo evolutivo esprime un concetto differente, applicabile alla modificazione degli stati conseguenti a un processo di concentrazione o a un processo di dissipazione […]; questi casi fanno riferimento a processi irreversibili.»
«Ogni fenomeno naturale (fisico), biologico o comportamentale è caratterizzato dal tempo evolutivo, ma quest’ultimo deve essere considerato come parametro se si vuole esplicare il fenomeno in termini strettamente reversibili. È altresì evidente che i fenomeni caratterizzati dal tempo evolutivo possono essere esplicati in una prospettiva scientifica, come avviene in fisica; anche in questo caso, tuttavia, le due prospettive temporali non possono essere confuse. Occorre perciò distingue tra reversibilità e irreversibilità, così come tra dinamica strutturale e dinamica evolutiva (cumulativa).» EN
(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 320, 321)
«L’intuizione è il metodo fondamentale mediante il quale Aristotele individua e determina i “princìpi primi” ovvero le proprietà universali e necessarie dell’essere (non contraddizione, identità, terzo escluso) e inoltre gli assiomi della matematica e della geometria, che in quanto intuiti sono immediatamente evidenti.
Ma l’intuizione è presente anche nel procedimento che Aristotele utilizza per costruire le premesse vere del “sillogismo scientifico”: l’“induzione astrattiva”, mediante la quale, anche sulla base di un singolo caso particolare, si determinano le proprietà universali e necessarie degli enti sensibili che mutano, cioè se ne colgono le “forme” o “essenze” (“universali del sempre”). Ma come potrebbe l’“intelletto” realizzare un procedimento di astrazione da un singolo caso particolare a una “essenza universale” senza l’intuizione? L’“induzione astrattiva” che muovendo anche da un solo particolare giunge a un “universale del sempre” sarebbe priva di significato se prescindesse dall’intuizione.
L’altro tipo di induzione, che Aristotele definisce come il procedimento che va dai particolari all’universale e che consente di individuare una proprietà comune a una molteplicità di eventi, ha validità limitata nello spazio e nel tempo, ed è quindi privo di necessarietà e immutabilità. Dal presentarsi di un dato evento non può inferirsi che esso, sempre e con certezza, continuerà a ripetersi: non può inferirsi un “universale del sempre” (che richiede l’intuizione), ma solamente un “universale per lo più”, il quale esprime una conformità a legge che si riferisce agli eventi che presentano eccezioni, che si manifestano con frequenza.
All’intuizione come “principio della scienza” Galileo contrappone il metodo sperimentale qualificato dalla relazione funzionale, mostrando come “i princìpi” possano essere giustificati all’interno della scienza. Fondare la scienza sull’“induzione astrattiva”, cioè sull’intuizione, significa negare la scienza, perché l’intuizione, avendo il carattere della soggettività, rende non comparabili in linea di principio le posizioni dei diversi osservatori. Per Galileo, inoltre, l’evento singolo ha una rilevanza primaria, poiché l’esperimento controllato si riferisce a fenomeni specifici, rispetto ai quali la conformità a legge è presupposta.
Da ciò consegue che i concetti caratterizzati come “essenze necessarie” (“universali del sempre”), sono privi di capacità operativa: il concetto aristotelico di moto, ad esempio, non può essere operativizzato.
Per Aristotele l’intuizione, sostenuta dall’induzione, esprime le premesse universali su cui si fondano, mediante il sillogismo, le dimostrazioni della “scienza”; il sillogismo rende evidente la “causa”, intesa come ragione della attribuzione di una qualità a un evento o soggetto. Galileo afferma al contrario che per poter conoscere le cause, intese come variabili indipendenti, è necessario conoscere non gli eventi “in sé”, (come “essenze”) ma, piuttosto le relazioni funzionali tra gli eventi.
Mentre Aristotele risponde alla domanda “che cosa è l’evento”, e concepisce la scienza come conoscenza per dimostrazione fondata su «cause» intese come «essenze necessarie», Galileo risponde alla domanda “come opera l’evento (variabile dipendente)” rispetto ad altri eventi, e concepisce la scienza come conoscenza per relazione fondata su cause intese come variabili indipendenti.»
(Le scatole vuote della sociologia, pp. 50-52)
«La caratterizzazione dello schema fondamentale dell’esperimento scientifico come una relazione tra variabile indipendente (Vi), variabile dipendente (Vd) e variabile vincolata (Vv) implica che il linguaggio della scienza debba essere costruito partendo dall’individuazione di certi predicati sperimentali (variabili) e delle loro relazioni. La costruzione teorica deve poggiare su questi predicati fondamentali e nuovi predicati possono essere introdotti solo come predicati aventi livello di generalizzazione superiore a quello dei predicati sperimentali. Questo significa che i cosiddetti predicati primitivi che si assumono come aventi il massimo livello di generalizzazione entro una data struttura teorica – avente a sua volta un dato livello di astrazione – possono essere introdotti solo se esprimono attributi (proprietà e relazioni) tipici anche dei predicati sperimentali. Ciò significa inoltre che i predicati primitivi presuppongono una pluralità di predicati di diverso tipo e che su un unico tipo di predicati sperimentali non può essere fondata una teoria avente un livello di generalizzazione n+1 rispetto ai predicati sperimentali assunti di livello n. In questa ipotesi si possono solo definire in termini differenti i vari predicati sperimentali (o operativi), cioè si possono solo introdurre nuove definizioni nominali.
I predicati primitivi operano sempre caratterizzando a un massimo livello di generalizzazione tutti i predicati appartenenti a una struttura teorica, avente un dato livello di astrazione rispetto ad altre strutture teoriche che possono avere livelli di astrazione superiori o inferiori sempre nell’ambito del discorso di una medesima scienza (ad es. la meccanica newtoniana e la meccanica relativistica costituiscono strutture teoriche aventi diverso livello di astrazione nell’ambito del discorso della fisica). L’introduzione di nuovi predicati consente di ampliare il campo di significatività della struttura all’interno della struttura stessa, cioè con riferimento al medesimo livello di astrazione.
Viene meno sulla base di queste considerazioni la distinzione tra termini osservativi e termini teorici, corrispondenti a quelli che Hempel (La formazione dei concetti e delle teorie nella scienza empirica, p. 105) denomina il livello della generalizzazione empirica e il livello della formazione delle teorie.»
«La formulazione dei concetti teorici viene effettuata isolando alcuni predicati fondamentali che sono quelli che individuano le variabili che caratterizzano l’esperimento (variabile indipendente, variabile dipendente e variabile vincolata). Ciò significa che l’esperimento risulta già determinato mediante predicati teorici anche se questi posseggono il minimo livello di generalizzazione. Da questi predicati si può poi giungere a predicati di livello superiore, fino ai predicati di massimo livello entro una data struttura del sistema. Restringere la qualificazione dei predicati teorici a quelli aventi il massimo livello di generalizzazione è possibile, chiamando i predicati di livello inferiore predicati sperimentali.»
(L’analisi scientifica del comportamento di scelta, II, pp. 21; 25)
«(a) Lo schema strutturale Rƒ (x, y; p1, p2, …, pn) costituisce la relazione fondamentale del discorso scientifico. Essa esprime la relazione esistente tra due variabili quando rimane costante un terzo fattore (parametro) il quale a sua volta, mutando le condizioni sperimentali, può essere considerato o come variabile dipendente o come variabile indipendente, nel qual caso uno dei due fattori precedentemente variabili viene tenuto costante.
(b) Lo schema strutturale Rƒ (x, y; p1, p2, …, pn) può contenere o può non contenere un riferimento alla variabile tempo. Tuttavia la variabile tempo non appare nel discorso scientifico come variabile indipendente effettiva […].
La variabile tempo si presenta pertanto con uno status metodologico diverso dalle variabili che esprimono predicati tipici delle singole scienze. Inserire il tempo come variabile indipendente implicita nelle leggi scientifiche significa infatti ordinare gli stati secondo una serie aperta. A questo livello di analisi gli stati sono caratterizzati dal tempo come ordine.
(c) Quando la relazione Rƒ (x, y; p1, p2, …, pn) non contiene il tempo come variabile indipendente implicita non può essere considerata come una relazione che genera un ordine seriale in quanto si tratta di una relazione che possiede sola la proprietà dell’asimmetria ma non quella della transitività e della connessione. In questa ipotesi dalla relazione Rƒ (x, y; p1, p2, …, pn) non è ricavabile alcun ordinamento temporale di stati, anche se la relazione descrive ovviamente processi che hanno luogo nel tempo.
Nel caso in cui la relazione Rƒ (x, y; p1, p2, …, pn) contenga la variabile tempo possiamo parlare di analisi dinamica, nel caso in cui non la contenga di analisi statica.
Le analisi scientifiche formulate dal punto di vista della statica o del punto di vista della dinamica si fondano, quindi, entrambe sulla relazione fondamentale Rƒ (x, y; p1, p2, …, pn) che in un caso è vista solo come pura e semplice relazione asimmetrica esprimente una interdipendenza tra i fattori che si considerano e dalla quale non è ricavabile un ordine (temporale) degli stati; mentre nell’altro caso, poiché contiene il tempo come variabile indipendente implicita, è vista anche come relazione d’ordine dalla quale si ricava una successione (temporale) degli stati.»
(Il problema del metodo nella sociologia, pp. 25-26)
«Sulla considerazione del tempo come ordine non può fondarsi uno schema esplicativo della storia, cioè della dinamica cumulativa (o evolutiva). Quest’ultima infatti consiste in una successione di stati ordinati serialmente nella quale il tempo è considerato non come ordine ma come direzione. In questo caso gli stati del sistema sono ordinati con riferimento al mutamento nel contenuto degli stati; il mutamento è cioè caratterizzato in termini di evoluzione (processo cumulativo).
Per comprendere meglio questo punto prendiamo nuovamente in considerazione il concetto di dinamica. Ogni relazione asimmetrica, transitiva e connessa stabilisce un verso. Si può quindi porre una distinzione tra la relazione d’ordine e la sua inversa; distinzione che consente di caratterizzare da un lato l’ordine, dall’altro la controdirezionalità della serie. All’ordine seriale risulta pertanto connesso il concetto di reversibilità, inteso come possibilità di inversione dell’ordine degli stati. In questo caso, con riferimento a un insieme ordinato di stati si ha identità strutturale tra la descrizione nel verso della relazione originaria e la descrizione inversa; cioè si ha la possibilità di descrivere l’ordine seriale nel verso contrario.
Consideriamo ora una serie aperta e prospettiamoci l’ipotesi che con riferimento alla serie non sia possibile supporre un’inversione dell’ordine degli stati. In questo caso si avrebbe una diversità strutturale tra la descrizione nel verso della relazione originaria e la descrizione inversa. Quale è l’elemento che caratterizza questa diversità strutturale? Si tratta di un vincolo che noi poniamo alla relazione d’ordine considerata come serie aperta. Il vincolo esprime, in termini metodologici, un particolare tipo di specificazione dell’ordine seriale ottenuta caratterizzando l’ordine degli stati con riferimento alla diversità nel contenuto degli stati. In tal modo l’ordine degli stati è determinato rispetto al mutamento nel contenuto degli stati. Si può parlare in tal caso di irreversibilità. Nel caso della reversibilità l’ordine risulta invece indeterminato rispetto al contenuto degli stati. […]
Per chiarire ancora questo punto osserviamo che per definire il concetto di reversibilità occorre considerare le caratteristiche che permangono invariate quando venga invertita la direzione del tempo. Queste caratteristiche individuano il significato della relazione tra due stati qualsiasi la quale resta identica sia che si descriva la serie nel senso della relazione originaria sia che la si descriva nel senso inverso. Sia la reversibilità che l’irreversibilità si riferiscono a una serie di stati ordinati secondo un determinato verso. Quando il verso è quello originario (corrispondente al verso della relazione generatrice) può parlarsi di una descrizione nel tempo positivo. Può essere costruita però una seconda descrizione considerando la relazione inversa a quella generatrice; in questo caso può parlarsi di una descrizione nel tempo negativo.
Tanto nel caso della reversibilità quanto nel caso dell’irreversibilità è ipotizzabile una descrizione inversa del processo. Ma mentre nel caso della reversibilità le due descrizioni sono strutturalmente identiche in quanto il significato della relazione permane invariato nelle due descrizioni (possibilità di descrizione del processo nel verso contrario), nel caso dell’irreversibilità la descrizione inversa (descrizione nel tempo negativo) è strutturalmente diversa da quella originaria (descrizione nel tempo positivo), cioè il significato della relazione è diverso nelle due descrizioni in quanto il processo può essere descritto solo nel verso originario.
Abbiamo quindi due fondamentali caratterizzazioni. La prima concernente la considerazione dell’ordine come relazione asimmetrica, transitiva e connessa che non sia strutturalmente differente dalla sua inversa (tempo come ordine, reversibilità). La seconda concernente la considerazione dell’ordine come relazione asimmetrica, transitiva e connessa la quale sia strutturalmente differente dalla sua inversa (tempo come direzione, irreversibilità). La diversità di struttura è ottenuta specificando l’ordine con riferimento al mutamento nel contenuto degli stati. […]
Questa conclusione ha una particolare importanza per quanto concerne le scienze sociali ed è stata da noi utilizzata per confutare l’ingenua prospettiva metodologica di Weber (Il metodo delle scienze storico sociali) nella quale non si distingue tra ordine del tempo e direzione del tempo e la storicità è considerata come dimensione metodologica fondamentale nell’esplicazione dei fenomeni sociali.
Per chiarire meglio questo punto prendiamo in considerazione, come esempio metodologico, una successione di stati fisici. Essi possono essere ordinati in base al mutamento nel loro contenuto utilizzando la grandezza entropia. Si ottiene così un ordine degli stati secondo i valori crescenti dell’entropia. È importante rilevare che l’ordine così ottenuto non è un ordine causale ma un ordine storico degli stati individuato attraverso la successione crescente dei valori dell’entropia. Perciò il secondo principio della termodinamica (principio dell’entropia) si limita ad affermare la irreversibilità dei processi fisici, ma non fornisce un’esplicazione del perché di tale irreversibilità.»
(Il problema del metodo nella sociologia, pp. 27-29)
«La logica del cambiamento (approfondimento e ampliamento) nell’ambito della scienza è completamente differente dalla fasi di transizione dalla pre-scienza alla scienza. In quest’ultimo caso il problema ha natura sociologica e psicologica perché concerne il comportamento dei ricercatori (cioè, le sequenze di prove ed errori realizzate dai ricercatori). Di fatto, questi insiemi ordinati di comportamenti operanti possono essere realizzati in un contesto pre-scientifico e/o possono essere condizionati da ipotesi che non si conformano ai vincoli della scienza; in questi casi, gli operanti erronei dei ricercatori non appartengono alla scienza.
È perciò necessario distinguere fra due differenti prospettive storiche: (a) quella più tradizionale, che esamina lo sviluppo del comportamento di ricerca (che in passato veniva chiamato filosofia naturale) concernente qualsiasi tipo di comportamento per prove ed errori, senza particolare riferimento ai vincoli della scienza, che considera indistintamente comportamenti pre-scientifici e comportamenti scientifici nel loro sviluppo storico; e (b) una differente prospettiva che esamina esclusivamente lo sviluppo del pensiero scientifico, cioè solo il comportamento di ricerca che si conforma ai vincoli e ai risultati cumulativi della scienza.
Esistono pertanto due tipi di storia della scienza: (a) una storia socio-psicologica concernente tutti i metodi di ricerca, quale che sia la loro modalità di realizzazione, e i condizionamenti socio-psicologici ai quali i ricercatori sono stati assoggettati nel contesto sociale nel quale hanno operato; e (b) una storia, depurata da connotazioni socio-psicologiche, concernente i metodi di ricerca che si conformano ai vincoli e ai risultati cumulativi della scienza, cioè la storia degli approfondimenti e ampliamento dell’ambito di significatività del solo linguaggio della scienza.
Kuhn (1962) non ha prestato particolare attenzione a questa distinzione, e la sua svista è all’origine di molti fraintendimenti. Indirettamente, questo ha condotto a una prospettiva relativistica, che tende a negare validità (in termini di intersoggettività) allo stesso linguaggio scientifico, ponendo il metodo scientifico allo stesso livello di tutti gli altri possibili metodi di acquisizione di conoscenza (primi fra tutti l’intuizione).» EN