Teoria degli interessi

Una prospettiva teorica unitaria, compatibile con i postulati metodologici della scienza

«Il coinvolgimento positivo (e la interrelazione congiunta) e il coinvolgimento negativo (e la interrelazione disgiunta) definiscono le due tipologie basilari di interazione sociale. Nella teoria degli interessi (strutturale) sono due predicati diadici primitivi (coppie ordinate primitive), corrispondenti alla relazione (funzione) di rinforzamento sociale nell’ambito della dinamica sperimentale del comportamento operante.» «Il coinvolgimento positivo esplica il concetto pre-scientifico di “cooperazione” e il coinvolgimento negativo esplica il concetto pre-scientifico di “conflitto”.» «Queste relazioni primitive, considerate assunti basilari iniziali (postulati), hanno un significato logico (sintattico) (che evidenzia la disgiunzione fra gli stessi) e una interpretazione semantica fondata sulla analisi sperimentale del comportamento. A partire da questi postulati iniziali è possibile esplicare (spiegare scientificamente) qualsiasi comportamento sociale.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 336, 338, 353)

Giulio Bolacchi

Campo di interessi

Giulio Bolacchi - Campo di interessi

Il diagramma rappresenta il campo di interessi del soggetto A. Nel segmento orientato ab sono riportati gli interessi finali del soggetto, ordinati sulla base del loro livello di intensità (crescente da sinistra verso destra). Nei segmenti obliqui sono riportati gli interessi strumentali rispetto a un dato interesse finale (identificato dal punto di intersezione fra il segmento obliquo e il segmento orizzontale), ordinati sulla base del loro grado di strumentalità (decrescente dall’alto verso il basso). Per semplicità esplicativa, gli schemi astratti della teoria degli interessi considerano il caso più semplice e basilare, quello in cui ciascuna sequenza strumentale è costituita da un solo interesse strumentale (e quindi da un solo comportamento strumentale); pertanto, i relativi diagrammi rappresentano coppie di interessi.

Definizione di soggetto e di interazione sociale

«Nel linguaggio astratto della teoria degli interessi, ciascun soggetto è definito come un insieme di interessi strumentalifinali (campo di interessi), caratterizzato da due relazioni che si riferiscono agli interessi strumentali (IS) e agli interessi finali (IF).»

«La struttura dell’interazione sociale è formata da coppie appartenenti a campi di interessi differenti (dei soggetti A e B), che esprimono il coinvolgimento (positivo o negativo) fra interessi finali e la interrelazione (congiunta o disgiunta) fra interessi strumentali.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 333; 334)

Struttura del campo di interessi

«La struttura del campo di interessi è formata da coppie ordinate di interessi, che esprimono, rispettivamente, la strumentalità e la preferenza.

Nel primo caso (strumentalità): (1) la coppia è composta da un interesse strumentale e da un interesse finale che definiscono la sequenza strumentale di interessi {IS→IF}; (2) la misura della strumentalità è espressa dal grado di strumentalità.

Nel secondo caso (preferenza): (1) la coppia è composta da due interessi finali; (2) la misura della preferenza è espresso dal livello di intensità (ι).

La sequenza di interessi strumentali e la sequenza di interessi finali sono subinsiemi del campo di interessi.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 334)

Relazione di strumentalità e grado di strumentalità

Il campo di interessi è caratterizzato da «una relazione che ordina gli interessi secondo il loro grado di strumentalità, dato dalla posizione di ciascun interesse in un insieme ordinato che ha da un lato gli interessi finali e dall’altro lato gli interessi strumentali. La relazione “è strumentale a” implica che:

(1) ciascun interesse può essere soddisfatto (cioè ciascuna sequenza di comportamenti operanti può essere realizzata) solo se l’interesse che lo precede nella relazione d’ordine (cioè l’interesse avente maggiore grado di strumentalità) è stato soddisfatto (cioè, la precedente sequenza di comportamenti operanti è stata realizzata);

(2) ciascun interesse può essere considerato come interesse strumentale rispetto agli interessi che lo seguono e come interesse finale rispetto agli interessi che lo precedono.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 333)

Relazione di preferenza e livello di intensità

Il campo di interessi è caratterizzato da «una relazione che ordina gli interessi secondo il loro livello di intensità, dato dalla posizione di ciascun interesse in un insieme di preferenze. La relazione “non è preferito a” implica che:

(1) il soggetto, posto di fronte al soddisfacimento di due interessi, soddisfa quello avente maggiore livello di intensità;

(2) due interessi finali possono essere soddisfatti in modo disgiuntivo.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 333; 351)

Oggetto dell'interesse e interesse nell'interesse

«Gli interessi di due soggetti aventi un identico oggetto debbono essere tra loro necessariamente coinvolti o positivamente (il soddisfacimento dell’uno implica il soddisfacimento dell’altro) o negativamente (il soddisfacimento dell’uno implica il sacrificio dell’altro).

La relazione per cui gli interessi possono essere coinvolti positivamente o negativamente determina il sorgere di un’altra relazione tra gli interessi di due soggetti, tale che l’interesse di uno dei due soggetti ha per oggetto un interesse dell’altro soggetto. In particolare, nella ipotesi di interessi comuni e positivamente coinvolti, sorge una interrelazione tra gli interessi dei soggetti tale che uno dei soggetti ha interesse a che venga soddisfatto l’interesse dell’altro soggetto; mentre nel caso di interessi comuni e negativamente coinvolti sorge una interrelazione tale che l’interesse di uno dei soggetti ha ad oggetto il sacrificio dell’interesse dell’altro soggetto. L’interesse nell’interesse o interrelazione si specifica quindi come interesse al soddisfacimento o al sacrificio di un altro interesse, a seconda che derivi da due interessi positivamente o negativamente coinvolti.»

(La struttura del potere, p. 60)

Carattere atemporale della teoria degli interessi

«La teoria degli interessi […] può essere espressa come teoria atemporale, quantunque il comportamento abbia per definizione una dimensione temporale in termini di tempo di ripetizione, poiché questa teoria non considera la dinamica del comportamento, a differenza della analisi sperimentale; cioè, non considera le relazioni funzionali tra comportamenti, ma solo le relazioni strutturali tra interessi.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 320)

Coinvolgimento positivo e interrelazione congiunta

Definizione

«Nel caso del coinvolgimento positivo, i due interessi appartenenti ai due diversi soggetti si trovano in una relazione tale che uno dei due interessi non può essere soddisfatto da uno dei soggetti se non viene soddisfatto anche l’altro interesse da parte dell’altro soggetto e viceversa.

Si può dire che il soddisfacimento di uno dei due interessi implica il soddisfacimento dell’altro interesse e viceversa; nel senso che è indispensabile, perché si possa ipotizzare il coinvolgimento positivo, che i due interessi siano contestualmente soddisfatti dai due soggetti, cioè che i due soggetti realizzino in linea di principio due catene strumentali distinte, ma complementari

(Il sequestro come fatto sociale, p. 176)

Coinvolgimento positivo e interrelazione congiunta: relazioni basilari

«Date due sequenze strumentali di interessi {ISA.1→IFA.1} e {ISB.1→IFB.1} appartenenti rispettivamente al campo di interessi del soggetto A e al campo di interessi del soggetto B, possono darsi due relazioni basilari fra interessi (interazioni sociali).»

La prima forma di interazione sociale basilare si ha quando «fra i due interessi finali IFA.1 e IFB.1 esiste una relazione tale per cui il soddisfacimento dell’interesse IFA.1 di A può aver luogo solo se viene contestualmente soddisfatto l’interesse IFB.1 di B e viceversa. Conseguentemente esiste anche una relazione fra i due interessi ISA.1 e ISB.1 tale per cui l’interesse ISA.1 di A (strumentale rispetto a IFA.1) non può essere soddisfatto se non viene soddisfatto anche l’interesse ISB.1 di B, e l’interesse ISB.1 di B (strumentale rispetto all’interesse IFB.1) non può essere soddisfatto se non viene soddisfatto l’interesse ISA.1 di A.»

«È necessario che i due soggetti soddisfino contestualmente i loro interessi finali e che i due soggetti realizzino, in linea di principio, due sequenze strumentali distinte, ma complementari. In questo caso, i due interessi finali IFA.1 e IFB.1 sono positivamente coinvolti (pc) e i due interessi strumentali ISA.1 e ISB.1 sono interrelati congiuntamente (ic): [IFA.1] pc [IFB.1] e [ISA.1] ic [ISB.1].» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 334, 335-336)

Formalizzazione logica del coinvolgimento positivo

«In termini logici, il coinvolgimento positivo può essere espresso dalla formula:

{([IFA.1] [IFB.1]) ([IFB.1] [IFA.1])},

che è equivalente a:

[IFA.1] [IFB.1].» EN

(A new paradigm for the Integration of the Social Sciences, p. 351)

Precisazioni sulla interrelazione congiunta

«Al fine di esplicare meglio il concetto di interrelazione congiunta degli interessi, osserviamo che la stessa si fonda anzitutto sul fatto che gli interessi di due soggetti hanno un oggetto comune, tale che il soddisfacimento dell’interesse IFA.1 di A implica necessariamente il soddisfacimento dell’interesse IFB.1 di B e viceversa.

I due interessi IFA.1 e IFB.1 sono pertanto positivamente coinvolti; ne consegue una interrelazione congiunta, nel senso che ciascun soggetto ha un ulteriore interesse a che l’interesse dell’altro soggetto, positivamente coinvolto col proprio, venga soddisfatto. Alla coppia di interessi IFA.1 e IFB.1 (rispettivamente di A e di B) si aggiunge pertanto una nuova coppia di interessi ISA.1 e ISB.1 (di A e di B), aventi ad oggetto rispettivamente il soddisfacimento di IFB.1 e il soddisfacimento di IFA.1.

Rappresentando con due segmenti orientati ab e cd il campo degli interessi di A e di B abbiamo il diagramma n.1; in esso:

Giulio Bolacchi - Interrelazione congiunta (analisi strutturale)

(1) IFA.1 e IFB.1 sono positivamente coinvolti;

(2) ISA.1 e ISB.1 sono due interessi strumentali: ISA.1 è strumentale rispetto a IFA.1, ISB.1 è strumentale rispetto a IFB.1; la strumentalità consiste nel fatto che IFA.1 può essere soddisfatto solo in quanto viene soddisfatto ISA.1 e IFB.1 può essere soddisfatto solo in quanto viene soddisfatto ISB.1;

(3) ISA.1 e ISB.1 sono interrelati congiuntamente in quanto ISA.1 ha ad oggetto il soddisfacimento di IFB.1 rispetto al quale ISB.1 è strumentale; mentre ISB.1 ha ad oggetto il soddisfacimento di IFA.1 rispetto al quale ISA.1 è strumentale;

(4) ɩA.1 e ɩB.1 esprimono livelli di intensità massimi (dei due interessi IFA.1 e IFB.1) rispetto ai livelli di intensità di tutti gli altri interessi appartenenti ai campi di interessi dei due soggetti A e B; intendendo per livello di intensità una misura ordinale dell’intensità degli interessi; risulta infatti impossibile una definizione operativa che consenta di misurare l’intensità degli interessi, mentre è accettabile l’ipotesi che gli interessi vengano ordinati secondo una scala di preferenze; pertanto, dire che il livello di intensità ɩA.1 dell’interesse IFA.1 è massimo, così come è massimo il livello di intensità ɩB.1 dell’interesse IFB.1, equivale a dire che, a un tempo t, il soggetto A posto di fronte all’alternativa di soddisfare IFA.1 o un altro qualsiasi dei suoi interessi preferisce soddisfare IFA.1;egualmente il soggetto B posto di fronte all’alternativa di soddisfare IFB.1 o un altro qualsiasi dei suoi interessi preferisce soddisfare IFB.1; se il livello di intensità dei due interessi IFA.1 e IFB.1 non fosse, al tempo t, massimo per entrambi i soggetti, IFA.1 e IFB.1 non potrebbero essere positivamente coinvolti. Non si stabilirebbe in tal caso alcuna interrelazione congiunta tra gli interessi di A e di B.»

(Concorrenza, collettivismo e pianificazione, pp. 12-13)

NOTA: la notazione è stata modificata rispetto al testo originale, in modo da renderla conforme alle più recenti formulazioni della teoria degli interessi.

Comportamento altruistico

«Nel caso in cui un soggetto sia in grado di realizzare autonomamente (anche senza il consenso dell’altro soggetto) l’intera sequenza di comportamenti strumentali connessa al comportamento consumatorio corrispondente al soddisfacimento di uno dei suoi interessi finali, non c’è alcun coinvolgimento positivo (né immediato, né mediato), anche quando il soddisfacimento del suo interesse finale implica il soddisfacimento dell’interesse di un altro soggetto. Questo è ciò che accade con riferimento al “comportamento altruistico.” In questo caso non esistono le condizioni essenziali affinché si abbia coinvolgimento positive fra i due interessi, poiché il soddisfacimento dell’interesse del secondo soggetto non è necessario affinché l’interesse del primo soggetto sia soddisfatto, perché il soddisfacimento dell’interesse del secondo soggetto è una mera conseguenza del soddisfacimento dell’interesse del primo soggetto.» «Il comportamento del free rider può essere generalizzato nella prospettiva più astratta della teoria degli interessi, come un elemento del più generale insieme di comportamenti realizzati dai soggetti che traggono profitto (senza alcun coinvolgimento positivo) dal coinvolgimento positivo fra gli interessi di altri soggetti.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 348; 352)

Coinvolgimento negativo e interrelazione disgiunta

Definizione

«Nel caso di coinvolgimento negativo di interessi (che configura l’ipotesi del conflitto sociale) i due interessi appartenenti ai due diversi soggetti si trovano in una relazione tale che uno dei due interessi non può essere soddisfatto da uno dei soggetti se non viene contestualmente sacrificato l’interesse dell’altro soggetto e viceversa. Si può dire in questa ipotesi che il soddisfacimento di uno dei due interessi negativamente coinvolti implica il non soddisfacimento (sacrificio) dell’altro interesse e viceversa.

Ciò significa che la situazione di conflitto offre un’unica possibilità di azione a uno solo dei soggetti, nel senso che la realizzazione di una catena strumentale di soddisfacimento da parte di uno dei soggetti preclude totalmente all’altro la realizzazione di qualsiasi altra catena strumentale volta al soddisfacimento del proprio interesse negativamente coinvolto, e viceversa.»

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 191-192)

Coinvolgimento negativo e interrelazione disgiunta: relazioni basilari

«Date due sequenze strumentali di interessi {ISA.1→IFA.1} e {ISB.1→IFB.1} appartenenti rispettivamente al campo di interessi del soggetto A e al campo di interessi del soggetto B» si ha una seconda relazione basilare fra interessi (interazione sociale).

La seconda forma di interazione sociale basilare si ha quando «fra i due interessi finali IFA.1 e IFB.1 esiste una relazione tale per cui il soddisfacimento dell’interesse IFA.1 di A può aver luogo solo se viene contestualmente sacrificato l’interesse IFB.1 di B e viceversa. Conseguentemente esiste anche una relazione fra i due interessi ISA.1 e ISB.1 tale per cui l’interesse ISA.1 di A (strumentale rispetto a IFA.1) non può essere soddisfatto se viene soddisfatto l’interesse ISB.1 di B, e l’interesse ISB.1 di B (strumentale rispetto all’interesse IFB.1) non può essere soddisfatto se viene soddisfatto l’interesse ISA.1 di A.»

«Solo uno dei due soggetti può soddisfare il proprio interesse finale, in quanto la realizzazione di una sequenza strumentale da parte di uno dei due soggetti preclude all’altro la realizzazione della sequenza strumentale volta al soddisfacimento del proprio interesse finale. In questo caso, i due interessi finali IFA.1 e IFB.1 sono negativamente coinvolti (nc) e i due interessi strumentali ISA.1 e ISB.1 sono interrelati disgiuntamente (id): [IFA.1] nc [IFB.1] e [ISA.1] id [ISB.1].» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 334, 336)

Formalizzazione logica del coinvolgimento negativo

«Il coinvolgimento negativo può essere espresso dalla formula:

{([IFA.1] [~IFB.1]) ([~IFA.1] [IFB.1])},

che è equivalente a:

{([IFB.1] [~IFA.1]) ([~IFB.1] [IFA.1])}.

Ciascuna formula del coinvolgimento negativo è equivalente a:

~([IFA.1] [IFB.1]).» EN

(A new paradigm for the Integration of the Social Sciences, p. 351)

Precisazioni sulla interrelazione disgiunta
Giulio Bolacchi - Interrelazione disgiunta (analisi strutturale)

«Consideriamo ora l’interrelazione disgiunta degli interessi. Supponiamo anche qui che gli interessi di due soggetti A e B abbiano un oggetto comune, tale che il soddisfacimento dell’interesse IFA.1 di A implica necessariamente il non soddisfacimento dell’interesse IFB.1 di B e viceversa. I due interessi IFA.1 e IFB.1 sono pertanto negativamente coinvolti; ne consegue una interrelazione disgiunta, nel senso che ciascun soggetto ha un ulteriore interesse a che l’interesse dell’altro soggetto, negativamente coinvolto col proprio, non venga soddisfatto. Alla coppia di interessi IFA.1 e IFB.1 (rispettivamente di A e di B) si aggiunge pertanto una nuova coppia di interessi ISA.1 e ISB.1 (di A e di B) aventi ad oggetto rispettivamente il non soddisfacimento di IFB.1 e di IFA.1. Rappresentando con due segmenti orientati ab e cd il campo degli interessi di A e di B abbiamo il diagramma:

In questo diagramma:

(1) IFA.1 e IFB.1 sono negativamente coinvolti;

(2) ISA.1 e ISB.1 sono due interessi strumentali: ISA.1 è strumentale rispetto a IFA.1, ISB.1 è strumentale rispetto a IFB.1;

(3) ISA.1 e ISB.1 sono interrelati disgiuntamente in quanto ISA.1 ha ad oggetto il non soddisfacimento di IFB.1, mentre ISB.1 ha ad oggetto il non soddisfacimento di IFA.1;

(4) ɩA.1 e ɩB.1 esprimono livelli di intensità massimi (corrispondenti ai due interessi IFA.1 e IFB.1) rispetto ai livelli di intensità di tutti gli altri interessi appartenenti ai campi di interessi dei due soggetti A e B.»

(Concorrenza, collettivismo e pianificazione, pp. 14-15)

NOTA: la notazione è stata modificata rispetto al testo originale, in modo da renderla conforme alle più recenti formulazioni della teoria degli interessi.

Superamento del conflitto

«Uno dei problemi più importanti nel campo degli studi sociali concerne il superamento del conflitto inteso come coinvolgimento negativo di interessi. Di fatto, il coinvolgimento negativo esprime una situazione di perfetta inerzia sociale, poiché nessuno dei due soggetti è in grado di realizzare autonomamente la sua sequenza operante in quanto l’altro soggetto, ponendo in essere la sequenza operante opposta, lo blocca (impedendo in tal modo il rinforzamento della sequenza strumentale dell’altro soggetto). Entrambe le sequenze operanti si escludono a vicenda, poiché è impossibile, per definizione, che un soggetto possa condividere la sequenza realizzata dall’altro soggetto, e viceversa.

Escludendo il ricorso alla forza fisica, che non è presa in considerazione dalla scienza sociale, ci sono solo tre modalità che consentono di superare l’intrinseca inerzia del coinvolgimento negativo. La prima concerne la modificazione del campo di interessi di uno o di entrambi i soggetti, che si realizza nel contesto della dinamica evolutiva (tempo della storia). Per definizione, non è presa in considerazione dalla teoria degli interessi e dall’analisi sperimentale del comportamento fondata su funzioni che includono solo il tempo di ripetizione come variabile indipendente implicita. La seconda e la terza modalità concernono il potere (tipico delle istituzioni) e lo scambio (tipico del mercato).» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 338-339)

Potere

Definizione

«Il potere, nella sua definizione più astratta, si realizza quando un gruppo maggioritario (avente maggiore forza sociale) si contrappone a un soggetto (deviante) o a un gruppo minoritario (anch’esso deviante) che ha un proprio interesse in conflitto (negativamente coinvolto) con l’interesse (positivamente coinvolto) che fonda il gruppo maggioritario.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 339)

Forza sociale

«La relazione [IFA.1] pc [IFB.1] definisce la forza sociale del gruppo maggioritario (in questo caso costituito da A e B).»

«La forza sociale è una condizione necessaria, ma non sufficiente, della relazione di potere.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 339, 341)

Conflitto

«La relazione [IFB.1] nc [IFC.1] definisce la situazione di conflitto fra il gruppo maggioritario e il soggetto C (deviante).» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 339)

Scelta (disgiunzione esclusiva)

«La relazione [IFB.1] pc [IFC.2] definisce la condizione che consente al gruppo maggioritario di imporre al soggetto C una disgiunzione esclusiva fra due interessi con differenti livelli di intensità: l’interesse IFC.1 (avente minore intensità) e l’interesse IFC.2 (avente maggiore intensità: iC.2 > iC.1). Il gruppo maggioritario costruisce (in base alla forza sociale) una nuova relazione di coinvolgimento positivo tra IFB.1 e IFC.2. Se il soggetto C soddisfa IFC.2, allora necessariamente sacrifica IFC.1 e l’interesse del gruppo maggioritario IFB.1 (unitamente all’interesse positivamente coinvolto IFA.1 ) viene necessariamente soddisfatto, stante il coinvolgimento negativo fra IFB.1 e IFC.1].» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 339)

Deviamento potenziale e deviamento attuale

Un’ulteriore condizione è perciò necessaria per la relazione di potere: «che esista nel campo di interessi del deviante almeno un interesse con un livello di intensità maggiore del livello di intensità dell’interesse in conflitto (cioè dell’interesse negativamente coinvolto con l’interesse del gruppo maggioritario).»

«In questo caso si stabilisce (attraverso il potere) un coinvolgimento positivo mediato (indiretto) tra l’interesse del gruppo maggioritario IFB.1 e l’interesse del deviante IFC.1, e quest’ultimo diventa deviante potenziale. Al contrario, il soggetto C diventa deviante attuale se soddisfa il suo interesse IFC.1 negativamente coinvolto con l’interesse IFB.1, che rappresenta il coinvolgimento positivo di interessi del gruppo maggioritario. Questo si verifica quando l’interesse del deviante IFC.1 ha il  livello di intensità maggiore e, conseguentemente, non c’è alcun interesse nel campo del soggetto deviante che consenta al gruppo avente maggiore forza sociale di stabilire una relazione di potere.»  EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 341, 340)

Formalizzazione logica del potere

«In termini logici, il potere può essere espresso dalla congiunzione delle formule concernenti il coinvolgimento negativo (conflitto) e il coinvolgimento positivo mediato (in relazione con la forza sociale):

{~([IFB.1] [IFC.1])  ([IFB.1] [IFC.2])};

da queste formule si può derivare la disgiunzione esclusiva:

{([IFC.1 [IFC.2]) ~([IFC.1] [IFC.2])}.

Ne consegue che

se [IFC.2] (dato ɩC.2 > ɩC.1),

allora ([~IFC.1] [IFB.1]).» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 351)

Precisazioni su potere, forza sociale e scelta disgiuntiva

«Definiamo forza sociale di B riferita a un suo interesse IFB.1 negativamente coinvolto con un interesse IFC.1 di C e positivamente coinvolto con un interesse IFA.1 di A, la interrelazione congiunta tra ISA.1 e ISB.1, cioè la relazione [ISA.1] ic [ISB.1], che consente al soggetto B di determinare il non soddisfacimento dell’interesse IFC.1 di C.

Il non soddisfacimento dell’interesse IFC.1 di C potrebbe essere ottenuto dal soggetto B ponendo in essere una catena operativa volta a interrompere fisicamente la catena operativa RSC.1 → RCC.1 del soggetto C. In questo caso però non si avrebbe ovviamente da parte di B alcuna utilizzazione di forza sociale, ma la utilizzazione di una pura e semplice forza fisica. L’interrelazione sociale verrebbe sostituita da una relazione fisica. L’unico modo che è dato a B di determinare il non soddisfacimento dell’interesse IFC.1 di C – nell’ambito dello schema dell’interrelazione e quindi nell’ambito del comportamento sociale – consiste nell’utilizzare la forza sociale che proviene a B  dalla relazione [ISA.1] ic [ISB.1] al fine di porre a C l’alternativa tra il non soddisfacimento dell’interesse IFC.1 (dato [IFA.1] nc [IFC.1] ) e il non soddisfacimento, sempre da parte di B, di un altro interesse IFC.2 di C avente livello di intensità ɩC.2 maggiore del livello di intensità ɩC.1 di IFC.1 (ɩC.2 [IFC.2] > ɩC.1 [IFC.1]).

[…]

La forza sociale che pone in grado B di non soddisfare l’interesse IFC.2  di C consente a B di realizzare socialmente un coinvolgimento positivo del proprio interesse IFB.1 con l’interesse IFC.2 di C. […]

In conseguenza del fatto che i due interessi IFB.1 e IFC.2 vengono socialmente coinvolti (in quanto al soddisfacimento di IFB.1  il gruppo sociale fa corrispondere il soddisfacimento di IFC.2) il soggetto C si trova di fronte a una alternativa di azione che lo costringe a scegliere tra il soddisfacimento dell’interesse IFC.1 avente livello di intensità ɩC.1  ovvero il soddisfacimento dell’interesse IFC.2 avente livello di intensità ɩC.2 > ɩC.1. La condizione ɩC.2 > ɩC.1 motiva il soggetto C a soddisfare l’interesse IFC.2 a preferenza dell’interesse IFC.1. Ma il soddisfacimento dell’interesse IFC.2 di C, essendo quest’ultimo positivamente coinvolto con l’interesse IFB.1 di B, implica necessariamente il soddisfacimento dell’interesse IFB.1 di B. Perché IFB.1 di B venga soddisfatto (e quindi venga necessariamente soddisfatto anche IFC.2 di C) il soggetto C deve non soddisfare l’interesse IFC.1 (che come si è detto ha livello di intensità ɩC.1 < ɩC.2).»

(Concorrenza, collettivismo e pianificazione, p. 19-20)

NOTA: la notazione è stata modificata rispetto al testo originale, in modo da renderla conforme alle più recenti formulazioni della teoria degli interessi.

Interessi istituzionalizzati e deviamento

«Nel contesto sociale si possono individuare due insiemi di relazioni che si presentano tanto nei gruppi statuali, espressamente presi in considerazione con riferimento al deviamento al loro interno, quanto nei gruppi non statuali, rispetto ai quali il deviamento interno non è specificamente considerato:

1. un insieme che esprime comportamenti (interessi) che si sono stabilizzati nella personalità durante il processo di socializzazione, cioè modelli (tipologie) di scelta che l’individuo ha interiorizzato e che è disposto a realizzare spontaneamente (senza costrizioni di tipo punitivo); in questo caso i suoi interessi non sono in conflitto, ma sono coinvolti positivamente in modo primario con gli interessi istituzionalizzati (nell’ipotesi di gruppo statuale);

2. un insieme che esprime comportamenti (interessi) che l’individuo realizza, non perché li ha interiorizzati (avendo al contrario interiorizzato modelli di scelta con essi incompatibili), ma perché si conformano a una costrizione di tipo punitivo; in questo caso l’individuo, pur avendo interiorizzato interessi coinvolti negativamente con gli interessi istituzionalizzati, per evitare la punizione è costretto (dalla logica dell’azione punitiva) a non soddisfare i suoi interessi interiorizzati (che potrebbero essere soddisfatti solo in presenza di una modificazione più o meno radicale della normativa statuale). Gli interessi interiorizzati che non possono essere soddisfatti configurano altrettanti deviamenti potenziali, che l’individuo non trasforma in deviamenti attuali in quanto sceglie di conformarsi alla norma istituzionalizzata, realizzano in tal modo un coinvolgimento positivo derivato (mediato) con gli interessi istituzionalizzati

(G. Bolacchi, Il sequestro come fatto sociale, pp. 54-55)

Scambio

Definizione

La relazione di scambio si pone tra «due soggetti, ciascuno dei quali ha due interessi negativamente coinvolti con altrettanti corrispondenti interessi dell’altro soggetto; con l’ulteriore condizione che le due relazioni di coinvolgimento negativo concernano interessi dei soggetti con un ordine dei livelli di intensità trasposto (cioè con l’esclusione del caso in cui gli interessi dei due soggetti negativamente coinvolti siano quelli con maggiore livello di intensità o quelli con minore livello di intensità).» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 341)

Coinvolgimento negativo reciproco

«Le relazioni [IFA.1] nc [IFB.2] e [IFA.2] nc [IFB.1] definiscono il particolare coinvolgimento negativo incrociato fra interessi, in presenza del quale nessuno dei due soggetti può soddisfare entrambi gli interessi del proprio campo (poiché, per definizione, la forza sociale è esclusa in questa situazione), ma ciascuno di loro può soddisfare solo uno dei due interessi negativamente coinvolti con altrettanti interessi dell’altro soggetto e sacrificare l’altro—in conformità con l’ordine dei livelli di intensità trasposto.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 341)

Coinvolgimento positivo mediato

«La relazione [IFA.2] pc [IFB.2] definisce il coinvolgimento positivo mediato (indiretto) (ottenuto attraverso lo scambio) che richiede che entrambi i soggetti soddisfino il loro interesse avente il livello di intensità maggiore e contestualmente sacrifichino il loro interesse con livello di intensità minore. Si ha, per A, col soddisfacimento dell’interesse IFA.2 (avente maggiore livello di intensità) e il corrispondente sacrificio dell’interesse IFA.1 (avente minore livello di intensità: iA.1 < iA.2) e, per B, col soddisfacimento dell’interesse IFB.2 (avente maggiore livello di intensità) e il corrispondente sacrificio dell’interesse IFB.1 (avente minore livello di intensità: iB.1 < iB.2).» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 341-342)

Formalizzazione logica dello scambio

«In termini logici, lo scambio può essere espresso dalla congiunzione delle formule concernenti il coinvolgimento negativo reciproco (incrociato):

{~([IFA.1] [IFB.2])  ~([IFA.2] [IFB.1])};

Da queste formule si possono derivare due disgiunzioni esclusive:

{([IFA.1 [IFA.2]) ~([IFA.1] [IFA.2])}

e

{([IFB.1 [IFB.2]) ~([IFB.1] [IFB.2])}

che esprimono il coinvolgimento positivo mediato

([IFA.2] [IFB.2]).

Ne consegue che

se ([IFA.2] [IFB.2]) (dato ɩA.2 > ɩA.1 e ɩB.2 > ɩB.1),

allora ([~IFA.1] [~IFB.1]).» EN

(A new paradigm for the Integration of the Social Sciences, p. 352)

Precisazioni sul coinvolgimento negativo reciproco

«L’interrelazione disgiunta che esplica il sistema dello scambio presuppone che ciascuno dei soggetti abbia almeno due interessi negativamente coinvolti con altrettanti interessi dell’altro soggetto nel modo descritto dal seguente diagramma:

Giulio Bolacchi - Scambio e coinvolgimento negativo reciproco

Nella situazione illustrata nessuno dei soggetti è in grado di soddisfare entrambi i propri interessi poiché, per definizione, non dispone di forza sociale da utilizzare a tal fine. Si ha al contrario che ciascuno dei soggetti si trova in condizione di soddisfare almeno uno dei suoi due interessi negativamente coinvolti con altrettanti interessi dell’altro soggetto. Poiché infatti l’interesse IFA.1 di A ha un livello di intensità ɩA.1 minore del livello di intensità dell’interesse IFA.2 ed egualmente l’interesse IFB.1 di B ha un livello di intensità ɩB.1 minore del livello di intensità ɩB.2 dell’interesse IFB.2, entrambi i soggetti risultano avvantaggiati qualora essi soddisfino i propri interessi aventi il maggiore livello di intensità. In questo caso, infatti, il soggetto A soddisfa l’interesse IFA.2 (negativamente coinvolto con IFB.1 di B), mentre il soggetto B soddisfa l’interesse IFB.2 (negativamente coinvolto con IFA.1 di A). Tanto A quanto B guadagneranno in tal modo più di quanto potranno perdere. Solo se i due soggetti si trovano in questa particolare, reciproca posizione, si avvia tra essi una interazione sociale che si concretizza in uno scambio. Risulta pertanto da questo schema che nello scambio i soggetti hanno interessi ordinati in modo diverso. E’ proprio la differente disposizione di interessi dello stesso tipo nei campi di interessi dei due soggetti che rende possibile lo scambio.»

(Concorrenza, collettivismo e pianificazione, pp. 24-25)

NOTA: la notazione è stata modificata rispetto al testo originale, in modo da renderla conforme alle più recenti formulazioni della teoria degli interessi.

La interpretazione economica dello scambio e la competizione

«Vi è un secondo aspetto, ugualmente importante ai fini della caratterizzazione economica del sistema dello scambio, che deve essere esaminato. Questo secondo aspetto è quello della concorrenza. Nella interpretazione economica, lo scambio si riferisce all’attività dei soggetti i quali cedono beni (servizi) e ne ricevono altri in modo che le “ofelimità” individuali siano massimizzate. La concorrenza si riferisce invece all’attività dei produttori, ciascuno dei quali agisce tenendo presente il comportamento degli altri produttori.»

«In primo luogo osserviamo che dati due produttori A e C, ciascuno di essi ha interesse a sottrarre all’altro tutti gli acquirenti. Vi è perciò una interrelazione disgiunta tra gli interessi dei due produttori diversa però da quella che sussiste tra i soggetti che scambiano, in quanto nel caso dei produttori il soddisfacimento dell’interesse del produttore A implica necessariamente il non soddisfacimento dell’interesse del produttore C e viceversa. Perciò, mentre nell’ipotesi dello scambio l’interrelazione assume una forma tale per cui i soggetti sono entrambi avvantaggiati dall’attività di scambio, nella competizione tra due produttori non è possibile che entrambi si avvantaggino, ma al contrario il vantaggio di uno è necessariamente connesso al danno dell’altro.

Il secondo punto che dobbiamo porre in evidenza è che il conflitto tra produttori non viene risolto attraverso una interazione sociale alla quale conseguano, da parte del produttore A, azioni dirette a modificare il comportamento del produttore C e viceversa, così come avviene nell’ipotesi del potere. Infatti, poiché è da escludere che il conflitto tra A e C possa essere risolto con mezzi non sociali (forza fisica) ed è pure da escludere che il conflitto possa essere risolto da uno dei produttori utilizzando la forza sociale al fine di determinare il non soddisfacimento dell’interesse dell’altro produttore, secondo lo schema tipico della relazione di potere, A può risolvere a suo favore il conflitto con C in un solo modo: offrendo ai consumatori un vantaggio maggiore di quello che otterrebbero se scambiassero con C. Ciò significa che A deve vendere il proprio prodotto a un prezzo inferiore a quello praticato da C, se i beni prodotti da A e C sono identici, oppure che il bene prodotto da A deve essere qualitativamente superiore a quello prodotto da C, se A e C producono beni dello stesso tipo ma non perfettamente identici. In entrambi i casi i consumatori preferiranno acquistare da A piuttosto che da C e l’eliminazione di C dal mercato sarà automatica. La possibilità che ha A di praticare un prezzo inferiore a C o di produrre un bene di qualità superiore deriva, in entrambi i casi, dalla sua capacità di organizzare l’attività produttiva in modo più efficiente rispetto a C. Perciò l’attività di A anziché essere volta a modificare direttamente il comportamento di C è volta unicamente a migliorare la produttività della propria impresa. Solo indirettamente l’azione di A influenza quella di C; infatti C per non essere eliminato dal mercato deve tener conto delle condizioni di scambio offerte da A ai consumatori e deve cercare di offrire condizioni ancora più vantaggiose.

In definitiva l’interrelazione disgiunta tra A e C si traduce in comportamenti, da parte di A e C, che si esauriscono nell’ambito dell’organizzazione produttiva; comportamenti i quali tendono a far si che la attività di scambio si svolga sempre tra i consumatori da un lato ed uno solo dei produttori dall’altro lato.»

(Concorrenza, collettivismo e pianificazione, pp. 29, 30-31)

Esplichiamo la competizione, con riferimento alla prospettiva strutturale, mediante il seguente diagramma:

Giulio Bolacchi - Competizione e scambio

«Il soggetto A può risolvere il conflitto col soggetto C a proprio favore solo in un modo: offrendo ai consumatori un maggior vantaggio rispetto a quello che essi otterrebbero se scambiassero con C. Questa situazione può essere descritta dalla figura 15.7, che mostra:

– le relazioni [IFB.1] nc [IFA.2] e [IFB.2] nc [IFA.1], che definiscono le condizioni di scambio tra B (consumatore) e A (produttore)

– le relazioni [IFB.1’] nc [IFC.2] e [IFB.2] nc [IFC.1], che definiscono le condizioni di scambio tra B (consumatore) e C (il produttore in competizione con A, che è lasciato fuori dallo scambio con B)

– la relazione [IFB.2] pc [IFA.2], che definisce l’interazione di scambio tra B (consumatore) e A (produttore).

L’esclusione di C è dovuta al fatto che B (consumatore) ha un minor vantaggio nel realizzare il comportamento di scambio col produttore C, perché un simile comportamento implica che B sacrifichi l’interesse IFB.1’, che ha un livello di intensità maggiore rispetto al livello di intensità dell’interesse IFB.1 (ɩB.1’ > ɩB.1) che è sacrificato quando egli scambia con A. Conseguentemente B deve scambiare con A invece che con C, in conformità con i postulati esplicativi del comportamento.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 345)

Analizziamo ora, sempre con riferimento alla prospettiva strutturale, la interazione sociale esistente tra i due produttori, uno dei quali scambia mentre l’altro viene escluso dallo scambio. Abbiamo in questo caso il seguente diagramma:

Giulio Bolacchi - Competizione e conflitto

«L’interazione sociale fra i due produttori A e C, che è implicita nella figura 15.7, può essere resa più chiara invertendo le posizioni dei campi di interessi di A e di B. La figura 15.8 mostra

– le relazioni [IFA.1] nc [IFB.2], [IFA.2] nc [IFB.1] e [IFB.2] pc [IFA.2], che definiscono l’interazione di scambio tra A (produttore) e B (consumatore),

– le relazioni [IFA.1] nc [IFC.1] e [IFA.2] nc [IFC.2], che definiscono la competizione fra i due produttori A e C.

Dalle relazioni di cui sopra consegue che il soddisfacimento dell’interesse IFA.2 di A, con un livello di intensità più elevato rispetto a IFA.1, corrisponde al non soddisfacimento dell’interesse IFC.2 di C; e, viceversa, il sacrificio dell’interesse IFA.1 di A corrisponde al soddisfacimento dell’interesse IFC.1 di C, che ha tuttavia un livello di intensità più basso rispetto a IFC.2, cioè all’interesse che C avrebbe soddisfatto se non fosse stato lasciato fuori dallo scambio.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 345, 347)

Preferenza, strumentalità, utilità e scelta

«L’esplicazione dello scambio nell’ambito della teoria degli interessi mostra come la relazione “non è preferito a”, che è l’unica presa in considerazione dagli economisti, sia associata alla relazione “è strumentale a”. Come già detto, sia la relazione “è strumentale a” che la relazione “non è preferito a” derivano dall’analisi sperimentale del comportamento. Nell’ambito della teoria degli interessi, queste relazioni sono espresse, rispettivamente, dal grado di strumentalità e dal livello di intensità. Perciò è possibile confermare che il comportamento economico è un subinsieme del comportamento sociale.

Con riferimento allo scambio, fra un comportamento che è realizzato (preferito) e un comportamento (non preferito) la cui non realizzazione è resa strumentale al comportamento che viene realizzato si deve assumere la relazione “non è preferito a”. Conseguentemente, non è sufficiente che un comportamento sia preferito all’altro. È richiesta una ulteriore condizione, che è espressa dalla teoria degli interessi: l’interesse non preferito deve essere sacrificato (non soddisfatto) e il suo sacrificio deve essere reso strumentale al soddisfacimento dell’interesse preferito.

G. Bolacchi, Teoria degli interessi: diagramma della relazione di scambioQuesta specifica compatibilità fra un sub insieme di interessi ordinato dalla relazione “non è preferito a” e un corrispondente sub insieme di interessi ordinato dalla relazione “è strumentale a” definisce il concetto di “scelta“. A tale concetto si applicano le assunzioni che caratterizzano gli insiemi di consumo al livello dell’analisi economica (Debreu 1959, pp. 52 e seguenti). In questo caso particolare, la posizione di un soggetto che partecipa allo scambio può essere espressa dicendo che il saggio marginale di sostituzione (SMS) tra l’interesse  (IFA.2 per il soggetto A e IFB.2 per il soggetto B) con livello di intensità più elevato (rispettivamente ιA.2 e ιB.2) e l’interesse  (IFA.1 per il soggetto A e IFB.1 per il soggetto B) con livello di intensità più basso (rispettivamente ιA.1 e ιB.1) concerne il grado di soddisfazione dell’interesse IFA.1 o IFB.1, al quale il soggetto che scambia rinuncia per ottenere un incremento del grado di soddisfazione dell’interesse IFA.2 o IFB.2. Spostandosi verso il basso lungo la curva di indifferenza per i due interessi IFA.1 e IFA.2 (per il soggetto A) o IFB.1 e IFB.2 (per il soggetto B), il soggetto che scambia determina un decremento del SMS(IFA.1, IFA.2) o SMS(IFB.1, IFB.2).

Semplificando la notazione con riferimento alla utilità marginale (UM), può dirsi che SMSxy = UMx/UMy. Lo scambio è mutuamente vantaggioso quando dato un soggetto A con SMSxy e un soggetto B con SMSx’y’ si verifica la condizione SMSxy ≠ SMSx’y’ (e quella corrispondente UMx/UMy ≠ UMx’/UMy’).

Nel linguaggio economico, le quantità Qx, Qy dei due beni x e y (cioè, gli interessi IFA.1 e IFA.2 – o IFB.1 e IFB.2 – ovvero i due insiemi di consumo dati) definiscono una curva che è generalmente interpretata come una classe di equivalenza rispetto alla relazione di indifferenza “x1i ≤ y2i e y2i ≤ x1i” che è denotata “x1i ~ y2i”. In questo senso la classe di equivalenza è denominata “classe di indifferenza” (Debreu 1959, p.54).

La teoria degli interessi dimostra che la classe di equivalenza – con riferimento alla relazione di indifferenza tra {IFiA.1 e IFiA.2} o {IFiB.1 e IFiB.2} – può essere interpretata come una classe di equivalenza in termini di strumentalità che implica il sacrificio di un interesse e il corrispondente soddisfacimento di un altro interesse, cioè come una classe di equivalenza rispetto alla relazione di strumentalità tra {~IFiA.1  → IFiA.2} o {~IFiB.1  → IFiB.2}.

In questo senso, le classi di equivalenza non sono classi di indifferenza, bensì classi di strumentalità di un interesse, che viene sacrificato, rispetto a un altro interesse, che viene soddisfatto. Ovverosia, esse sono classi di equivalenza rispetto alla relazione di strumentalità tra due insiemi in termini di sacrificio-soddisfacimento (scelta). Sotto questo aspetto, queste classi di equivalenza assumono che i due interessi siano ordinati primariamente secondo il loro livello di intensità, che determina quale dei due interessi deve essere soddisfatto e quale deve essere strumentalmente sacrificato. Perciò l’ordine dell’intensità è una premessa per l’ordine della strumentalità in termini di sacrificio-soddisfacimento.

Questa interpretazione può essere usata per esplicare i concetti di preferenza e utilità nell’ambito del più generale linguaggio comportamentistico. La preferenza esprime l’ordine dei livelli di intensità, mentre l’utilità, in senso generale, non esprime la proprietà di un interesse, quanto piuttosto la relazione di strumentalità fra due interessi, uno dei quali è sacrificato per ottenere il soddisfacimento dell’altro. L’utilità di un interesse è determinata dalla strumentalità del sacrificio di un altro interesse.

Nel linguaggio economico, l’utilità è definita dall’ordine delle classi di indifferenza, cioè dalle partizioni dell’insieme di consumo ottenute utilizzando le classi di equivalenza rispetto alla relazione di indifferenza. Su questo punto Debreu (1959) dice: “È possible associare a ciascuna classe un numero reale in modo tale che, se una classe è preferita a un’altra, il numero della prima è maggiore del numero della seconda? In altre parole, dato un insieme preordinato in modo completo dalle preferenze, esiste una funzione dei numeri reali crescente  su questo insieme? Tale funzione è denominata funzione di utilità.” (pp. 55-56).

Allo stesso modo, il concetto di utilità può essere applicato all’ordine delle classi di equivalenza rispetto alla relazione di strumentalità. Le due definizioni di utilità, quella basata sulle classi di strumentalità e l’altra basata sulle classi di indifferenza (alla quale gli economisti si riferiscono), sono consistenti con la teoria degli interessi e con la teoria economica.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 342-344)

Beni pubblici e free riding

Gli economisti, a proposito dei beni pubblici, parlano di non exclusion e di consumo non rival. L’analisi economica tuttavia, essendo fondata sul concetto di scambio e sul conseguente concetto di mercato, non ammette nel proprio ambito linguistico e conoscitivo il concetto di coinvolgimento positivo di interessi.

«L’analisi economica nel definire il bene pubblico secondo il paradigma dello scambio (che prescinde da qualsiasi riferimento al coinvolgimento positivo primario di interessi) pone il problema del finanziamento dei costi associati al livello ottimo di produzione del bene pubblico. L’individuazione di tale livello richiede però che ciascun soggetto sia disposto a contribuire ai costi (cioè a cooperare in termini di scambio) proporzionalmente all’effettivo beneficio marginale che trae dal bene pubblico.

Accade al contrario che, operando esclusivamente sul piano dello scambio, il free rider tenda a rivelare una preferenza per il bene pubblico sottostimata rispetto al proprio beneficio marginale reale, cioè una disponibilità marginale al pagamento tendente a zero.

La presenza del free rider implica quindi che, in una logica di mercato, il livello di produzione del bene pubblico tenda a zero. Questo avviene in quanto il free rider presuppone che il bene pubblico venga comunque reso disponibile a prescindere dal fatto che egli contribuisca o non contribuisca al finanziamento del costo; cioè presuppone che ciascun soggetto possa fruire gratuitamente del bene pubblico (ovvero che il bene pubblico venga prodotto senza alcun costo per i soggetti). Ipotesi, questa, del tutto incompatibile con la logica di mercato.

Si realizza in tal modo una tipica antinomia. Il free rider è tale in quanto opera secondo la logica di mercato (caratterizzata da un consumo rival ovvero antagonista, cioè caratterizzata dallo scambio che esprime un particolare tipo di coinvolgimento negativo di interessi). Ma per poter operare come free rider il soggetto deve necessariamente ipotizzare un consumo non rival, cioè non antagonista, e quindi deve presupporre che esista un bene pubblico (a cui si riferisce la propria attività di free rider) comunque disponibile per lui senza alcun costo; cioè deve presupporre che si realizzi con riferimento al bene pubblico, su cui si fonda il suo ruolo, un coinvolgimento positivo primario (non di mercato) tra gli interessi (aventi ad oggetto il bene pubblico) di un gruppo più o meno vasto di soggetti, tale che l’interesse del free rider all’uso del bene pubblico non possa essere escluso dal soddisfacimento, a prescindere dalla sua partecipazione al finanziamento del costo del bene pubblico (non exclusion reciproca riferita al bene pubblico).

Se tutti i soggetti appartenenti al gruppo si comportassero come free rider, farebbero venir meno il coinvolgimento positivo primario relativo al bene pubblico e lo stesso free rider non avrebbe ragione di esistere, in quanto il bene pubblico non verrebbe neppure prodotto; non esisterebbe o meglio non potrebbe essere determinato, visto che il bene pubblico è tale non in virtù di qualche sua caratteristica naturale, ma esclusivamente sulla base di una specifica interazione sociale, un coinvolgimento positivo primario di interessi

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 184-186)

«La contraddizione è palese e non può essere superata se l’esplicazione viene tentata utilizzando esclusivamente la logica di mercato, fondata sul coinvolgimento negativo di interessi; cioè se si pretende di spiegare il bene pubblico utilizzando i concetti di cooperazione o di consumo non esclusivo come concetti primitivi, non definibili all’interno dell’analisi economica e indefiniti al di fuori di tale analisi.

Una prospettiva di analisi più astratta di quella economica configura il concetto di “bene pubblico”, nell’ambito della teoria degli interessi, come una tipica interazione sociale caratterizzata da un coinvolgimento positivo primario riferito all’interesse (appartenente a un gruppo maggioritario di soggetti) concernente la stretta conformità della manifestazione delle preferenze per il bene pubblico al beneficio marginale reale associato ai livelli di disponibilità (o produzione) del bene pubblico, cioè caratterizzata da un coinvolgimento positivo primario riferito all’interessenon distorcere (in funzione della minimizzazione dell’onere derivante dalla partecipazione al costo totale) le preferenze rivelate per i beni pubblici.

Un coinvolgimento positivo primario di questo tipo, concernente come si è detto un gruppo maggioritario di soggetti, implica un ulteriore coinvolgimento positivo primario tra gli stessi soggetti, riferito a un interesse che demanda allo stato (cioè al gruppo maggioritario), al di fuori del mercato, la definizione del livello di produzione del bene pubblico e il finanziamento del costo; finanziamento che dovrà gravare anche sui soggetti free rider potenziali del gruppo minoritario (i soggetti che hanno l’interesse a fornire informazioni distorte sulle loro preferenze per evitare di contribuire al finanziamento), al fine di eliminare mediante il potere (espresso in una norma istituzionalizzata) il coinvolgimento negativo tra l’interesse del gruppo maggioritario alle “preferenze rivelate” veritiere e l’interesse del gruppo minoritario alle “preferenze rivelate” distorte.

Questo coinvolgimento negativo infatti non può essere eliminato mediante lo scambio tra i due gruppi, perché una realizzazione dello scambio in questa situazione equivarrebbe alla eliminazione dell’interesse alle “preferenze rivelate” veritiere e ricondurrebbe il problema all’interno del mercato, rendendo il problema stesso contraddittorio e quindi irresolubile. Come si è detto, questo problema può essere eliminato solo mediante il potere

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 187-188)

Organizzazione

Definizione

«La organizzazione è esplicata in termini scientifici dal coinvolgimento positivo, con specifico riferimento alla condizione fondamentale della complementarità reciproca delle distinte sequenze di interessi strumentali realizzate da ciascun soggetto. Tale complementarità reciproca fra interessi strumentali appartenenti a differenti campi di interessi implica che l’insieme di tutti gli interessi strumentali interrelati in modo congiunto sia tale per cui, in linea di principio, ciascun interesse strumentale definisce un ruolo organizzativo e ciascun ruolo, in tal modo differenziato, sia assegnato a uno dei soggetti i cui interessi sono coinvolti positivamente.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 348)

Organizzazione e complementarità reciproca

«Il concetto di complementarità reciproca differisce dal concetto di ordine strumentale delle sequenze operanti. La caratterizzazione basilare del coinvolgimento positivo non è l’ordine strumentale delle sequenze operanti, e quindi degli interessi strumentali (quantunque l’ordine sia sempre presupposto), bensì il rinforzamento positivo reciproco che viene reso evidente dall’analisi sperimentale del comportamento; anche se il senso comune non è in grado di individuare tale aspetto, in quanto percepisce solo l’ordine strumentale dei comportamenti. Di fatto, possono darsi insiemi di comportamenti di due (o più) soggetti ordinati strumentalmente, ma se le sequenze comportamentali non si rinforzano positivamente l’una con l’altra, non comportano alcun coinvolgimento positivo.» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, p. 337)

Organizzazione e scambio

«Lo scambio implica un particolare tipo di coinvolgimento negativo tra coppie di interessi appartenenti a due (o più) soggetti e origina un coinvolgimento positivo derivato (mediato) distinto dal coinvolgimento positivo primario. Ciò posto, dato che l’elemento fondante dell’organizzazione al livello più astratto è il coinvolgimento positivo primario di interessi, può darsi che l’accesso ai ruoli organizzativi, definiti mediante sequenze di comportamenti strumentali tra loro complementari, possa essere realizzato tramite lo scambio. In questo caso specifico, lo scambio opera come strumento per l’acquisizione o l’attribuzione di ruoli organizzativi, ma non qualifica questi ruoli, che invece trovano solo nel coinvolgimento positivo mediato dallo scambio il loro punto di riferimento. L’organizzazione non è lo scambio, ma il coinvolgimento positivo, che può anche derivare dallo scambio, quale specifico strumento di superamento del conflitto sociale.»

(Il concetto di organizzazione secondo il paradigma scientifico, pp. 287-288)

Efficienza dell'organizzazione

«Se l’organizzazione presenta una configurazione di equilibrio, cioè di efficienza economica negli scambi che tutti gli individui singolarmente realizzano con l’organizzazione per gestire i ruoli di quest’ultima, allora all’interno della stessa si ha la specifica ipotesi del coinvolgimento positivo derivato (mediato). Quest’ultimo per definizione non fonda l’insieme articolato di ruoli strumentali che caratterizzano l’organizzazione, ma dà origine solo a una strumentalità bilaterale tra i due ruoli dei soggetti che partecipano allo scambio; non determina i ruoli strumentali dell’organizzazione, ma definisce le modalità di acquisizione e gestione dei ruoli organizzativi con riferimento al mercato (del lavoro).

Questo significa che l’efficienza economica dell’organizzazione è diversa dalla funzionalità dell’organizzazione; può darsi infatti che in un’organizzazione le condizioni di equilibrio dello scambio (prestazione lavorativa contro retribuzione) tra individui e organizzazione (cioè tra individui e ruoli derivanti da un coinvolgimento positivo primario) siano un presupposto necessario delle condizioni di funzionalità, ma certamente non sono un presupposto sufficiente perché si realizzino queste ultime.»

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 179-180)

Funzionalità dell'organizzazione

«Il fatto che tra i due scambisti (l’imprenditore e il lavoratore, nel caso di organizzazioni operanti nel mercato) debba aversi, oltre lo scambio, almeno un coinvolgimento positivo primario concernente l’interesse alla compatibilità tra scambio e obiettivi dell’organizzazione, costituisce un paradigma minimo di riferimento per fondare un’organizzazione. Il paradigma di riferimento ottimale si avrebbe se gli scambisti avessero un coinvolgimento positivo primario concernente, in tutto o in parte, gli obiettivi dell’organizzazione e non solo la compatibilità dello scambio con questi obiettivi.

Le modalità in cui può realizzarsi il coinvolgimento positivo sugli obiettivi (alle quali può essere ricondotta la compartecipazione nell’impresa) sono molteplici. La funzionalità dell’organizzazione (e quindi anche dell’impresa) è strettamente connessa alla tipologia e all’ampiezza del coinvolgimento positivo sugli obiettivi, riferito ai soggetti che operano nell’organizzazione stessa.»

(Il sequestro come fatto sociale, p. 182)

Organizzazione e potere

«Il potere, così come viene esplicato dalla teoria degli interessi, può essere utilizzato nell’organizzazione per far sorgere un coinvolgimento positivo derivato (mediato). Anche in tale contesto, l’elemento fondante dell’organizzazione non è la scelta disgiuntiva posta al soggetto esterno fra il sacrificio di un interesse negativamente coinvolto con l’organizzazione (caratterizzata dalla forza sociale espressa dal coinvolgimento positivo primario) e il soddisfacimento di un interesse avente maggiore livello di intensità rispetto al primo, ma il coinvolgimento positivo derivato (mediato) fra questo secondo interesse e l’organizzazione.

Pertanto, l’organizzazione è data dalla complementarità reciproca delle sequenze strumentali implicata nel coinvolgimento positivo di interessi e come tale non deve essere confusa con lo scambio e tanto meno col potere. Tanto lo scambio, quanto il potere possono essere comunque utilizzati per integrare l’organizzazione, sulla base del coinvolgimento positivo derivato (mediato) implicato nella loro realizzazione.»

(Il concetto di organizzazione secondo il paradigma scientifico, p. 288)

Organizzazione burocratica

Con riferimento alle organizzazioni burocratiche «un primo problema concerne lo svolgimento di compiti stabili, connesso al fatto che la stabilità del ruolo è compatibile con alti o bassi livelli di discrezionalità nel suo esercizio. Un secondo e diverso problema è dato dalla routine (svolgimento di compiti ripetitivi), la quale determina la staticità dei ruoli dell’organizzazione (diversa dalla stabilità). Poiché il concetto di burocrazia si riferisce alla definizione normativa e analitica dei ruoli e delle scelte discrezionali ad essi eventualmente connesse (è questo il concetto di stabilità), possono darsi burocrazie statiche (con ruoli totalmente privi di discrezionalità) e burocrazie relativamente dinamiche (con ruoli caratterizzati da un insieme più o meno ampio di scelte discrezionali predefinite).»

(Il concetto di organizzazione secondo il paradigma scientifico, p. 285)

Precisazioni su coinvolgimento positivo immediato e coinvolgimento positivo mediato

«Riassumendo, la teoria degli interessi identifica un tipo di coinvolgimento negativo e due tipi di coinvolgimento positivo: (1) il coinvolgimento positivo immediato (diretto), che si ha quando gli interessi positivamente coinvolti sono stabilizzati nel campo di interessi di ciascun soggetto, a prescindere da qualsiasi relazione di scambio o potere; (2) il coinvolgimento positivo mediato (indiretto) ottenuto attraverso lo scambio o il potere, che sono le due specifiche interazioni sociali che rendono possibile superare situazioni di conflitto (coinvolgimento negativo di interessi).

Al livello logico, entrambe le tipologie di coinvolgimento positivo sono caratterizzate da due condizioni necessarie: la mutua implicazione degli interessi finali e la complementarità reciproca delle sequenze strumentali. La differenza fra le due forme di coinvolgimento positivo è data da una ulteriore condizione, che deve essere necessariamente soddisfatta nel caso del coinvolgimento positivo mediato (indiretto): almeno uno dei due soggetti (come già detto, il soggetto avente minore forza sociale nel caso del potere, entrambi i soggetti nel caso dello scambio) deve non solo realizzare la sequenza strumentale connessa all’interesse positivamente coinvolgo (in modo mediato), che è complementare alla sequenza dell’altro soggetto, ma deve anche sacrificare strumentalmente l’interesse con un livello di intensità più basso rispetto a quello positivamente coinvolto (in modo mediato). Ovverosia, almeno uno dei due soggetti deve realizzare una relazione di strumentalità sacrificio-soddisfacimento (scelta).» EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 347-348)

Scienza della organizzazione e tecnologie organizzative

L’utilizzo della teoria degli interessi quale paradigma scientifico di integrazione delle discipline comportamentali e sociali consente di sviluppare tecnologie organizzative che pongono al centro l’organismo umano come punto di riferimento basilare. Nell’ambito di questo paradigma, l’organizzazione è presa in considerazione come insieme di comportamenti caratterizzati dalla complementarità reciproca. Questa complementarità si esprime in un corrispondente insieme ordinato di ruoli e relazioni fra ruoli; nella definizione di gradi di discrezionalità dei ruoli compatibili con le esigenze organizzative di razionalizzazione, adattamento all’ambiente e capacità di innovazione; nella individuazione e eliminazione del deviamento nell’uso dei ruoli.

Le modalità organizzative vengono specificate con riferimento alla capacità di promuovere una cultura dell’organizzazione caratterizzata in termini di conformità meritocratica ai paradigmi di riferimento, razionalità operativa e innovatività; alla capacità di gestire i comportamenti interpersonali di cooperazione e conflitto, di scambio e di potere; alla capacità di gestire le asimmetrie dei ruoli in una logica di eliminazione del conflitto e di valorizzazione delle posizioni di leadership partecipativa. In questa prospettiva, le problematiche della gestione del capitale umano vengono riformulate in termini di definizione di contingenze di rinforzamento, singole e di gruppo, volte a promuovere comportamenti coerenti rispetto al perseguimento degli obiettivi della organizzazione e a disincentivare i comportamenti opportunistici. Particolare attenzione deve essere posta anche alle modalità di gestione dei processi di comunicazione con riferimento ai differenti usi del linguaggio e ai gradi di interiorizzazione degli obiettivi della organizzazione.

Un altro aspetto importante, che deve essere preso in considerazione in termini comportamentali e logico-metodologici, concerne la gestione dei processi decisionali (individuali e di gruppo). Tali processi dovrebbero essere fondati su un inquadramento delle problematiche concrete entro schemi di riferimento scientifici; sulla individuazione e tendenziale eliminazione di fallacie logiche, di comportamenti irrazionali e emotivi, di pregiudizi e distorsioni, di percezioni e valutazioni soggettive non conformi alle evidenze disponibili e al calcolo razionale. In sintesi, sul depotenziamento delle opinioni individuali che possano andare a discapito di criteri di intersoggettività.

Tipologie di organizzazione

«Il carcere, per quanto riguarda i ruoli dei carcerati, è la tipica forma di organizzazione fondata sul potere. I carcerati si adeguano ai ruoli che l’organizzazione carceraria determina (incompatibili per definizione coi ruoli occupati dai carcerati nella società esterna), in quanto il potere li pone di fronte a una scelta disgiuntiva fra l’interesse a commettere ulteriori reati all’interno del carcere (negativamente coinvolto con l’interesse pubblico e avente minore livello di intensità) e l’interesse a reinserirsi comunque nella società civile (positivamente coinvolto in modo derivato o mediato con l’interesse pubblico e avente maggiore livello di intensità). Lo schema del potere, così come viene esplicato nella teoria degli interessi, fornisce una spiegazione razionale dei comportamenti dei carcerati, prescindendo totalmente dal ricorso al concetto di forza fisica del senso comune. L’organizzazione carceraria, cioè la stretta complementarità fra tutti i ruoli e i comportamenti (strumentali) dei carcerati, non è fondata sulla costrizione fisica, ma (come in tutte le organizzazioni) sul coinvolgimento positivo, che in questo caso è derivato (mediato) dal potere.»

(Il concetto di organizzazione secondo il paradigma scientifico, p. 273)


«L’impresa, per quanto riguarda i ruoli dei lavoratori dipendenti, è la tipica forma di organizzazione fondata sullo scambio. Lo schema dello scambio, così come viene esplicato nella teoria degli interessi, fornisce una spiegazione razionale del comportamento del lavoratore e dell’imprenditore. Con riferimento al lavoratore può dirsi che egli sacrifica l’interesse alla disponibilità completa del proprio tempo e delle proprie risorse fisiche e intellettuali (avente minore livello di intensità) per ottenere il soddisfacimento dell’interesse all’acquisizione del salario (avente maggiore livello di intensità); con riferimento all’imprenditore può dirsi che egli sacrifica l’interesse alla disponibilità completa delle proprie risorse monetarie (avente minore livello di intensità) per ottenere il soddisfacimento dell’interesse all’inserimento del fattore lavoro nella combinazione produttiva (avente maggiore livello di intensità). Anche la relazione di scambio implica un coinvolgimento positivo derivato (mediato) tra i due interessi del lavoratore e dell’imprenditore che vengono soddisfatti (in quanto hanno maggiore livello di intensità rispetto agli altri due interessi sacrificati). È proprio questo coinvolgimento positivo derivato (mediato) dallo scambio che esprime la stretta complementarità reciproca fra tutti i ruoli e i comportamenti (strumentali) dei lavoratori dell’organizzazione imprenditoriale.»

(Il concetto di organizzazione secondo il paradigma scientifico, p. 274)


«La religione, per quanto riguarda i ruoli di tutti i soggetti che professano una stessa fede, è la tipica forma di organizzazione fondata sul coinvolgimento positivo primario di interessi, che esclude in linea di principio qualsiasi relazione di scambio o di potere tra i credenti. Questo significa che, all’interno dell’organizzazione religiosa, la stretta complementarità reciproca fra tutti i ruoli e tutti i comportamenti (strumentali) dei fedeli è espressione diretta del coinvolgimento positivo primario di interessi, cioè si ricollega esclusivamente a questa fondamentale tipologia di interazione (l’altra è il coinvolgimento negativo di interessi). Il coinvolgimento positivo primario caratterizza in linea di principio tutte le organizzazioni che non siano fondate sullo scambio o sul potere; non solo quindi i gruppi religiosi, ma qualsiasi gruppo composto da soggetti che abbiano interiorizzato obiettivi comuni. In questo senso lo Stato, la famiglia, un gruppo amicale, una classe sociale, un partito politico, non si differenziano da un gruppo religioso, con riferimento alla tipologia più astratta di interazione sociale che li caratterizza.»

(Il concetto di organizzazione secondo il paradigma scientifico, p. 275)


«Lo Stato, per essere tale, deve esprimere un consenso generalizzato (coinvolgimento positivo primario) da parte dei cittadini riferito alla carta costituzionale; allo stesso modo un partito politico non può reggersi senza una forma di consenso generalizzato su determinati obiettivi politici, che possono essere anche di tipo ideologico; ciò che conta, anche in questo caso, non è l’ideologia (contrariamente al senso comune), ma il coinvolgimento positivo primario di interessi del gruppo politico, cioè l’interiorizzazione degli obiettivi comuni, a prescindere dalla loro connotazione ideologica. I gruppi politici (o gli Stati) possono estendere la loro base di accettazione mediante lo scambio o il potere; ma affinché tale estensione possa essere realizzata è necessario che preesista un coinvolgimento positivo primario.»

(Il concetto di organizzazione secondo il paradigma scientifico, p. 287)

Organizzazione e costi di transazione

«Uno specifico settore di studi organizzativi è sorto e si è consolidato nell’ambito dell’economia. […]

Il principale iniziatore di questo segmento di studio è H.A. Simon, per il quale la struttura dell’organizzazione è caratterizzata dall’equilibrio tra contributi e incentivi, in base al fatto che ogni soggetto (ogni membro e ogni gruppo di membri) dell’organizzazione è tale (cioè permane nell’organizzazione) in quanto riceve dalla stessa incentivi in cambio di propri contributi. Questo postulato iniziale implica che “ogni membro (e ogni gruppo di membri) continuerà a partecipare a una organizzazione finché gli incentivi offertigli saranno pari o maggiori rispetto ai contributi che gli vengono richiesti”.

Tradotto in termini di teoria degli interessi questo significa che un soggetto partecipa all’organizzazione solo se il livello di intensità del suo interesse (finale) soddisfatto dall’organizzazione (incentivo, benefici) è maggiore del livello di intensità dell’interesse sacrificato per stare nell’organizzazione (contributo, costo). La teoria degli interessi consente pertanto di esplicare in modo formalmente preciso questa situazione in termini di scambio.

L’inadeguatezza della descrizione di Simon è però resa evidente dal fatto che resta fuori dall’equilibrio fra contributi e incentivi proprio il concetto di organizzazione; a quanto pare, esso viene assunto come predicato primitivo indefinito. Ciò accade anche con riferimento al concetto di gruppo, che Simon utilizza impropriamente nella sua definizione del concetto di organizzazione, non avvertendo che il gruppo è esso stesso un’organizzazione.

Un’altra prospettiva, per molti versi analoga alla precedente, che tenta di inquadrare in termini economici la logica organizzativa, è quella ipotizzata da R.H. Coase e particolarmente approfondita da O. Williamson, la quale considera l’organizzazione (in un senso molto generale che ricomprende diverse varianti) in funzione della riduzione dei costi di transazione.

Mentre l’ipotesi di Simon tenta di rendere esplicito il sistema degli scambi all’interno dell’organizzazione, la teoria di Williamson inquadra il problema dell’organizzazione entro il più generale problema dello scambio di mercato e dei costi di transazione che caratterizzerebbero quest’ultimo sul piano teorico più astratto. Dire però che le organizzazioni sono più efficienti del mercato con riferimento alle transazioni complesse e incerte, nel senso che tali transazioni avrebbero costi più bassi ricorrendo all’organizzazione piuttosto che al mercato, non significa definire e tanto meno esplicare il concetto di organizzazione, che viene preso in considerazione, anche in questo caso, come un predicato primitivo indefinito.

Se si studia l’organizzazione con riferimento al paradigma della massimizzazione dei risultati o minimizzazione dei costi (l’efficienza dell’organizzazione), le analisi debbono essere necessariamente circoscritte alle problematiche dello scambio di mercato. Ma il tentativo di spiegare il concetto di organizzazione utilizzando solo il predicato dello scambio presuppone che quest’ultimo sia l’unica relazione che caratterizzerebbe, senza eccezioni, tutte le interazioni sociali. In questa prospettiva non potrebbe, per definizione, esistere alcun insieme di comportamenti sociali non suscettibili di inclusione nel più generale insieme dei comportamenti di scambio.

L’analisi scientifica del comportamento, e su un piano più astratto la teoria degli interessi, mostrano al contrario che l’approccio alle problematiche organizzative è molto più articolato e consente di individuare e superare gli errori, le contraddizioni e i punti di vista parziali della ricerca corrente.»

(Il concetto di organizzazione secondo il paradigma scientifico, pp. 286-287)

Cooperazione (e il concetto di impresa) nell'analisi economica

«Non è possibile definire la cooperazione utilizzando lo schema di riferimento dello scambio, come invece una linea di approfondimento dell’analisi economica pretende di fare (Buchanan 1964). Secondo la logica dello scambio, la cooperazione dovrebbe emergere quando i benefici attesi con riferimento al raggiungimento di un dato obiettivo sociale (che non può essere ottenuto in modo diretto dai singoli soggetti nell’ambito del mercato, per la mancanza di sufficienti incentivi) sono maggiori dei costi connessi a una qualche forma di “adattamento” a una “cooperazione volontaria” tra diversi soggetti. In questa prospettiva, la “cooperazione volontaria” è considerata come una tipologia di interazione sociale (nella quale può essere inclusa anche l’impresa, in quanto organizzazione) volta al soddisfacimento di quegli interessi che non ottengono incentivi dal mercato, attraverso una molteplicità di scambi (tra soggetti che cooperano per il soddisfacimento di quello che dovrebbe essere un interesse comune) che realizzano una situazione di equilibrio, ottimizzando le posizioni di cooperazione dei singoli soggetti. La teoria degli interessi fa emergere l’inconsistenza delle argomentazioni di Buchanan. Egli confonde la cooperazione con lo scambio quando afferma che, da un lato, la cooperazione è volta al soddisfacimento degli interessi (comuni) che non ottengono incentivi dal mercato e che, dall’altro lato, questo soddisfacimento dovrebbe aver luogo attraverso una molteplicità di scambi tra i soggetti che cooperano. È vero che gli interessi soddisfatti attraverso la cooperazione non ottengono incentivi nel mercato; questa situazione è esplicata nell’ambito della teoria degli interessi dal concetto di “coinvolgimento positivo”. Tuttavia, è contraddittorio affermare che la cooperazioni dovrebbe sempre realizzarsi nella forma di una molteplicità di scambi, in quanto la cooperazione e lo scambio sono due tipi differenti di comportamento sociale (che appartengono a due insiemi disgiunti). Buchanan e diversi altri economisti che hanno rivolto la loro attenzione a questo problema, come R.H. Coase, M. Olson, K.J. Arrow, H.A. Simon, non si sono accorti che la definizione della cooperazione (e dell’organizzazione) formulata facendo ricorso allo scambio può essere riferita solo al coinvolgimento positivo mediato (indiretto) e non anche al coinvolgimento positivo immediato (diretto).

Poiché lo scambio comporta un coinvolgimento positivo mediato e può riguardare qualsiasi tipo di interesse (o, in termini economici, qualsiasi tipo di servizio), è possibile che l’interesse a non sostenere i costi della cooperazione possa essere sacrificato per ottenere i benefici (attesi) della cooperazione. Questa situazione corrisponde al caso di un interesse (avente minore intensità) sacrificato per soddisfare un altro interesse (avente maggiore intensità), come avviene nello scambio (e anche nel potere). Perciò la cooperazione non può essere spiegata dallo scambio, anche se può essere derivata dallo scambio nella forma di coinvolgimento positivo mediato (indiretto). La differenza fra questi concetti è fondata sulle relazioni primitive date dal coinvolgimento positivo immediato (diretto) e dal coinvolgimento negativo. […] Non possiamo assumere solo una di queste relazioni primitive per spiegare tutti i comportamenti sociali. Ma questo è quello che fanno gli economisti.»EN

(A new paradigm for the integration of the social sciences, pp. 352-353)

Strutture sociali

«La modificazione degli obiettivi del sistema costituisce il fenomeno centrale in cui si manifesta con particolare evidenza la distinzione tra società collettivistica e società atomistica o pluralistica. La differenza tra i due tipi di società non dipende dalla presenza o dall’assenza di interrelazione congiunta; ma dal fatto che nel primo tipo la interrelazione congiunta concerne tutti gli interessi di tutti i soggetti, mentre nel secondo tipo concerne solo un insieme limitato di interessi di tutti i soggetti. Esiste pertanto in questo secondo tipo di società un insieme di interessi interrelati e congiunti appartenenti a tutti i soggetti, che delimita la sfera dei comportamenti istituzionalizzati entro il sistema; ed esiste inoltre un insieme di interessi che possono essere interrelati in modo congiunto o disgiunto, ma con riferimento ai quali non può mai aversi una interrelazione congiunta tra tutti i soggetti. Questo secondo insieme di interessi individua lo spazio sociale pre-istituzionale.

Lo spazio sociale pre-istituzionale ha la massima ampiezza nei sistemi di tipo atomistico o pluralistico, mentre è per definizione nullo nei sistemi collettivistici.»

(Processo d’apprendimento e strutture ideologiche, p. 6)

Sistema culturale

«Se il sistema culturale costituisce un elemento che deve essere preso in considerazione nell’ambito della scienza sociale, deve essere possibile esplicarlo utilizzando i predicati fondamentali che stanno alla base di questa scienza. E se assumiamo l’interesse come predicato fondamentale vediamo come il così detto sistema culturale altro non è che un insieme di interessi interrelati.»

(Il problema del metodo nella sociologia, p.34)

«I modelli esplicativi astratti che vengono utilizzati nella presente ricerca (il coinvolgimento positivo e negativo di interessi, lo scambio, il potere) esprimono una prospettiva strutturale, cioè definiscono funzioni, variabili dipendenti e indipendenti, parametri, privi (con riferimento all’ambito esplicativo in cui sono inseriti) di significato evolutivo

«Lo studio di una cultura secondo un paradigma dinamico presuppone un modello esplicativo di tipo strutturale. Con riferimento a tale modello, l’analisi dinamica individua le sequenze operative specifiche di una cultura, in una logica di modificazione intertemporale; in modo tale da poter evidenziare, ove esistano, con riferimento alle variabili e ai parametri del modello, anche le corrispondenti modificazioni significative e inoltre le eventuali modificazioni delle funzioni che le collegano, entro intervalli temporali definiti. La modificazione delle funzioni esprime infatti la dinamica evolutiva, così come la modificazione delle variabili indipendenti e dipendenti (e dei parametri), data la funzione che le collega, esprime la dinamica strutturale

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 106-107, 113)

Pluralismo e spazio sociale pre-istituzionale

«Dal punto di vista del cambiamento le società pluralistiche presentano un alto grado di dinamismo, cioè una elevata possibilità di modificazione dei fini sociali istituzionalizzati. Il mutamento è infatti originato da un conflitto tra interessi istituzionalizzati e interessi non istituzionalizzati interiorizzati dal soggetto; cioè dal fatto che la interiorizzazione di alcuni o di numerosi interessi istituzionalizzati non è avvenuta. Si parla in questo caso di deviamento del soggetto dalle norme del sistema.

Il soggetto deviante si trova di fronte a due possibili alternative: egli può non soddisfare il suo interesse non compatibile con gli interessi istituzionalizzati del sistema (in questo caso si comporta come deviante potenziale); oppure può soddisfare l’interesse non compatibile col sistema ponendosi contro quest’ultimo (in questo caso si comporta come deviante attuale).

L’ipotesi del deviamento potenziale presenta configurazioni diverse a seconda che esso si manifesti in un sistema collettivistico o in un sistema pluralistico. Nel sistema pluralistico l’interesse deviante del soggetto può essere soddisfatto in modo indiretto nell’ambito dello spazio sociale pre-istituzionale entro cui il soggetto può agire tentando di modificare le strutture del sistema. Il regime democratico costituisce un esempio di istituzionalizzazione del mutamento che consente agli interessi in conflitto con quelli istituzionalizzati di esprimersi, nell’ambito del pre-istituzionale, al fine di una modificazione del sistema.

Se i soggetti hanno interessi in conflitto con gli interessi istituzionalizzati, essi possono operare per soddisfare indirettamente questi interessi, nell’ambito del pre-istituzionale, utilizzando i vari mezzi di comunicazione e di pressione consentiti dal sistema democratico, al fine di pervenire a una modificazione delle strutture istituzionalizzate. I soggetti agiscono in tal modo come devianti potenziali, cioè agiscono per la modificazione delle strutture istituzionalizzate senza porsi direttamente contro tali strutture; se così facessero essi diventerebbero devianti attuali e come tali verrebbero puniti dal sistema.»

(Processo d’apprendimento e strutture ideologiche, pp. 6-7)

Potere istituzionale e potere deviante

«Il potere può assumere due fondamentali caratterizzazioni: quella di potere istituzionale e quella di potere deviante. […] La funzione del potere istituzionale si manifesta come una attuazione dei valori tipici dell’intero gruppo sociale cui il potere si riferisce; mentre la funzione del potere deviante si presenta come creazione di valori sociali nuovi rispetto a quelli istituzionalizzati nel sistema. L’emergenza di valori diversi da quelli istituzionalizzati, entro un dato contesto sociale, è possibile per il fatto che il potere deviante opera nello spazio sociale pre-istituzionale; in tal senso il potere deviante non deve essere confuso col potere istituzionale utilizzato per fini diversi da quelli che lo legittimano entro il sistema (potere sviato o distorto, eccesso o abuso di potere). Esiste, pertanto, entro il sistema sociale, una sfera di comportamenti esclusa dall’ambito del potere istituzionale, che può essere limitata restringendo lo spazio sociale pre-istituzionale. L’ampliamento della sfera del potere istituzionale non può trovare la propria giustificazione nell’ambito dello stesso potere istituzionale, ma deve essere necessariamente ottenuto operando nella sfera sociale del pre-istituzionale, in relazione all’emergenza di nuovi valori risultanti dalle interazioni in termini di potere deviante tra gruppi antagonistici.

Poiché ogni gruppo sociale è necessariamente costretto a bilanciare il potere deviante posto in essere da gruppi antagonistici con un potere deviante operante in senso contrario, la contrapposizione tra i due tipi di potere deviante, volti al mutamento o alla permanenza delle strutture istituzionali, tende in ultima analisi a ampliare o restringere la base sociale di accettazione su cui si fonda il potere istituzionale, cioè la forza sociale dello stesso.»

(Potere e strutture sociali, p. 28)

Potere deviante e discrezionalità inerente ai ruoli

«Il deviamento potenziale trova la possibilità di attuarsi nell’ambito degli status ruoli istituzionalizzati, mediante una utilizzazione di questi status-ruoli in modo disfunzionale rispetto agli interessi che li caratterizzano. Ciò può avvenire in quanto le funzioni sociali connesse ai singoli status-ruoli presentano normalmente un ambito di discrezionalità, consistente nel fatto che le circostanze in presenza delle quali debbono essere realizzati i comportamenti strumentali, in cui si specificano le funzioni connesse agli status-ruoli, non sono esattamente definite; nel caso in cui non lo siano compete al titolare dello status-ruolo stabilire se e in che misura esse sussistano. E nel far questo il soggetto può conformarsi a interessi comuni istituzionalizzati; ovvero può conformarsi a interessi devianti (cioè negativamente coinvolti con quelli istituzionalizzati), rendendo compatibili le funzioni dello status-ruolo con gli interessi alla modificazione delle strutture del sistema, che caratterizzano la sua posizione di deviante potenziale.

In questo caso il deviamento potenziale si traduce in un esercizio deviante delle funzioni connesse agli status-ruoli discrezionali (funzione deviante o potere deviante), volto a soddisfare indirettamente gli interessi negativamente coinvolti con quelli istituzionalizzati, mediante una utilizzazione degli status-ruoli istituzionalizzati in modo non conforme agli interessi istituzionalizzati del gruppo che ha la base di legittimazione più ampia.

La modificazione delle strutture si attua pertanto mediante un conflitto latente tra un gruppo di soggetti che dispongono della base di legittimazione più ampia espressa nelle strutture istituzionalizzate (e che quindi agiscono in funzione della permanenza del sistema) e un gruppo di soggetti che occupano anch’essi status-ruoli istituzionalizzati, ma sono devianti potenziali entro il sistema e utilizzano gli status ruoli che occupano ai fini di una modificazione delle strutture del sistema.»

(Processo d’apprendimento e strutture ideologiche, pp. 8-9)

Classi sociali

Le classi sociali sono caratterizzate strutturalmente da una interrelazione congiunta fondata su interessi comuni positivamente coinvolti, mentre la loro azione si svolge in termini di antagonismo (interrelazione disgiunta fondata su interessi negativamente coinvolti). In un sistema pluralistico, un insieme di interazioni sociali stabili e organizzate in cui la dinamica sociale è istituzionalizzata, l’antagonismo tra classi sociali si traduce nella relazione di potere, e quindi al di fuori della mera forza fisica; in particolare, nella azione che si esprime in termini di potere deviante, esplicata dalla classe nel suo insieme nei confronti di una classe contrapposta. In tal modo, il potere deviante si pone come un elemento della classe sociale solo in relazione all’azione di quest’ultima nell’ambito di un sistema di interazioni stabilmente organizzate, ed è diretto a porre le basi di un nuovo sistema stabile di interazioni, cioè a creare una comunione mediata di interessi (coinvolgimento positivo mediato) tendente a soppiantare la comunione istituzionalizzata propria del sistema sociale in cui la classe opera.

«La classe sociale non opera nell’ambito di società in cui i valori istituzionali siano totalmente interiorizzati; in tal caso, infatti, non potrebbe postularsi alcun interesse al mutamento delle strutture e, tanto meno, all’acceleramento o al rallentamento della dinamica sociale. […] Questo fatto è stato interpretato nel senso che l’azione delle classi dovrebbe necessariamente esplicarsi in termini di lotta, anziché in termini di collaborazione o di integrazione. Se è vero, infatti, che l’interesse alla modificazione delle strutture postula un contrastante interesse alla loro permanenza, deve concludersi che le classi sono, in principio, contrapposte. Ma quale è la natura e quali sono i limiti di tale contrapposizione? […] Quale potrà essere il campo di esplicazione di questo antagonismo?

L’antagonismo non può porsi se non entro un insieme di rapporti sociali in qualche modo integrati (organizzati). Un antagonismo tra due gruppi, totalmente distinti e non sottoposti a alcun rapporto di integrazione, non può essere qualificato in termini di classe sociale o di relazioni antagonistiche tra classi sociali; per lo meno se – stando alle caratterizzazioni date – si limita il momento del conflitto in senso proprio a una azione che si esplichi al di fuori di un sistema organizzato e, come tale, fondi la propria dinamica sulla mera forza fisica. È necessario, pertanto, che l’antagonismo poggi su una matrice strutturale che rispecchi un insieme di rapporti coordinati e integrati tra i membri di un sistema sociale.»

(Teoria delle classi sociali, cfr. p. 154; pp. 157-158)

Democrazia

«Parlando del potere deviante, abbiamo visto come lo stesso costituisca il mezzo fondamentale tramite il quale si attua la azione di una classe entro una struttura sociale istituzionalizzata. Ora, in che senso si svolge, nell’ambito di una società istituzionalizzata, la dinamica dell’acceleramento o del rallentamento tipica del potere deviante? Quest’ultimo opera, ove sia fatto proprio da una classe, in funzione della modificazione delle strutture del sistema, e allo stesso si contrappone un potere deviante posto in essere dalla classe antagonista. In una società di questo tipo, i mutamenti delle strutture del sistema, determinati dal potere deviante e quindi fondati sulla forza sociale connessa al medesimo e non sulla mera forza fisica, dovranno necessariamente avvenire in modo discontinuo entro la sfera del pre-istituzionale.

Se è vero infatti che il potere deviante opera nell’ambito del pre-istituzionale, non bisogna dimenticare che lo stesso potere deviante si realizza sempre non contro il sistema ma in vista di un acceleramento o di un rallentamento della dinamica dello stesso sistema. Ma il mutamento discontinuo delle strutture, inteso come obiettivo collegato alla utilizzazione del potere deviante da parte di una classe, rappresenta un momento intrinsecamente connesso alla dinamica del potere? Una risposta negativa a questo problema comporta la assunzione del metodo democratico quale fattore mediante cui si attua una istituzionalizzazione di alcuni processi o aspetti dell’antagonismo di classe.

La importanza della democrazia, ai fini della dinamica sociale, risulta in tal modo connessa al fatto che la democrazia consente di istituzionalizzare una certa sfera di esplicazione del potere deviante, non già nel senso di tradurre quest’ultimo da potere deviante in potere istituzionale, ma nel senso di commisurare o comparare, a determinate scadenze, la forza sociale del potere deviante (teso all’acceleramento della dinamica del sistema), con la forza sociale del potere deviante contrapposto (volto al mantenimento del sistema); e quindi, in ultima analisi, nel senso di commisurare o comparare il potere istituzionale connesso alle strutture del sistema con il potere deviante volto alla modificazione di queste strutture.»

(Teoria delle classi sociali, pp. 218-219)

Rappresentanza politica

«L’istituto della rappresentanza politica risulta un fenomeno complesso alla cui costituzione concorrono tre distinti e autonomi fattori che, nell’ambito di una data organizzazione sociale, potrebbero sussistere anche singolarmente e che solo lo sviluppo storico dell’istituto e le circostanza varie che lo hanno determinato hanno contribuito a tenere uniti, rendendone difficile la individuazione. Tali fattori sono: (1) l’operazione di sondaggio degli interessi comuni effettuata in modo diretto; (2) la valutazione della capacità e attitudine, alle funzioni che dovranno esercitare, degli individui facenti parte del corpo rappresentativo, e la effettiva scelta di costoro da parte dell’elettorato; (3) la qualificazione politica del corpo rappresentativo, mediante la rappresentanza, da parte di quest’ultimo, degli interessi delle classi sociali che compongono la collettività.

Prescindendo dalla analisi della qualificazione giuridica dell’istituto in esame e limitandone la considerazione all’aspetto meramente sociologico, le considerazioni sopra svolte ci portano a ribadire il concetto secondo cui la volontà popolare si risolve in realtà nella pura e semplice manifestazione di una serie di interessi finali, non già in un giudizio di adeguamento degli interessi strumentali (mezzi) agli interessi finali.

Sulla base di tali considerazioni appare confermato che la attività dell’elettore non interviene nel processo di soddisfacimento degli interessi finali, specie ove si tenga presente che la valutazione della capacità e attitudine dei membri del corpo rappresentativo è un fenomeno autonomamente isolabile nell’ambito dell’istituto della rappresentanza politica e non ne condiziona in alcun modo la struttura. L’elettorato, pertanto, interviene direttamente soltanto in vista del soddisfacimento di una circostanza non essenziale in relazione al principale interesse da soddisfare; circostanza che però ha la sua importanza, poiché si ricollega a quella esigenza, generale e accessoria a ogni altra, a che i mezzi che si pongono in essere posseggano il grado massimo di funzionalità in relazione ai fini che dovranno soddisfare.»

(Teoria delle classi sociali, pp. 211-212)

Libertà negativa e libertà positiva

«Se ora riconsideriamo […] i concetti di “libertà” cui si riferisce la dottrina classica sulla democrazia, cioè la “libertà negativa” (libertà dallo stato o garantismo) e la “libertà positiva” (libertà per mezzo dello stato), vediamo subito come il primo concetto possa tradursi in quello di libertà come sfera di possibili azioni di potere, mentre il secondo debba riportarsi alla libertà come adeguamento degli interessi comuni agli interessi dei singoli. Può dirsi, cioè, che il garantismo o libertà dallo stato è tanto maggiore, quanto minore è l’incidenza del potere istituzionale nei confronti del potere deviante, cioè quanto più ampio è l’ambito di realizzazione di quest’ultimo entro un dato contesto sociale; la sfera delle possibilità del potere deviante, appartenente a un soggetto, commisura il suo grado di libertà dallo stato, cioè il grado della ingerenza di quest’ultimo, in termini di potere istituzionale, nei confronti del comportamento del singolo.

Anche tra libertà per mezzo dello stato e libertà come adeguamento degli interessi comuni agli interessi individuali esiste uno specifico rapporto; per cui, tanto maggiore è la libertà positiva, quanto più grande è il grado di adeguamento degli interessi comuni agli interessi dei singoli.»

(Teoria delle classi sociali, p. 217)

Norma giuridica e etica sociale

«Il diritto recepisce (codifica) il senso comune o meglio quelle parti del senso comune che esprimono un’etica sociale, un giudizio di valore positivo o negativo su comportamenti che producono effetti sociali, in quanto determinano reazioni (di accettazione o di rifiuto) da parte di altri soggetti (realizzando interazioni sociali).

L’etica sociale quando è controllata da un sistema sanzionatorio interpersonale, condiviso in modo primarioderivato (mediato), diventa norma giuridica; quest’ultima acquisisce un carattere impositivo generalizzato solo quando viene assunta come propria dallo stato, cioè da un ordinamento giuridico che in linea di principio non può essere contrastato o negato da un altro ordinamento giuridico che sia esso stesso stato; in tal modo la norma viene istituzionalizzata.

La caratteristica basilare della norma giuridica non è la sua istituzionalizzazione, ma la sua legittimazione da parte di una struttura organizzata alla quale la totalità dei soggetti appartenenti a un gruppo sociale culturalmente definito delega, con maggiori o minori garanzie (o addirittura senza garanzie), specifiche attribuzioni concernenti i rapporti interpersonali nei quali tutti i soggetti in linea di principio sono coinvolti; questi rapporti interpersonali sono detti altrimenti interessi collettivi. Possono aversi quindi norme giuridiche di tipo non statuale. Tutte le norme, siano esse istituzionalizzate (garantite dallo stato) o non istituzionalizzate (garantite da un gruppo non statuale), hanno dunque, necessariamente, un fondamento sociale, una legittimazione che può coinvolgere tutta la collettività o parte di essa (il gruppo sociale più o meno circoscritto che sostiene la élite del potere).»

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 8-10)

Dinamica sociale e deviamento

«Tanto la dinamica sociale evolutiva (cioè la dinamica storica) quanto la dinamica sociale strutturale si sviluppano, nello spazio sociale pre-istituzionale, mediante continui ampliamentiriduzioni dei gruppi di soggetti che riconoscono i propri interessi nell’uno o nell’altro dei due insiemi di interessi positivamente coinvolti: gli interessi istituzionalizzati e gli interessi contrapposti, potenzialmente devianti.

Se (a) il coinvolgimento positivo si realizza con riferimento a interessi devianti che hanno alto livello di intensità […], se (b) gli interessi istituzionalizzati definiti dall’élite del potere non si modificano conformemente alle istanze sociali che emergono dal pre-istituzionale, se (c) gli interessi devianti hanno una base di accettazione tendenzialmente ampia o molto ampia, allora può darsi che il deviamento potenziale superi i confini del pre-istituzionale e si trasformi in deviamento attuale dando luogo a comportamenti in aperto conflitto con gli interessi istituzionalizzati. In tal caso il potere sanzionatorio istituzionalizzato non è più efficace nei confronti degli interessi devianti

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 56-57)

Deviamento singolo e deviamento sociale

«Il deviamento (sia esso un fatto sociale o non lo sia) implica sempre il riferimento a un gruppo più vasto, normalmente istituzionalizzato. Tuttavia la caratterizzazione del deviamento come fatto sociale (deviamento sociale) non si riferisce alla implicita presenza della organizzazione istituzionalizzata (che sanziona appunto il deviamento), ma si riferisce alla esistenza nel contesto sociale istituzionalizzato di sub-gruppi più o meno ampi di soggetti (sub-culture) che operano in modo potenziale a favore del deviamento e conseguentemente contro gli interessi istituzionalizzati

«È singolo il deviamento (sia esso individuale o di gruppo) che non genera e non esprime sub-culture di sostegno; dire quindi che il deviamento è singolo significa che nei confronti dell’ordinamento istituzionalizzato il deviamento stesso non si configura come fatto sociale. Il deviamento (sia esso individuale o di gruppo) è sociale quando genera o esprime sub-culture di sostegno o sub-culture di sostegno e sub-culture di contrapposizione. Se il deviamento genera o esprime solo sub-culture di contrapposizione non è un deviamento sociale e non è neppure un fatto sociale, quantunque determini il sorgere di movimenti collettivi, cioè di fatti sociali che senza il deviamento non esisterebbero. Tanto il deviamento singolo, quanto il deviamento sociale possono essere attuali o potenziali

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 31, 143)

Paradigma normativo-punitivo

«Nei sistemi pluralistici le norme potenzialmente incompatibili con quelle istituzionalizzate possono esprimersi sul piano politico, in quanto la dinamica sociale è essa stessa istituzionalizzata e opera nello spazio sociale pre-istituzionale.

Quando una cultura sub-statuale potenzialmente deviante varca i confini dello spazio sociale pre-istituzionale per realizzare un deviamento attuale, essa ha un livello di accettazione sociale molto elevato; in tal caso il gruppo sociale da cui è espressa non è disposto a sacrificare gli interessi positivamente coinvolti che lo caratterizzano (e che fondano il proprio sistema normativo) a favore della cultura statuale e delle corrispondenti norme istituzionalizzate.

Di solito i fatti sociali di questo tipo vengono sottovalutati dalla cultura statuale egemone, la quale tende a minimizzare il deviamento considerandolo sempre alla stregua di un deviamento singolo, mediante una interpretazione restrittiva conforme al paradigma normativo-punitivo. Questo è un errore, originato dalla spiegazione dei fatti sociali in termini di senso comune

(Il sequestro come fatto sociale, p. 11)

Fatti sociali

«I fatti sociali devono essere definiti con riferimento alle relazioni tra ordinamento giuridico istituzionalizzato e ordinamento sociale; ciò posto occorre tener presente che i due ordinamenti possono essere tra loro compatibili o non esserlo.

In entrambi i casi può darsi che si abbiano gradi differenti di compatibilità (o incompatibilità), i quali determinano la misura della cooperazione (coinvolgimento positivo) o del conflitto (coinvolgimento negativo) esistente tra i due ordinamenti; la compatibilità e la incompatibilità devono essere ovviamente definite utilizzando concetti (termini) appartenenti al linguaggio della sociologia scientifica e non concetti del senso comune

«Il grado di compatibilità di un ordinamento sociale rispetto a un altro ordinamento sociale può essere definito come la relazione esistente tra due gruppi sociali (tra due culture), tale che l’insieme degli interessi appartenenti ai soggetti del primo gruppo sia positivamente o negativamente coinvolto, in tutto o in parte, con l’insieme degli interessi appartenenti ai soggetti del secondo gruppo.»

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 30, 141)

Le società di tipo collettivistico

«In una società in cui tutti gli interessi dei soggetti siano interrelati in modo congiunto, la realizzazione dei fini sociali impone la creazione di una organizzazione sociale nella quale ciascun soggetto abbia solo un insieme di status-ruoli funzionali rispetto al sistema. Avendo i soggetti in comune tutti gli interessi, nessuno escluso, non possono aversi entro il sistema status-ruoli che non siano istituzionalizzati; ogni possibile situazione sociale di ciascun soggetto deve essere per definizione compatibile con ciascun’altra situazione sociale di ogni altro soggetto, cioè a tutte le possibili situazioni sociali dei soggetti devono corrispondere funzioni volte al perseguimento dei fini comuni. Se ciò non avviene, o nella misura in cui ciò non avviene, l’organizzazione diventa disfunzionale e il conseguimento dei fini comuni viene ostacolato o differito. […]

Le società collettivistiche tendono pertanto a limitare al massimo l’insieme delle situazioni sociali riservate alla privata autonomia di singoli o di gruppi. In questi tipi di società si ha una tendenza a considerare tutte le possibili situazioni sociali o in termini funzionali o in termini disfunzionali rispetto al sistema. L’insieme dei comportamenti indifferenti rispetto al sistema viene quindi ristretto al massimo e i soggetti possono svolgere entro il sistema solo funzioni compatibili con i fini comuni. In breve, tutti i possibili status-ruoli dei soggetti entro il sistema debbono essere status-ruoli organizzativi tra loro compatibili e funzionali rispetto al sistema.

Le società di questo tipo tendono a essere società statiche, società, cioè, in cui gli interessi dei soggetti hanno un alto grado di permanenza. Se così non fosse il sistema non potrebbe reggersi; l’organizzazione presuppone infatti divisione del lavoro sociale, cioè specificità e determinatezza dei singoli status-ruoli. Ogni variazione negli interessi dei soggetti implica in queste società una modificazione dell’intero sistema, in quanto l’organizzazione postula che gli status-ruoli siano tutti tra loro compatibili e complementari.

Nella società collettivistica il mutamento sociale non può essere istituzionalizzato all’interno del sistema: la istituzionalizzazione del mutamento sociale presuppone infatti che nel sistema esista una interrelazione disgiunta di interessi, cioè un conflitto tra gli interessi comuni e congiunti istituzionalizzati e i contrastanti interessi comuni e congiunti di un gruppo di soggetti che operi per una modificazione delle strutture sociali.»

«Nel caso del sistema collettivistico non è possibile alcun soddisfacimento indiretto degli interessi del deviante potenziale, in quanto non esiste uno spazio sociale pre-istituzionale che il deviante potenziale possa usare per porre in essere comportamenti volti alla modificazione del sistema. Dobbiamo quindi concludere che in questo sistema è impossibile il mutamento sociale? La risposta è negativa. Anche nel sistema collettivistico gli interessi dei soggetti si modificano; tale modificazione può avvenire in due modi: (1) gli interessi di tutti i soggetti si modificano istantaneamente e nello stesso senso, per cui si passa senza soluzione di continuità da una struttura a un’altra fondata su interessi differenti; (2) il mutamento avviene mediante la dinamica del deviamento. […]

La seconda ipotesi si riferisce a società collettivistiche nelle quali il consenso sia fondato su interessi comuni di tipo ideologico; in tal caso il mutamento dà sempre luogo a un rapporto conflittuale, non essendo possibile utilizzare criteri intersoggettivi per stabilire la verità o la falsità dei giudizi di valore.»

«La società collettivistica in cui l’interrelazione congiunta tra gli interessi sia fondata su presupposti ideologici è anch’essa una società conflittuale. Ma a differenza della società pluralistica, la quale ammette un insieme di status-ruoli (non istituzionalizzati) concernenti interessi che possono anche essere interrelati in modo disgiunto con gli interessi istituzionalizzati (spazio sociale pre-istituzionale), nella società collettivistica di tipo ideologico, pur potendo esistere questo insieme di interessi interrelati in modo disgiunto, non esiste uno spazio sociale pre-istituzionale che i devianti potenziali possano utilizzare ai fini della modificazione del sistema.

Questo significa che dal punto di vista della eliminazione del conflitto nessun progresso viene realizzato dalle strutture sociali di tipo ideologico-collettivistico nelle quali la dinamica sociale si svolge mediante il potere deviante, rispetto alle strutture di tipo pluralistico nelle quali la dinamica si svolge anche nel pre-istituzionale.»

(Processo di apprendimento e strutture ideologiche, pp. 4-6, 7-8, 9-10)

Un caso di potere deviante: l’appropriazione-espropriazione di funzioni pubbliche come disfunzione del sistema pluralistico

Il passaggio dalla teoria del conflitto di classe (e quindi dell’egemonia di una classe) alla teoria del pluralismo è forse il dato più significativo cui è giunta l’analisi sui problemi politici e sociali. L’esigenza del pluralismo dipende dal fatto che, allo stato attuale, non esistono criteri che consentano di stabilire in modo intersoggettivo un ordine tra gli interessi delle varie classi o gruppi che competono per gestire il potere politico. L’unico criterio d’ordine finora accettato e istituzionalizzato è quello codificato nel metodo pluralistico, fondato sulla competizione tra gruppi che si esplica attraverso la proposta di innovazioni politiche e sociali sulle quali aggregare il consenso.

Il pluralismo non elimina il conflitto tra gruppi sociali e politici, ma lo istituzionalizza (lo rende compatibile col coinvolgimento positivo di interessi che definisce il sistema sociale) mediante la creazione di uno spazio sociale pre-istituzionale. Il riferimento alla coesistenza, in uno stesso contesto sociale, di più gruppi in competizione implica che nessun gruppo consideri i propri valori come egemoni rispetto a quelli degli altri gruppi; al contrario, ciascun gruppo riconosce nel princìpio di maggioranza l’unico strumento valido per stabilire una preminenza limitata e temporanea dei propri valori o progetti, fondata sul consenso che il gruppo riesce ad acquisire compatibilmente con le regole del gioco. In particolare, nel pluralismo il conflitto fra classi o gruppi viene regolato attraverso la istituzionalizzazione di tre limiti fondamentali alla gestione del potere: (a) un limite che impedisce alla minoranza di gestire direttamente le funzioni pubbliche (princìpio di maggioranza); (b) un limite temporale alla gestione del potere, e quindi delle funzioni pubbliche, da parte della maggioranza (alternanza dei gruppi in competizione nella gestione del potere); un limite alla cumulabilità nella gestione delle funzioni pubbliche, le quali debbono essere reciprocamente autonome (autonomia e non cumulabilità delle funzioni pubbliche istituzionalizzate).

Questa definizione di pluralismo sintetizza, su un piano di astrazione logica, le costanti che caratterizzano il tipo di sistema sociale al quale normalmente ci si riferisce quando si parla di “democrazia in senso occidentale”. Tale definizione differisce da quella formulata dal paradigma normale (accettato dai cultori delle discipline politiche) in termini di domanda e offerta politica, consistente sostanzialmente nell’applicazione al contesto politico della relazione di scambio (sulla scia della definizione di Schumpeter).

Il princìpio secondo cui le funzioni pubbliche devono essere reciprocamente autonome non è concretamente rispettato da alcuna democrazia parlamentare esistente. Il venir meno di questo principio dà luogo al fenomeno della appropriazione-espropriazione di funzioni pubbliche da parte di gruppi politici, gruppi economici, categorie sociali e gruppi di pressione. Non si fa qui riferimento solo alle tre funzioni classiche del costituzionalismo moderno, ma alla più ampia varietà di funzioni tipica di ogni sistema sociale, quali la funzione educativa, la funzione dell’informazione, la funzione sindacale, la funzione imprenditoriale, la funzione dello stato in economia, la funzione della ricerca scientifica. Ciò si traduce in una estensione anomala della sfera della funzione politica che investe altre sfere, le quali dovrebbero invece rimanere neutrali rispetto alla sfera della funzione politica. Questo fa sì che gli obiettivi perseguiti non siano quelli propri delle funzioni “espropriate”, ma piuttosto obiettivi connessi a un tentativo di rafforzamento improprio della funzione politica, cioè dei gruppi che gestiscono questa funzione.

Il fenomeno della appropriazione-espropriazione delle funzioni pubbliche da parte di gruppi politici, gruppi economici, categorie sociali e gruppi di pressione crea nel sistema uno stato di degradazione che culmina nel fenomeno più anomalo e disfunzionale rispetto al pluralismo: la cosiddetta “lottizzazione”, cioè l’accettazione della appropriazione-espropriazione di funzioni come metodo politico generalizzato. In questo modo la regola della maggioranza-minoranza viene meno, perché tutti i gruppi, comunque e quale che sia la maggioranza istituzionalizzata in modo formale, pretendono e ottengono di partecipare alla “lottizzazione”.

In questa situazione, il sistema pluralistico tende a trasformarsi in un sistema nel quale i gruppi sono orientati a regolamentare il conflitto non più utilizzando il metodo del pluralismo, coi limiti che ne conseguono, ma utilizzando un diverso metodo, che è quello degli equilibri fondati esclusivamente sullo scambio sociale. Il conflitto rimane, ma le parti politiche ricercano una ragione di coesistenza non nella innovazione sociale e politica, non nella progettualità competitiva ancorata alle regole del pluralismo, ma nello scambio, nella spartizione di funzioni espropriate alla collettività e gestite da singoli gruppi politici, nel reciproco e continuo condizionamento-ricatto. Lo scambio può essere realizzato in politica finché gli scambisti dispongono di risorse equivalenti; ma quando le risorse di uno degli scambisti sopravanzano di gran lunga quelle dell’altro, allora lo scambio si tramuta in puro potere. La via dello scambio ha come sbocchi, da un lato, l’equilibrio fondato sulla stagnazione culturale e sulla mancanza di innovazione e di progettualità; dall’altro lato, la rottura dell’equilibrio a favore di una delle parti e, quindi, l’affermarsi di una egemonia-dominio di un gruppo sugli altri gruppi.

(cfr. Definiamo il pluralismo, Egemonia o pluralismo?)

Modelli di organizzazione sociale: l'egualitarismo distributivo e il principio del contrappasso

«Tutti i modelli di organizzazione sociale, dalla società tribale alla società industriale avanzata, costituiscono altrettante risposte al basilare problema della distribuzione delle risorse scarse tra i membri di un gruppo e al conseguente problema della posizione che compete a ciascun individuo nel gruppo. […] La risposta non sempre è ottenuta mediante il ricorso al mercato, e neppure mediante il ricorso a politiche statuali ridistributive; bensì può essere ottenuta realizzando un tipo di sistema sociale fondato su un paradigma di riferimento (coinvolgimento positivo primario di interessi tra tutti i soggetti) nel quale l’unico valore socialmente condiviso è quello dell’egualitarismo distributivo delle risorse e l’unica attività sanzionatoria socialmente ammessa (legittimata) è quella realizzata da individui o gruppi non titolari di ruoli sanzionatori esplicitamente definiti, che presupporrebbero una organizzazione formale (anche di tipo statuale), ma di ruoli sanzionatori non definiti in modo esplicito, appartenenti a ciascun soggetto in grado di esercitarli nell’interesse collettivo.

Questo spiega perché i gruppi che compongono questo tipo di società, dalla famiglia agli aggregati più vasti, agiscono sempre per definizione come microstrutture autonome, tra loro potenzialmente in conflitto per l’acquisizione delle risorse scarse. E spiega anche perché dal conflitto (coinvolgimento negativo di interessi per l’acquisizione delle risorse e dei ruoli proprietari) non emergono mai né vincitori, né vinti. La faida costituisce l’estremo limite di un conflitto che si svolge sempre in una situazione di tendenziale equilibrio statico.

Il conflitto potenziale, derivante dalla scarsità delle risorse, è orientato primariamente al mantenimento dell’equilibrio statico che garantisce l’egualitarismo, tratto tipico di questa cultura. Tutti confliggono per acquisire o mantenere le risorse scarse, ma nessuno può impunemente accumulare più risorse di ciascun altro. Una forma di individualismo egualitario radicalmente diversa dall’individualismo di mercato, anch’esso conflittuale sul piano economico, ma non egualitario, in quanto riconosce l’accumulazione (tramite l’innovazione, la produzione e lo scambio) come sbocco naturale del conflitto; una accumulazione in teoria senza limiti, perché fondata sull’inserimento della dinamica tecnologica e organizzativa nel processo produttivo.

A questo stesso tipo di conflitto, derivante dalla scarsità delle risorse, le società antiche hanno risposto costruendo le grandi civiltà del passato, che in Europa si sono storicamente evolute nei due modelli dello stato pluralista (fondato sul mercato) e dello stato collettivista (fondato sulla pianificazione). […] Su quali basi culturali (antropologiche) si regge questa società, così anomala e diversa? Si regge su un principio minimo di organizzazione che regola e delimita il conflitto sociale con riferimento alla tutela di una specifica forma di equilibrio statico tra i ruoli proprietari ammessi nel sistema.

Qualsiasi acquisizione di risorse da parte di individui o di gruppi è legittima, sempre che non alteri il principio di tendenziale egualitarismo tra la quantità di risorse riconosciute a ciascuno. L’organizzazione, infatti, non regola le modalità di acquisizione delle risorse, ma valuta solo, secondo parametri tendenzialmente egualitaristici, il quantum di risorse acquisito o acquisibile.

Ogni violazione dell’equilibrio statico è collegata a una norma sanzionatoria socialmente condivisa, il principio del contrappasso, che consente a ciascun individuo o gruppo di entrare in conflitto aperto con altri (trasformando il conflitto sociale da potenziale in attuale).

Esistono pertanto due coinvolgimenti positivi primari: uno concernente l’egualitarismo dei ruoli proprietari; l’altro concernente la salvaguardia dell’equilibrio statico mediante il principio del contrappasso. Nel primo caso il coinvolgimento riguarda gli obiettivi del gruppo; nel secondo caso riguarda gli strumenti di controllo sociale, che dipendono dal modello di società interiorizzato (il quale considera la conformità alla norma come equilibrio statico e il deviamento come disequilibrio temporaneo da eliminare).

La società fondata sul principio del contrappasso nella sua forma più astratta, regola quindi tutti i rapporti tra i soggetti in termini di conformità o difformità (violazione) rispetto all’equilibrio statico, che si identifica nella tendenziale conservazione di un contesto sociale tradizionalmente definito. Qualsiasi alterazione di questo contesto, sia sul piano degli equilibri patrimoniali tra i soggetti, sia sul piano degli equilibri personali, deve essere ricomposta somministrando al soggetto che ha violato la norma una sanzione eguale e contraria alla violazione.

Pur esistendo molteplici violazioni (e molteplici corrispondenti sanzioni), la loro caratteristica generale è quella di essere tutte realizzabili entro una logica di ripristino che coinvolge sempre e in ogni caso un interesse collettivo, anche quando le sanzioni sono lasciate alla discrezionalità del soggetto il cui interesse è stato sacrificato dal deviamento.»

«Non tutte le società presentano forme di interazione sociale fondate sull’individualismo egualitaristico e forme di controllo sociale fondate sul principio del contrappasso.

La violazione della tendenziale eguaglianza di opportunità, da parte di una famiglia o di un gruppo, può essere infatti accettata dal sistema quando la generalità dei soggetti si integra in una forma più o meno vasta di organizzazione sociale che contiene l’idea di stato come diseguaglianza istituzionalizzata nella distribuzione dei ruoli sociali e, dal punto di vista economico, l’idea di mercato come diseguaglianza istituzionalizzata nell’accumulazione e nell’uso delle risorse.»

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 41-45; 49)

Deviamento e fatti sociali: le subculture di sostegno e le subculture di contrapposizione al deviamento

«Il deviamento è un fatto sociale non per via del numero dei devianti o della tipologia che lo caratterizza, ma perché sorgono (o esistono) nel contesto sociale gruppi di soggetti diversi dai devianti che esprimono sub-culture di sostegno nei confronti dei devianti. Tali gruppi, pur non realizzando deviamenti attuali (come quelli dei devianti), pongono in essere forme di potere deviante (usando i ruoli pubblici, di cui sono titolari, a favore dei devianti) o realizzano, più in generale, forme di deviamento potenziale rispetto al contesto istituzionalizzato di cui fanno parte (fondate su un coinvolgimento positivo primario). […]

Se il deviamento è generalizzato nel contesto sociale, esiste un coinvolgimento positivo tra gli interessi dei devianti e gli interessi di gruppi più o meno vasti e eterogenei; un coinvolgimento positivo che esprime modelli di comportamento accettati e condivisi anche da coloro che pur non partecipando al comportamento deviante, ne riconoscono la rilevanza sociale. Esattamente il contrario rispetto a quanto avviene con riferimento al deviamento singolo (di un individuo o di un gruppo).

Le forme di deviamento che si manifestano come fatti sociali (deviamenti sociali) presuppongono sempre un rapporto di conflitto tra una cultura (normalmente istituzionalizzata) e una o più sub-culture che operano al suo interno. In questi casi, il deviamento può suscitare forti reazioni collettive (sotto forma di manifestazioni e proteste[…]), cioè può generare anche sub-culture di contrapposizione al deviamento; può determinare un coinvolgimento positivo di interessi espresso da un sub-gruppo sociale i cui interessi comuni siano negativamente coinvolti con gli interessi del gruppo o dell’individuo deviante, e quindi positivamente coinvolti con gli interessi della cultura istituzionalizzata.

Si possono comunque avere anche tipologie di deviamento che pur non essendo fatti sociali (deviamenti sociali) danno luogo al sorgere di comportamenti cooperativi tra una sub-cultura di contrapposizione al deviamento e la cultura istituzionalizzata, cioè danno origine a fatti sociali non devianti. Gli abitanti di un quartiere o di una città che realizzano forme di autodifesa contro organizzazioni devianti, contro la droga, la mafia, contro un serial killer sconosciuto, contro gruppi di emarginati solo potenzialmente devianti (o supposti tali, come nei casi di discriminazione razziale) e a sostegno della organizzazione statuale, costituiscono altrettanti esempi di sub-culture di contrapposizione direttamente originate da comportamenti devianti.

Nel caso del conflitto tra una cultura istituzionalizzata e una sub-cultura di sostegno al deviamento si ha un coinvolgimento negativo di interessi tra le due culture, che ha a oggetto azioni di accettazione nei confronti di comportamenti devianti compiuti da individui o da gruppi più o meno numerosi, per cui gli interessi di questi ultimi sono in conflitto con quelli istituzionalizzati, ma non sono in conflitto con gli interessi del sub-gruppo sociale che appoggia il deviamento. Si ha quindi un coinvolgimento negativo tra interessi della sub-cultura di sostegno e interessi istituzionalizzati e un coinvolgimento positivo tra interessi della sub-cultura di sostegno e interessi devianti, che esprimono comportamenti vietati e puniti dalla cultura istituzionalizzata.

Nel caso della cooperazione tra una cultura istituzionalizzata e una sub-cultura di contrapposizione al deviamento si ha un coinvolgimento positivo di interessi tra le due culture, che ha a oggetto azioni di prevenzione o di repressione nei confronti di comportamenti devianti compiuti da individui o da gruppi più o meno numerosi; per cui gli interessi di questi ultimi non solo sono in conflitto con gli interessi istituzionalizzati, ma anche con gli interessi del sub-gruppo sociale che si sente più direttamente danneggiato dal deviamento e/o non sufficientemente protetto dalla cultura istituzionalizzata. Si ha quindi un coinvolgimento positivo tra interessi della sub-cultura di contrapposizione e interessi istituzionalizzati e un coinvolgimento negativo tra questi interessi positivamente coinvolti e gli interessi devianti.

Quando alla sub-cultura di sostegno al deviamento si affianca una sub-cultura di contrapposizione, il contesto sociale è frazionato in diversi gruppi: il sub-gruppo deviante, il sub-gruppo di sostegno al deviamento, il sub-gruppo di contrapposizione al deviamento e il gruppo istituzionalizzato. La forza sociale dei singoli gruppi potrà determinare situazioni di equilibrio dinamico (stabile o instabile), con situazioni di prevalenza di un gruppo (o di più gruppi) sugli altri.»

«Se esiste una sub-cultura di sostegno (che trova nella omertà diffusa un indicatore sociale importante) è difficile che una azione normativa istituzionalizzata orientata alla prevenzione possa realizzare effetti dissuasivi generalizzati; ed è altrettanto difficile che possano aversi effetti dissuasivi derivanti dalla pena annunciata. […]

Il comportamento deviante deve essere anzitutto spiegato in termini scientifici, cioè esplicato, prima di essere punito. La esplicazione consente di individuare le cause (variabili indipendentipsicologichesociali che determinano (condizionano) il deviamento. Normalmente quest’ultimo (sia esso un deviamento singolo o un deviamento sociale, cioè un fatto sociale) dipende dai processi educativi (processi di apprendimento e/o di socializzazione). […]

In una prospettiva scientifica non ha alcun senso postulare un unico schema di riferimento, quello normativo, da applicare in modo generalizzato a tutti i comportamenti devianti, dalla droga alle tangenti, dalla mafia alla devianza minorile, dal sequestro a altre forme di deviamento socialmente rilevanti. […] Capire le variabili sociali di ogni deviamento è quindi indispensabile per poter controllare il deviamento stesso anche con mezzi che non siano esclusivamente penali e punitivi; è cioè indispensabile per poter eliminare il deviamento nelle sue cause reali e non per illudersi di poterlo eliminare sul piano delle semplici omologazioni formalistiche di tipo punitivo

«Al massimo col potere penale si può risolvere (male) un conflitto tra stato e deviamento singolo; ma quando il deviamento è radicato profondamente in un contesto sociale, sarebbe opportuno chiedersi perché mai il deviamento sia tale solo per lo stato e non anche per la cultura endogena.

E neppure si può artificiosamente ridurre il deviamento sociale a un deviamento singolo. Se il deviamento è sociale, può darsi che esso si manifesti, in più o meno larga misura, come deviamento potenziale. In questo caso colpire pochi devianti attuali non serve a modificare il contesto sociale; si tratta di una operazione che non riesce a varcare i ristretti confini di una prospettiva penalistica, che approfondisce la distanza tra due culture in conflitto, non certo la riduce.»

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 31-35, 36-38, 64)

Interesse pubblico e ordinamento giuridico: il caso delle misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione

«Il sequestro a scopo di estorsione è un reato che mette a dura prova la coerenza dei principi su cui si fonda l’ordinamento penale. Posto che ogni norma penale deve essere fondata su un interesse pubblico, cioè su un interesse riconosciuto e accettato come proprio da ciascun soggetto appartenente a una data collettività statuale, quale interesse pubblico viene sacrificato nel caso del sequestro?

Se quest’ultimo non implicasse la negoziazione “sequestrato contro riscatto” nulla quaestio, nessun problema: il sequestro sarebbe a pieno titolo un reato contro la persona. Ma siccome il sequestro (quello a scopo di estorsione) implica che la liberazione del sequestrato sia subordinata al versamento del riscatto, si realizza uno spostamento dell’oggetto del reato dalla persona al patrimonio; infatti la privazione della libertà personale ai danni del sequestrato è solo uno strumento per l’acquisizione di un vantaggio patrimoniale da parte dei sequestratori.

Se si vuole tutelare il sequestrato non si può tutelare il suo patrimonio; se si vuole tutelare il patrimonio non si può tutelare il sequestrato. Questo significa che nel caso del sequestro l’interesse pubblico alla tutela della persona, così come comunemente viene intesa in una connotazione restrittiva fondata su un’etica di tipo individualizzante (che considera prioritario il valore dell’individuo rispetto al gruppo, cioè rispetto ai ruoli sociali e economici di cui il soggetto è titolare), non può coesistere con l’interesse pubblico alla tutela del patrimonio (dissociazione della persona dal patrimonio).

A questo punto c’è da chiedersi, ai fini della costruzione di una dogmatica giuridica coerente, se l’etica di tipo individualizzante, nell’attuale contesto sociale, debba essere riconosciuta come l’unico principio basilare dell’ordinamento giuridico statuale o se, al contrario, non possano aversi altri principi.

Se si modifica il paradigma etico e il concetto di persona viene inteso in una connotazione ampia fondata su un’etica di tipo socializzante, che considera prioritario il valore del gruppo (dell’interazione sociale) rispetto all’individuo, nel senso che i rapporti intersoggettivi, cioè i ruoli sociali e economici, fondano il concetto di persona, allora la persona si identifica col suo patrimonio (e quest’ultimo con la persona) e ogni persona è tale in quanto ha un ruolo e un conseguente patrimonio; per cui lo stato, promuovendo e tutelando il patrimonio, promuove e tutela necessariamente la persona, e non tutelando il patrimonio danneggia, sia pure indirettamente, la persona (compenetrazione della persona nel patrimonio).

Assumendo come base istituzionalizzata del contesto sociale il diritto di proprietà e come interesse pubblico quello volto alla tutela della proprietà privata (con le conseguenti norme che la regolano), la proprietà non può trovare un limite nella persona, in quanto necessariamente si identifica nella persona, e se possibile deve essere primariamente tutelata quando in modo diretto non può essere tutelata la persona; mentre la persona deve essere tutelata primariamente in modo diretto se non può essere tutelata in modo diretto la proprietà. Nel sequestro, appunto, la persona non può essere tutelata in modo diretto, mentre il patrimonio può esserlo

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 75-78)

«In realtà lo stato nel sequestro tutela la persona nell’unico modo possibile, cioè nel quadro di un interesse pubblico di tipo patrimoniale, mentre i fautori dell’abrogazione della legge n. 82/91 91 [legge sul blocco dei beni del sequestrato] vorrebbero tutelare la persona in modo diverso, subordinando alla stessa il patrimonio, quasi che quest’ultimo non sia l’oggetto proprio del sequestro.

Se il sequestro fosse contro la persona si esaurirebbe in se stesso, non richiederebbe come contropartita alcun versamento di riscatto; i sequestratori si limiterebbero a trattenere il sequestrato privandolo della libertà personale, ma senza pretendere alcunché quale corrispettivo del rilascio, che comunque, presto o tardi, dovrebbe avvenire.

Se il rilascio è subordinato al versamento di un riscatto, allora l’oggetto del deviamento non è il sequestrato, ma il riscatto; il sequestrato è solo uno strumento per ottenere il riscatto. In questa seconda prospettiva come può lo stato non prendere in considerazione il riscatto?

Non tutelando il patrimonio e considerando il sequestro un reato contro la persona, si avrebbe una specie di istituzionalizzazione del riscatto non contenuta esplicitamente nella norma statuale, ma implicita nell’ordinamento giuridico. […]

Inoltre, la istituzionalizzazione implicita di una simile negoziazione sancirebbe (e sancisce, ove fosse eventualmente favorita dallo stato in costanza della legge n. 82/91) il venir meno dell’interesse pubblico all’intervento dello stato mentre le sequenze operative del deviamento si stanno realizzando. Infatti non sarebbe possibile soddisfare l’interesse pubblico a intervenire durante il sequestro, al fine di non arrecare turbative alla negoziazione, che risulterebbe agevolata dalla mancata prevenzione da parte dello stato. Si rischierebbe in questo modo di punire un reato (il sequestro), senza impedire che si realizzi (con la prevenzione) l’obiettivo (l’estorsione, cioè il riscatto) per cui il reato è stato commesso.»

«Entro qualsiasi gruppo sociale (legittimato in forma statuale o no) l’interesse collettivo (pubblico nel caso di gruppo statuale) che si esprime come coinvolgimento positivo primario deve essere visto in una prospettiva che superi in linea di principio i singoli individui, i quali devono essere disposti a sacrificare qualsiasi loro interesse, se questo è strumentale per la tutela dell’interesse collettivo

«Un soggetto integrato nel gruppo qualificato dal coinvolgimento positivo primario riguardante l’interesse al blocco dei beni darebbe per scontato che non si deve versare il riscatto e che il sequestro può avere un esito positivo per il sequestrato, e può impedire possibili sequestri futuri, solo se non si cede (se nessuno cede) al versamento del riscatto.»

(Il sequestro come fatto sociale, pp. 80-82, 84, 87)

Scienza del comportamento e società non ideologica

«Un’ultima considerazione su un problema fondamentale emergente dalla razionalità scientifica moderna: quello concernente la possibilità di realizzare una società non ideologica fondata sulla scienza sociale.

In un contesto sociale in cui i rapporti istituzionalizzati si fondassero su presupposti scientifici, non esisterebbe conflitto ma interrelazione congiunta tra tutti gli interessi di tutti i soggetti e questi interessi sarebbero tutti compatibili con un discorso scientifico intersoggettivo e verificabile sperimentalmente. L’ipotesi dell’eliminazione del conflitto presuppone quindi questo tipo di società. […] Il conflitto e la competizione operano in società nelle quali gli interessi dei soggetti hanno una base ideologica, siano esse società strutturate con riferimento a schemi pluralistici o a schemi collettivistici. In queste società la dinamica si svolge mediante il conflitto e il conflitto deriva dall’esistenza di interessi di tipo valutativo che per definizione hanno natura soggettiva.

La modificazione radicale delle attuali strutture sociali potrà pertanto avvenire solo con la trasformazione degli interessi ideologici istituzionalizzati in interessi compatibili col contesto delle scienze sociali. E questo, d’altra parte, l’unico senso operativo che noi possiamo dare alla scienza del comportamento. L’operativizzazione delle leggi del comportamento implica un continuo raffronto, in termini di compatibilità, tra gli interessi dei soggetti e i risultati della ricerca scientifica, sino a giungere a un completo adeguamento di tutti gli interessi di tutti i soggetti alle leggi della scienza del comportamento.»

(Prefazione a “B.F. Skinner, La scienza del comportamento ovvero il Behaviorismo”, p. XVI)

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